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Accordo Israele-Hamas a Sharm el Sheik: via al cessate il fuoco e al rilascio degli ostaggi

Raggiunto a Sharm el Sheik l’accordo tra Israele e Hamas: cessate il fuoco immediato, rilascio degli ostaggi e corridoio umanitario. I nodi sul dopo guerra saranno affrontati nei prossimi negoziati.

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La pace a Gaza sembra più vicina. Dopo mesi di guerra e devastazioni, Israele e Hamas hanno raggiunto un’intesa storica a Sharm el Sheik, mediata da Stati Uniti ed Egitto e costruita sul cosiddetto “piano Trump”. La prima fase, approvata nella notte, prevede un cessate il fuoco totale e immediato, un ritiro graduale dell’esercito israeliano (Idf) e il rilascio degli ostaggi in cambio di prigionieri palestinesi, oltre all’apertura di un corridoio umanitario per l’ingresso di aiuti.

Cessate il fuoco e scambio di prigionieri

Il cessate il fuoco scatterà subito dopo la ratifica dell’accordo da parte del governo Netanyahu, attesa per oggi pomeriggio.
Entro 72 ore dovrebbero essere liberati i 20 ostaggi israeliani ancora in vita, in cambio del rilascio di circa 2.000 detenuti palestinesi, tra cui 250 condannati all’ergastolo. Resta incerto il destino di Marwan Barghouti, figura simbolo della resistenza palestinese, che secondo fonti israeliane non sarà incluso nella lista.

Ritiro dell’Idf e corridoio umanitario

Il ritiro delle truppe israeliane inizierà nelle 24 ore successive alla firma. L’esercito dovrà arretrare dietro la cosiddetta “linea gialla”, a una distanza compresa tra 1,5 e 5 km all’interno della Striscia, lasciando Gaza City e le altre città principali, ma mantenendo il controllo su Rafah, considerata da Israele punto d’ingresso di armi verso Hamas.

Parallelamente verrà attivato un corridoio umanitario con almeno 400 camion di aiuti al giorno, per garantire forniture di cibo, medicinali e carburante alla popolazione civile.

Le prossime fasi del piano

Nei prossimi round negoziali verranno affrontati i nodi più complessi: il disarmo di Hamas, la creazione di una zona cuscinetto lungo il confine con Israele e la formazione di un’amministrazione provvisoria internazionale, a guida statunitense con la partecipazione di Paesi arabi e dell’ex premier britannico Tony Blair.

Il piano include anche la creazione di una Forza internazionale di stabilizzazione (Isf), composta da partner arabi e occidentali, da dispiegare “immediatamente” a Gaza per garantire la sicurezza nella fase post-bellica.

Il dopo guerra e le prospettive politiche

L’obiettivo finale resta quello di stabilizzare la Striscia e aprire la strada a un futuro Stato palestinese, anche se Israele mantiene il suo “no” alla soluzione dei due Stati. Hamas, dal canto suo, ha respinto l’idea di una governance straniera, ma si è detto disposto a un governo tecnico palestinese sotto l’egida dell’Autorità nazionale palestinese, con la garanzia dei Paesi arabi e musulmani.

Per ora, la priorità è fermare le armi. Da lunedì, se tutto andrà come previsto, a Gaza potrebbe finalmente calare il silenzio dopo mesi di guerra.

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Tensioni Cina-Giappone, crollano i voli: 500mila biglietti cancellati dopo l’allerta di Pechino

Quasi mezzo milione di voli cancellati dalla Cina verso il Giappone dopo l’allerta di Pechino. Le parole della premier giapponese su Taiwan infiammano la crisi diplomatica e affossano il turismo.

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Le relazioni tra Cina e Giappone vivono una nuova fase di tensione, con conseguenze immediate sui flussi turistici. Dopo l’avviso diffuso da Pechino che sconsiglia ai cittadini di recarsi in Giappone, le prenotazioni aeree sono crollate: quasi 500mila biglietti sono stati cancellati in poche ore, secondo le stime degli analisti del settore aeronautico.

Il caso Taiwan e la reazione cinese

Alla base della crisi ci sono le dichiarazioni della premier giapponese Sanae Takaichi, che ha ipotizzato un possibile intervento militare di Tokyo in caso di attacco a Taiwan. Pechino ha reagito con durezza, ricordando che l’isola resta per la Repubblica Popolare una parte “sacra e inalienabile” del proprio territorio. Da qui l’avviso che invita i cittadini cinesi a evitare il Giappone, allerta che ha immediatamente generato un’ondata di cancellazioni.

Crollo delle prenotazioni e impatto economico

Le prenotazioni attive dalla Cina verso il Giappone sono passate da 1,5 milioni a un milione nell’arco di 48 ore, un calo del 33% contro il fisiologico 5% giornaliero registrato negli ultimi anni. Le principali compagnie aeree cinesi hanno annunciato rimborsi integrali per tutti i voli verso il Giappone fino al 31 dicembre.

