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Esteri

Trump firma la pace in Medio Oriente: un trionfo diplomatico che sogna il Nobel ma resta fragile

Donald Trump ottiene il suo più grande successo diplomatico con l’accordo di pace in Medio Oriente. Una vittoria storica che rafforza la sua immagine da mediatore, ma la stabilità del piano resta appesa a un filo.

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Donald Trump ha centrato il più grande risultato diplomatico del suo secondo mandato: la firma dell’accordo di pace in Medio Oriente tra Israele e Hamas. Un traguardo che il tycoon definisce “storico” e che, nei suoi piani, dovrebbe consacrarlo come mediatore globale e candidato al Premio Nobel per la Pace.

Sarebbe il quinto presidente americano a riceverlo — dopo Theodore Roosevelt, Woodrow Wilson, Jimmy Carter e Barack Obama — ma anche il più controverso. Tuttavia, come molti analisti avvertono, la pace siglata potrebbe rivelarsi fragile, forse l’ennesima tregua temporanea di un conflitto che dura dal 1948.

Dalla Riviera di Gaza a un piano in 20 punti

Il nuovo piano, presentato alla Casa Bianca, rappresenta un salto di qualità rispetto alle prime bozze, considerate poco realistiche. Frutto di una negoziazione di mesi, è articolato in 20 punti e ha convinto entrambe le parti grazie a una fitta rete di mediazioni tra Washington, Tel Aviv, Doha e Ankara.

Determinante è stato il lavoro della coppia Jared Kushner e Steve Witkoff, rispettivamente genero e inviato speciale del presidente, che hanno orchestrato la mediazione araba. Nel negoziato sono stati coinvolti Egitto, Arabia Saudita, Qatar e Turchia, Paesi chiave per ottenere la disponibilità di Hamas al cessate il fuoco.

L’ex premier britannico Tony Blair, figura di equilibrio e garanzia internazionale, è stato un’altra pedina decisiva nel complesso scacchiere di mediazione.

Il colpo decisivo: Israele e Iran ai ferri corti

Un elemento cruciale nel successo di Trump è stato l’indebolimento dell’Iran e dei suoi alleati, dopo quella che i media americani hanno ribattezzato la “Guerra dei 12 giorni”: un’offensiva israeliana, sostenuta dagli Stati Uniti, che ha colpito duramente Hezbollah, gli Houthi e le milizie sciite filo-iraniane.

Con Teheran in difficoltà, la capacità del regime iraniano di sabotare il processo di pace è drasticamente diminuita, aprendo così la strada a un’intesa regionale senza precedenti.

Netanyahu costretto a scusarsi con il Qatar

Decisivo anche il cambio di atteggiamento di Trump verso Benjamin Netanyahu. Dopo aver concesso a Israele un “assegno in bianco” nei primi mesi di mandato, il presidente si sarebbe irritato per l’attacco israeliano contro i leader di Hamas in Qatar, considerato un sabotaggio alle trattative.

Durante l’incontro alla Casa Bianca del 29 settembre, Trump avrebbe costretto Netanyahu a chiamare il premier del Qatar per scusarsi personalmente, con lo stesso presidente americano in linea per vigilare sulla telefonata. Un gesto simbolico ma potentissimo, che ha segnato la svolta del negoziato.

Un mediatore fuori dagli schemi

Con questo accordo, Trump ha dimostrato di saper giocare fuori dagli schemi della diplomazia tradizionale: pochi consiglieri, massimo coinvolgimento personale e una fiducia incrollabile nel potere dei rapporti diretti.

Il suo stile, spesso considerato “non ortodosso”, ha funzionato: ha convinto Israele, calmato Hamas e coeso il fronte arabo intorno a una tregua che, almeno per ora, regge.

Ma la vera sfida comincia adesso. Come ha scritto Thomas Friedman sul New York Times, mantenere questa fragile architettura sarà “come risolvere un cubo di Rubik che si sgretola tra le mani”.

Trump, però, si gode il momento. Per il presidente americano più divisivo della storia, la pace in Medio Oriente è — almeno per ora — la sua più grande vittoria.

