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Esteri

L’Europa teme di restare ai margini del futuro di Gaza: Von der Leyen e Macron cercano un ruolo nel piano di pace di Trump

L’Unione Europea prova a ritagliarsi un ruolo nel futuro di Gaza dopo il cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Von der Leyen e Macron spingono per la soluzione dei due Stati, ma il vero potere resta a Washington.

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Più volte accusata di irrilevanza nel conflitto tra Israele e Hamas, l’Europa ora teme di essere esclusa anche dalla ricostruzione e dal futuro politico di Gaza. Nonostante il sostegno unanime al cessate il fuoco raggiunto a Sharm el-Sheikh, a Bruxelles serpeggia la preoccupazione di restare ai margini del nuovo piano di pace promosso da Donald Trump.

Von der Leyen: “Un’occasione da cogliere per la soluzione dei due Stati”

La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha invitato i partner europei a “cogliere al volo” l’opportunità offerta dall’intesa, definendola un passo cruciale verso la soluzione dei due Stati. Parole che riflettono la volontà di Bruxelles di tornare protagonista nel processo di stabilizzazione del Medio Oriente.

Macron riunisce l’E4 e il Quintetto arabo: “La tregua deve aprire un processo politico”

Il presidente francese Emmanuel Macron, pur alle prese con la crisi interna del suo governo, ha convocato a Parigi i ministri degli Esteri dell’E4 europeo (Francia, Germania, Italia e Regno Unito) e del Quintetto arabo (Arabia Saudita, Egitto, Emirati, Giordania e Qatar).
Alla riunione, che ha visto la partecipazione anche di Ue, Canada e Turchia, si è discusso di sicurezza, governance e ricostruzione di Gaza, temi che secondo Macron dovranno “integrare il disegno di Washington”.

“La tregua rappresenta un’immensa speranza di pace — ha dichiarato — ma deve essere l’inizio di un processo politico, non una semplice parentesi”.

Un concetto condiviso dal vicepremier italiano Antonio Tajani, che ha parlato di “momento cruciale della storia” e “primo tassello di un lungo processo di stabilizzazione del Medio Oriente”.

Divergenze europee sulla soluzione dei due Stati

Tuttavia, la mancanza di una linea comune resta evidente. Parigi spinge per il riconoscimento immediato della Palestina, mentre Germania e Italia chiedono di avviare prima negoziati preliminari. “Gli insediamenti israeliani — ha avvertito Macron — acuiscono la minaccia esistenziale per lo Stato palestinese”, mentre il ministro tedesco Johann Wadephul ha frenato, ribadendo che “ogni passo dovrà essere coordinato con Israele”.

Il nuovo assetto di Gaza e il ruolo dell’Isf

Il piano prevede un ritiro graduale dell’Idf, il dispiegamento di una forza internazionale di stabilizzazione (Isf) e la creazione di un Board of Peace a guida Usa per amministrare Gaza fino al ritorno di un’Autorità nazionale palestinese riformata.

Francia, Regno Unito, Germania e Italia chiedono che l’Isf operi con mandato vincolante delle Nazioni Unite, in modo da definirne compiti e durata. Ma la composizione del Board, che includerà Paesi arabi e l’ex premier britannico Tony Blair, divide ancora: per alcuni governi è una garanzia di equilibrio, per altri un modo per accentrare troppo potere a Washington.

L’Europa pronta a contribuire alla ricostruzione

Sul fronte economico e civile, l’Unione Europea si dice pronta a partecipare alla ricostruzione di Gaza, offrendo competenze tecniche e strumenti di governance. L’Alta rappresentante Kaja Kallas ha annunciato la volontà di riattivare la missione Eubam Rafah, al confine tra Egitto e Striscia di Gaza.

Un contributo che l’Europa spera possa restituirle un ruolo da protagonista nel nuovo equilibrio mediorientale. Ma per ora, il centro decisionale resta saldo a Washington, dove si decidono le sorti del fragile cessate il fuoco.

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Esteri

Trump firma la pace in Medio Oriente: un trionfo diplomatico che sogna il Nobel ma resta fragile

Donald Trump ottiene il suo più grande successo diplomatico con l’accordo di pace in Medio Oriente. Una vittoria storica che rafforza la sua immagine da mediatore, ma la stabilità del piano resta appesa a un filo.

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Donald Trump ha centrato il più grande risultato diplomatico del suo secondo mandato: la firma dell’accordo di pace in Medio Oriente tra Israele e Hamas. Un traguardo che il tycoon definisce “storico” e che, nei suoi piani, dovrebbe consacrarlo come mediatore globale e candidato al Premio Nobel per la Pace.

