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Economia

Manovra 2025, il governo accelera: taglio Irpef, aiuti a famiglie e più fondi per la sanità

Il governo punta a chiudere la manovra entro metà ottobre. Taglio Irpef, sostegno a famiglie e natalità, nuovi fondi per la sanità e contributo dalle banche tra i punti centrali.

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Il governo stringe i tempi per la manovra economica 2025. L’obiettivo è chiudere entro metà ottobre, con il disegno di legge di bilancio pronto per il Consiglio dei ministri insieme al Documento programmatico di bilancio (Dpb) da inviare a Bruxelles.
Sul tavolo potrebbe arrivare anche il decreto fiscale, tradizionalmente collegato alla manovra.

Una riunione a Palazzo Chigi tra la premier Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha fatto il punto sulle ultime scelte politiche ed economiche in vista del rush finale.

Taglio dell’Irpef e rottamazione delle cartelle

Il tema più discusso resta il taglio della seconda aliquota Irpef, che dovrebbe passare dal 35% al 33%. La misura è pensata per alleggerire il peso fiscale sul ceto medio, ma resta da definire la soglia: tra 28mila e 50mila euro, come proposto da Meloni, o fino a 60mila euro, come chiede Forza Italia.

Altro nodo è la nuova rottamazione delle cartelle esattoriali, voluta dalla Lega, che dovrebbe prevedere una durata di 8-9 anni e un versamento minimo di 50 euro per sanare i debiti di importo ridotto.

Entrambe le misure dipenderanno in parte dal contributo delle banche, chiamate – come lo scorso anno – a fornire risorse straordinarie, pur senza intenti “punitivi”, come ha precisato la premier.

Famiglie, natalità e sanità al centro della manovra

La manovra 2025 punterà con forza su famiglie e natalità, con la conferma del congedo parentale facoltativo all’80%e nuovi incentivi legati al quoziente familiare.
Per la sanità sono in arrivo, secondo il vicepremier Matteo Salvini, “diversi miliardi in più” destinati a potenziare il sistema sanitario nazionale e a coprire il fabbisogno del personale medico.

Il confronto politico e le proposte dell’opposizione

Dall’opposizione, il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha proposto quattro misure da condividere con la maggioranza: un maxi taglio delle tasse, un aumento dell’assegno unico per i figli, più risorse “vere” per la sanità e il ripristino della transizione 4.0 per le imprese.

Intanto, Giorgetti difende l’impianto economico del governo: “Il deficit scenderà sotto il 3% dal 2026, forse già dal 2025. In quattro anni avremo ridotto il disavanzo di oltre cinque punti e mezzo rispetto al 2022”.

I moniti della Banca d’Italia e dell’Ufficio parlamentare di bilancio

La Banca d’Italia ha invitato l’esecutivo a garantire coperture certe e a contenere le misure spot, che hanno effetti temporanei e aumentano il debito. Via Nazionale suggerisce inoltre di rafforzare gli investimenti in ricerca, istruzione e innovazione, razionalizzando al contempo le spese fiscali.

L’Ufficio parlamentare di bilancio ha validato il quadro programmatico del Dpb, ma con riserve: la traiettoria di riduzione del debito “si basa su ipotesi ambiziose”, come la realizzazione del piano di dismissioni. L’utilizzo integrale dello spazio di bilancio, avverte l’Authority, limita i margini di manovra per eventuali emergenze.

Spese per la difesa sotto osservazione

Sotto il faro anche le spese militari, che – secondo Bankitalia – non sono pienamente incluse nel quadro del Dpb e potrebbero richiedere aggiustamenti. Con le nuove regole europee, ogni aumento permanente della spesa per la difesadovrà essere compensato da tagli in altri settori o da nuove entrate fiscali.

Il governo punta a presentare una manovra “responsabile e mirata”, orientata a sostenere crescita e stabilitàmantenendo i conti in ordine, in un equilibrio sempre più delicato tra prudenza finanziaria e risposte alle esigenze sociali del Paese.

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Economia

Mutui, tassi ancora in rialzo: Taeg al 3,71% e famiglie sempre più orientate al fisso

Nuovo aumento dei tassi sui mutui: a settembre il Taeg sale al 3,71%. Le famiglie scelgono il tasso fisso nonostante condizioni più alte. Cresce la domanda di finanziamenti per casa e imprese.