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Esteri

Sabotaggi alle ferrovie in Polonia: cresce la tensione tra Nato ed Europa orientale

Nuovi sabotaggi sulle ferrovie polacche accendono l’allarme sicurezza. Tusk parla di “atto terroristico per conto di una potenza straniera”. Nato e Ue esprimono pieno sostegno a Varsavia.

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La Polonia ha denunciato gravi atti di sabotaggio ai danni della rete ferroviaria nazionale, episodi che il premier Donald Tusk ha definito “senza precedenti” e riconducibili all’azione di una potenza straniera. Sebbene non sia stata esplicitamente nominata, il riferimento ricade sulla Russia, già accusata in passato di attività ostili nel Paese.

L’esplosione sulla linea Varsavia-Lublino

L’allarme è scattato domenica mattina sulla tratta Varsavia-Lublino, la stessa utilizzata per il transito degli aiuti diretti in Ucraina. Un macchinista ha individuato un tratto di binario completamente distrutto da un ordigno, circostanza che ha portato la procura ad aprire un fascicolo per “atti di sabotaggio di natura terroristica per conto di un’organizzazione straniera”.

Un secondo episodio nella notte

Un incidente analogo è stato registrato sulla tratta Swinoujscie-Rzeszow, dove i cavi elettrici aerei di un convoglio sono stati gravemente danneggiati, costringendo il macchinista a un arresto di emergenza. Due episodi ravvicinati, per dinamica e distanza geografica, che alimentano l’ipotesi di un’operazione coordinata.

Varsavia convoca il comitato di sicurezza

Tusk ha annunciato per domani una riunione del comitato di sicurezza nazionale, alla presenza dei vertici militari e dei capi dei servizi. Parallelamente, il ministro della Difesa Wladyslaw Kosiniak-Kamysz ha attivato l’esercito territoriale per affiancare la polizia ferroviaria nella sorveglianza delle infrastrutture più sensibili, con controlli estesi a ponti, gallerie, viadotti e stazioni.

Il sostegno di Nato e Commissione europea

Da Bruxelles è arrivato il sostegno del segretario generale Nato, Mark Rutte, e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha parlato di “minacce reali e crescenti alla sicurezza europea” e della necessità di “potenziare urgentemente la protezione del nostro spazio aereo e delle infrastrutture strategiche”.

Von der Leyen ha poi concluso il suo messaggio con una frase in polacco: “Razem jesteśmy silniejsi”, insieme siamo più forti.

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Esteri

UE divisa sui fondi a Kiev: von der Leyen punta sugli asset russi per salvare l’Ucraina dal default

Ursula von der Leyen propone ai Paesi UE di usare gli asset russi congelati per evitare il rischio di bancarotta dell’Ucraina. Ma Bruxelles resta divisa tra veti politici, timori finanziari e pressioni internazionali.

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Tre strade, un’unica urgenza: evitare che l’Ucraina precipiti nel default.
Nella lettera inviata ai 27 governi dell’Unione, Ursula von der Leyen ribadisce che Kiev avrà bisogno di 70 miliardi nel 2026 e 64 nel 2027, denaro necessario per colmare un deficit ormai ingestibile senza sostegni esterni.

L’opzione principale: usare i beni russi congelati

La presidente della Commissione torna a battere sulla via maestra: impiegare gli asset sovrani della Russia congelati in Europa.
Una posizione che punta soprattutto al Belgio, sede di Euroclear, la società che detiene gran parte dei beni bloccati. Nella lettera, von der Leyen garantisce che eventuali rischi finanziari sarebbero coperti da garanzie giuridicamente vincolanti e irrevocabili fornite dagli Stati membri.

Il fronte del no: Orban e le paure su Euroclear

A ostacolare la linea della Commissione è in primo luogo Viktor Orban, che nega qualsiasi nuovo impegno finanziario verso Kiev.
Il suo commento è stato netto: «Dare più fondi a Kiev è come dare vodka a un alcolizzato».
Accanto alle resistenze politiche, restano i timori tecnici: Bruxelles vuole evitare che eventuali cause internazionali mettano a rischio la stabilità di Euroclear.