Sarebbe il quinto presidente americano a riceverlo — dopo Theodore Roosevelt, Woodrow Wilson, Jimmy Carter e Barack Obama — ma anche il più controverso. Tuttavia, come molti analisti avvertono, la pace siglata potrebbe rivelarsi fragile, forse l’ennesima tregua temporanea di un conflitto che dura dal 1948.

Dalla Riviera di Gaza a un piano in 20 punti

Il nuovo piano, presentato alla Casa Bianca, rappresenta un salto di qualità rispetto alle prime bozze, considerate poco realistiche. Frutto di una negoziazione di mesi, è articolato in 20 punti e ha convinto entrambe le parti grazie a una fitta rete di mediazioni tra Washington, Tel Aviv, Doha e Ankara.

Determinante è stato il lavoro della coppia Jared Kushner e Steve Witkoff, rispettivamente genero e inviato speciale del presidente, che hanno orchestrato la mediazione araba. Nel negoziato sono stati coinvolti Egitto, Arabia Saudita, Qatar e Turchia, Paesi chiave per ottenere la disponibilità di Hamas al cessate il fuoco.

L’ex premier britannico Tony Blair, figura di equilibrio e garanzia internazionale, è stato un’altra pedina decisiva nel complesso scacchiere di mediazione.

Il colpo decisivo: Israele e Iran ai ferri corti

Un elemento cruciale nel successo di Trump è stato l’indebolimento dell’Iran e dei suoi alleati, dopo quella che i media americani hanno ribattezzato la “Guerra dei 12 giorni”: un’offensiva israeliana, sostenuta dagli Stati Uniti, che ha colpito duramente Hezbollah, gli Houthi e le milizie sciite filo-iraniane.

Con Teheran in difficoltà, la capacità del regime iraniano di sabotare il processo di pace è drasticamente diminuita, aprendo così la strada a un’intesa regionale senza precedenti.

Netanyahu costretto a scusarsi con il Qatar

Decisivo anche il cambio di atteggiamento di Trump verso Benjamin Netanyahu. Dopo aver concesso a Israele un “assegno in bianco” nei primi mesi di mandato, il presidente si sarebbe irritato per l’attacco israeliano contro i leader di Hamas in Qatar, considerato un sabotaggio alle trattative.

Durante l’incontro alla Casa Bianca del 29 settembre, Trump avrebbe costretto Netanyahu a chiamare il premier del Qatar per scusarsi personalmente, con lo stesso presidente americano in linea per vigilare sulla telefonata. Un gesto simbolico ma potentissimo, che ha segnato la svolta del negoziato.

Un mediatore fuori dagli schemi

Con questo accordo, Trump ha dimostrato di saper giocare fuori dagli schemi della diplomazia tradizionale: pochi consiglieri, massimo coinvolgimento personale e una fiducia incrollabile nel potere dei rapporti diretti.

Il suo stile, spesso considerato “non ortodosso”, ha funzionato: ha convinto Israele, calmato Hamas e coeso il fronte arabo intorno a una tregua che, almeno per ora, regge.

Ma la vera sfida comincia adesso. Come ha scritto Thomas Friedman sul New York Times, mantenere questa fragile architettura sarà “come risolvere un cubo di Rubik che si sgretola tra le mani”.

Trump, però, si gode il momento. Per il presidente americano più divisivo della storia, la pace in Medio Oriente è — almeno per ora — la sua più grande vittoria.

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Putin ammette: “Due missili russi esplosero vicino all’aereo azero caduto in Kazakhstan”

Putin riconosce la responsabilità indiretta della Russia nell’incidente dell’aereo Azerbaijan Airlines caduto in Kazakhstan a Natale: due missili russi esplosero vicino al velivolo. Promessi risarcimenti alle vittime.

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Il presidente russo Vladimir Putin ha ammesso che due missili della contraerea russa esplosero nei pressi dell’aereo Azerbaijan Airlines precipitato lo scorso Natale nei cieli del Kazakhstan, provocando 38 vittime su 67 passeggeri a bordo.

Durante un incontro a Dushanbe con il presidente azero Ilham Aliyev, Putin ha riconosciuto la responsabilità dell’incidente e ha promesso che Mosca risarcirà le famiglie delle vittime. “La Russia farà tutto il necessario per pagare i risarcimenti dovuti”, ha dichiarato il leader russo, citato dall’agenzia Tass.