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Il costo dei nuovi mutui torna a salire. Secondo i dati della Banca d’Italia, il Taeg sui finanziamenti immobiliari è aumentato al 3,71% a settembre, rispetto al 3,67% di agosto e al 3,61% di luglio.

Il rialzo è legato sia alla crescita dell’Irs, l’indice che regola i mutui a tasso fisso, sia alla scelta delle famiglie italiane di orientarsi in oltre il 90% dei casi verso formule a tasso fisso, nonostante sul mercato i finanziamenti a tasso variabile offrano condizioni più basse, tra il 2,6 e il 2,8%.


Il peso degli Irs e la prudenza della Bce

I tassi fissi restano comunque inferiori ai picchi del 2023, quando si era superata la soglia del 4,5%. Tuttavia, la discesa attesa nei mesi scorsi non si è concretizzata a causa della prudenza della Bce e delle tensioni internazionali, che hanno spinto al rialzo gli indici a lungo termine.

Secondo il Codacons, dall’inizio dell’anno i tassi sui mutui sono aumentati dello 0,21%, pari a un aggravio annuo di circa 216 euro su un mutuo da 150.000 euro a 30 anni.


Domanda di mutui ancora in crescita

Nonostante il contesto sfavorevole, la domanda resta sostenuta. Bankitalia rileva che i finanziamenti alle famiglie per l’acquisto della casa sono cresciuti del 2,2% a settembre, confermando la tenuta del mercato immobiliare.

Dopo mesi in cui i mutui hanno rappresentato il principale motore del credito, durante l’estate è tornata a crescere anche la domanda delle imprese. I finanziamenti aziendali sono saliti dell’1,2%, lo stesso incremento già registrato ad agosto.


Crif: domanda in ripresa e rischiosità stabile

Il Crif conferma che, dopo il rallentamento tra il 2023 e il 2024, la domanda di credito ha ripreso a crescere mentre la rischiosità del sistema produttivo resta stabile: a giugno il tasso medio di default è al 3%, in linea con la fine del 2024.

Allo stesso tempo, l’incertezza continua a spingere verso il risparmio: i depositi del settore privato sono aumentati del 3%, in crescita rispetto al 2,7% di agosto.


La dinamica dei mutui conferma quindi un quadro in cui la domanda resta solida, ma la traiettoria dei tassi continua a essere influenzata dalle tensioni internazionali e dalla cautela della politica monetaria europea.

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Economia

Disoccupazione di lunga durata: Campania, Calabria e Sicilia tra le peggiori d’Europa secondo Eurostat

Secondo Eurostat, Campania, Calabria e Sicilia registrano tassi di disoccupazione di lunga durata tra i più alti d’Europa. Nel 2024, un disoccupato su tre nell’Ue è senza lavoro da oltre un anno.

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Le regioni del Sud Italia continuano a guidare la triste classifica europea della disoccupazione di lunga durata. Secondo i dati diffusi da Eurostat, nel 2024 Campania (9,9%), Calabria (8,3%) e Sicilia (8,0%) rientrano tra le aree dell’Unione europea con le quote più alte di cittadini senza lavoro da oltre un anno.


Un disoccupato su tre in Europa è senza lavoro da oltre dodici mesi

In tutta l’Unione europea, almeno 4,2 milioni di persone tra i 15 e i 74 anni risultavano disoccupate da più di dodici mesi, pari all’1,9% della popolazione complessiva.
Il dato evidenzia che circa un disoccupato su tre nell’Ue si trova in condizioni di inattività prolungata, con forti disparità tra Nord e Sud del continente.


Il divario italiano: il Sud in sofferenza

Oltre a Campania, Calabria e Sicilia, Eurostat segnala anche Puglia e Molise (5,2%), Sardegna (4,3%), Abruzzo (3,7%) e Basilicata (3,6%) tra le regioni italiane più colpite dal fenomeno.
Decisamente migliori le performance del Centro-Nord: Lazio (3,1%), Piemonte (2,4%), Liguria (2,2%), Emilia-Romagna (1,4%), Toscana e Lombardia (1,3%), fino al Veneto (0,9%) e alla provincia autonoma di Trento (0,7%), che si attestano tra i territori più virtuosi.