L’Est europeo e il pressing per sostenere Kiev

Dall’altro lato dell’Unione, il fianco Est spinge per un impegno più forte.
Il presidente finlandese Alexander Stubb ricorda che la Russia «resta una minaccia a lungo termine» e invita gli Stati membri a sostenere Kiev «in modalità finnica», con investimenti massicci e rapidi.

Gli accordi bilaterali avanzano, l’UE rischia lo stallo

La lettera arriva proprio mentre Zelensky e Macron firmano a Parigi un accordo storico per la futura fornitura di 100 caccia Rafale e nuovi sistemi di difesa.
Sul piano comunitario, però, il negoziato è bloccato, e la Commissione teme che lo stallo danneggi la capacità dell’UE di sostenere l’Ucraina in maniera coordinata.

Le alternative: prestiti e contributi diretti

Accanto all’uso degli asset russi, la Commissione propone altre due vie:

  • sovvenzioni dirette degli Stati membri,

  • un prestito europeo con ricorso limitato ai mercati finanziari.

Ma l’obiettivo è lo stesso: far arrivare i primi fondi già nel secondo trimestre del 2026, senza appesantire ulteriormente i bilanci nazionali.

La sfida aggiuntiva: costruire lo scudo anti-droni europeo

Von der Leyen dovrà anche ricomporre il quadro sulla difesa aerea europea, mentre la Polonia procede da sola nell’acquisto di droni e sistemi anti-attacchi.
L’UE, secondo le valutazioni interne, non è ancora pronta a reggere una produzione che potrebbe richiedere «milioni di unità».

Il fattore tempo

Il vertice di dicembre sarà decisivo.
In gioco non c’è solo l’assistenza finanziaria: c’è la credibilità dell’Unione nella gestione della sicurezza del continente.

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Esteri

Tunnel di Rafah, cento miliziani di Hamas rifiutano la resa: pressioni Usa e timori israeliani

A Rafah un centinaio di miliziani di Hamas rifiutano la resa e restano barricati nei tunnel. Pressioni Usa su Israele per una soluzione negoziale. Preoccupazioni di Tel Aviv per intese dirette tra Washington e Hamas.

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Una fonte palestinese della Striscia di Gaza, citata dall’emittente israeliana Kan News, ha riferito che circa un centinaio di appartenenti all’ala militare di Hamas restano trincerati in un tunnel a Rafah e hanno fatto sapere di non essere pronti ad arrendersi. Secondo la testimonianza, gli uomini non accetteranno alcun piano che li costringa ad abbandonare la rete sotterranea se non tramite un percorso scelto autonomamente e che, nelle loro intenzioni, consenta un’uscita “con dignità”.

La composizione del gruppo e il comando

Il gruppo sarebbe formato sia da operativi con esperienza di combattimento sia da militanti reclutati più di recente. A guidarli ci sarebbe un comandante di Hamas con grado equivalente a quello di un capo battaglione o brigadiere, indicato come la figura più autorevole presente nel tunnel.

Le pressioni degli Stati Uniti

Gli Stati Uniti avrebbero intensificato le pressioni su Israele per trovare una soluzione alla situazione dei miliziani assediati. Jared Kushner, genero del presidente Donald Trump, ha inviato un messaggio a Tel Aviv sostenendo che Israele dovrebbe consentire il rilascio dei miliziani nelle aree ancora sotto controllo di Hamas, affermando che verrebbero fatti uscire disarmati e che tale misura potrebbe essere considerata parte del processo di smilitarizzazione della Striscia.

Il ruolo dell’inviato Steve Witkoff

È previsto che l’inviato del presidente Trump, Steve Witkoff, incontri l’alto funzionario di Hamas Khalil al-Hayya. Secondo le valutazioni israeliane, durante il colloquio verranno affrontate anche le possibili soluzioni per la crisi dei miliziani intrappolati.

Le preoccupazioni di Israele

Fonti israeliane, citate dai media, riferiscono che il governo di Tel Aviv è stato informato dell’incontro in anticipo, ma teme che Stati Uniti e Hamas possano raggiungere un’intesa senza un pieno coinvolgimento delle autorità israeliane. Una dinamica che, secondo tali fonti, solleva preoccupazioni politiche e di sicurezza.


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