L’incidente e la crisi diplomatica

Secondo quanto ricostruito, il velivolo della compagnia Azerbaijan Airlines stava sorvolando i cieli di Grozny, in Cecenia, quando i missili della difesa aerea russa — probabilmente lanciati per errore durante un’esercitazione — sono esplosi in prossimità dell’aereo. L’equipaggio, nel tentativo di evitare l’impatto, ha modificato la rotta, ma pochi minuti dopo il velivolo si è schiantato al suolo in territorio kazako.

L’episodio ha provocato un raffreddamento dei rapporti tra Mosca e Baku, che negli ultimi mesi avevano visto crescere la tensione diplomatica. L’ammissione di Putin arriva dopo settimane di indagini congiunte e testimonia la volontà di ricucire i rapporti tra i due Paesi.

I prossimi passi

Fonti del Cremlino hanno fatto sapere che una commissione bilaterale seguirà l’iter dei risarcimenti e valuterà le misure di sicurezza aerea per evitare incidenti simili.
Putin ha infine espresso cordoglio per le vittime e ha definito l’accaduto “una tragica fatalità che non dovrà ripetersi”.

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Esteri

Accordo Israele-Hamas a Sharm el Sheik: via al cessate il fuoco e al rilascio degli ostaggi

Raggiunto a Sharm el Sheik l’accordo tra Israele e Hamas: cessate il fuoco immediato, rilascio degli ostaggi e corridoio umanitario. I nodi sul dopo guerra saranno affrontati nei prossimi negoziati.

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La pace a Gaza sembra più vicina. Dopo mesi di guerra e devastazioni, Israele e Hamas hanno raggiunto un’intesa storica a Sharm el Sheik, mediata da Stati Uniti ed Egitto e costruita sul cosiddetto “piano Trump”. La prima fase, approvata nella notte, prevede un cessate il fuoco totale e immediato, un ritiro graduale dell’esercito israeliano (Idf) e il rilascio degli ostaggi in cambio di prigionieri palestinesi, oltre all’apertura di un corridoio umanitario per l’ingresso di aiuti.

Cessate il fuoco e scambio di prigionieri

Il cessate il fuoco scatterà subito dopo la ratifica dell’accordo da parte del governo Netanyahu, attesa per oggi pomeriggio.
Entro 72 ore dovrebbero essere liberati i 20 ostaggi israeliani ancora in vita, in cambio del rilascio di circa 2.000 detenuti palestinesi, tra cui 250 condannati all’ergastolo. Resta incerto il destino di Marwan Barghouti, figura simbolo della resistenza palestinese, che secondo fonti israeliane non sarà incluso nella lista.

Ritiro dell’Idf e corridoio umanitario

Il ritiro delle truppe israeliane inizierà nelle 24 ore successive alla firma. L’esercito dovrà arretrare dietro la cosiddetta “linea gialla”, a una distanza compresa tra 1,5 e 5 km all’interno della Striscia, lasciando Gaza City e le altre città principali, ma mantenendo il controllo su Rafah, considerata da Israele punto d’ingresso di armi verso Hamas.

Parallelamente verrà attivato un corridoio umanitario con almeno 400 camion di aiuti al giorno, per garantire forniture di cibo, medicinali e carburante alla popolazione civile.

Le prossime fasi del piano

Nei prossimi round negoziali verranno affrontati i nodi più complessi: il disarmo di Hamas, la creazione di una zona cuscinetto lungo il confine con Israele e la formazione di un’amministrazione provvisoria internazionale, a guida statunitense con la partecipazione di Paesi arabi e dell’ex premier britannico Tony Blair.

Il piano include anche la creazione di una Forza internazionale di stabilizzazione (Isf), composta da partner arabi e occidentali, da dispiegare “immediatamente” a Gaza per garantire la sicurezza nella fase post-bellica.

Il dopo guerra e le prospettive politiche

L’obiettivo finale resta quello di stabilizzare la Striscia e aprire la strada a un futuro Stato palestinese, anche se Israele mantiene il suo “no” alla soluzione dei due Stati. Hamas, dal canto suo, ha respinto l’idea di una governance straniera, ma si è detto disposto a un governo tecnico palestinese sotto l’egida dell’Autorità nazionale palestinese, con la garanzia dei Paesi arabi e musulmani.

Per ora, la priorità è fermare le armi. Da lunedì, se tutto andrà come previsto, a Gaza potrebbe finalmente calare il silenzio dopo mesi di guerra.

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