Peggio solo alcune regioni extraeuropee

A superare i livelli italiani di disoccupazione di lunga durata sono soltanto le enclave spagnole di Ceuta (15,8%) e Melilla (16,3%), oltre ai territori d’oltremare francesi di Guadalupa (11,4%) e La Réunion (8,2%).
Questi numeri collocano ancora una volta il Mezzogiorno tra le aree più fragili del mercato del lavoro europeo, dove la difficoltà nel reinserimento occupazionale resta una delle emergenze economiche e sociali più gravi.

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Economia

Unicredit ricorre al Consiglio di Stato sul golden power: “Chiarezza giuridica, non un atto di ostilità verso il governo”

Unicredit si rivolge al Consiglio di Stato per chiarire la sentenza del Tar sul golden power esercitato dal governo nell’ops su Banco Bpm. Il gruppo ribadisce: “Non siamo un rischio per la sicurezza nazionale”.

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Unicredit ha presentato ricorso al Consiglio di Stato per ottenere chiarezza definitiva sul golden power esercitato dal governo in occasione dell’operazione pubblica di scambio (ops) su Banco Bpm.
L’iniziativa arriva dopo che, lo scorso luglio, il Tar del Lazio aveva accolto solo in parte il ricorso dell’istituto di Piazza Gae Aulenti contro il decreto che limitava alcune attività strategiche della banca.

Secondo fonti vicine al dossier, il ricorso depositato lunedì mira a garantire “piena chiarezza giuridica su tutti gli elementi della sentenza” e a valutare con trasparenza i passi successivi.


“Non un gesto di ostilità verso il governo”

Da Unicredit non arrivano commenti ufficiali, ma l’iniziativa — spiegano le stesse fonti — non è un atto di sfida nei confronti dell’esecutivo.
L’obiettivo del board guidato da Andrea Orcel è ribadire che la banca non rappresenta alcun rischio per la sicurezza nazionale, in particolare in relazione ai dossier legati alla Russia.
Il ricorso, che dovrebbe essere deciso nel merito con una sentenza definitiva, serve anche a tutelare gli stakeholder e gli investitori da potenziali contenziosi futuri.


I punti contestati e la sentenza del Tar

Dei quattro punti contestati da Unicredit, il Tar ne ha annullati due:

  • Il primo riguardava la durata del divieto di ridurre il rapporto tra finanziamenti e depositi tra Banco Bpm e Unicredit in Italia.

  • Il secondo annullava l’obbligo di mantenere invariato il portafoglio di project finance.

Sono invece rimasti in vigore:

  • L’obbligo di uscita dalla Russia, previsto dal Dpcm.

  • La necessità di mantenere gli investimenti italiani in Anima Holding, società di risparmio gestito del Banco Bpm.


Orcel: “L’uscita dalla Russia resta chiara, ma i tempi si allungano”

Sul fronte russo, Andrea Orcel ha confermato al Financial Times che il processo di uscita dal Paese prosegue, pur con lentezze dovute ai vincoli imposti da Mosca.
“La volontà di lasciare la Russia è assolutamente chiara”, ha dichiarato il ceo, sottolineando che gli ostacoli legali e regolamentari introdotti dal Cremlino stanno rallentando il percorso.
Secondo Orcel, la filiale russa sarà eliminata dal perimetro del gruppo entro il prossimo anno.


Il dibattito sul golden power a Bruxelles

Il tema dei poteri speciali statali è tornato anche nel dibattito europeo.
“A livello teorico — ha spiegato un alto funzionario dell’Ue — le fusioni transfrontaliere sono considerate positive, ma nella pratica le questioni politiche interferiscono”, in vista dell’Eurogruppo di mercoledì.
La presenza di vincoli nazionali, ha aggiunto, “non è in linea con l’obiettivo di un settore bancario europeo unificato e consolidato”.


Verso una nuova fase di chiarezza normativa

Con il ricorso a Palazzo Spada, Unicredit intende chiudere definitivamente la fase di incertezza giuridica e riaffermare la propria solidità istituzionale.
L’esito della decisione del Consiglio di Stato sarà determinante per il futuro assetto delle relazioni tra banche e poteri governativi, in un quadro europeo che punta sempre più alla integrazione e trasparenza del settore bancario.

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