Il contraccolpo economico è già evidente: nel solo terzo trimestre dell’anno i turisti cinesi hanno speso oltre un miliardo di dollari al mese in Giappone, coprendo quasi il 30% della spesa turistica complessiva. Un calo prolungato per un anno potrebbe costare almeno 11,5 miliardi di dollari all’economia giapponese.

Turismo e mercati finanziari sotto pressione

L’avviso cinese ha avuto una ricaduta immediata sui mercati: nei primi giorni della crisi, i titoli legati al turismo e al retail hanno registrato forti ribassi alla Borsa di Tokyo. Anche diverse aziende statali cinesi hanno raccomandato ai dipendenti di evitare il Giappone, mentre tour operator pubblici hanno cancellato i viaggi di gruppo.

Dialogo difficile e segnali di gelo

Il tentativo di distensione nei colloqui tra i due Paesi non ha prodotto risultati. Secondo fonti cinesi, Pechino si è detta “insoddisfatta” dell’incontro con la delegazione giapponese guidata da Masaaki Kanai. Un video diffuso sui social cinesi — nel quale il diplomatico Liu Jinsong rivolge un’occhiata glaciale al suo omologo giapponese — è diventato virale, alimentando la percezione di un gelo sempre più evidente.

La disputa destinata a continuare

Il governo cinese continua a chiedere una ritrattazione pubblica delle parole di Takaichi. I media di Pechino, intanto, evocano i “demoni militaristi” del passato giapponese. Con le tensioni in crescita e il turismo in caduta libera, le relazioni tra le due principali economie asiatiche entrano in una fase di incertezza che rischia di durare a lungo.

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Trump tratta in segreto con la Russia: emerge un piano USA-Mosca per fermare la guerra in Ucraina

Secondo Axios, l’amministrazione Trump avrebbe collaborato in segreto con la Russia per elaborare un piano in 28 punti per fermare la guerra in Ucraina, ispirato all’accordo Israele-Hamas. Fonti statunitensi e russe confermano incontri riservati.

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Secondo quanto riportato dal sito americano Axios, l’amministrazione di Donald Trump avrebbe avviato una collaborazione riservata con rappresentanti russi per definire un nuovo piano di cessate il fuoco in Ucraina. Le fonti citate dal media statunitense, rimaste anonime, parlano di un contatto diretto tra emissari americani e funzionari russi per arrivare a una proposta condivisa.

Un documento di 28 punti modellato sul precedente accordo per Gaza

Il piano sarebbe composto da 28 punti e si ispira strutturalmente al documento in 20 punti che ha portato al cessate il fuoco temporaneo tra Israele e Hamas. L’impianto riprenderebbe la logica degli step progressivi: riduzione dei combattimenti, scambi umanitari, verifiche sul campo e definizione di aree di sicurezza, fino a un eventuale congelamento della linea del fronte.

Obiettivo: avviare un meccanismo di de-escalation negoziato

Le indiscrezioni indicano che l’obiettivo della Casa Bianca sarebbe creare un percorso diplomatico parallelo alle iniziative ufficiali, con la convinzione che un canale bilaterale USA-Russia possa favorire una riduzione delle ostilità. Le fonti citate da Axios sostengono che il piano non sia ancora stato completato, ma rappresenti la bozza più avanzata dall’inizio del conflitto.

La posizione delle parti e le implicazioni internazionali

Da Mosca sarebbero giunti segnali di disponibilità a valutare un negoziato se ancorato alla situazione attuale sul terreno. Non emergono invece conferme ufficiali da parte dell’amministrazione statunitense, che non ha rilasciato commenti. La notizia, se verificata, aprirebbe un fronte diplomatico con potenziali ricadute sugli alleati europei e sulla stessa Kiev, che ha sempre chiesto garanzie sulla tutela della propria sovranità territoriale.


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Cena di gala alla Casa Bianca: Musk e Ronaldo tra gli ospiti di Trump e del principe saudita Mohammed bin Salman

Elon Musk e Cristiano Ronaldo tra i cento ospiti della cena di gala organizzata da Donald Trump alla Casa Bianca in onore del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Presenti anche Infantino, Tim Cook e David Ellison.

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Elon Musk e Cristiano Ronaldo figurano nella lista dei cento ospiti selezionati per la cena di gala organizzata alla Casa Bianca dal presidente statunitense Donald Trump in onore del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Un evento di grande visibilità politica e mediatica che ha riunito alcune delle figure più influenti del mondo dello sport, della tecnologia e dell’economia globale.

La presenza dei big della tecnologia e dell’economia

Tra gli invitati anche David Ellison, nuovo presidente della Paramount, e Tim Cook, amministratore delegato di Apple. La loro partecipazione testimonia l’interesse delle grandi corporation statunitensi nei rapporti tra Washington e Riyad, soprattutto sul fronte tecnologico e delle produzioni industriali.

Sport e diplomazia nella stessa sala

Accanto ai magnati della Silicon Valley e ai vertici dell’industria americana erano presenti anche personalità di primo piano dello sport mondiale. Oltre a Cristiano Ronaldo, ha preso parte alla cena Gianni Infantino, presidente della FIFA, in un momento di intensi rapporti tra Arabia Saudita e mondo del calcio internazionale.

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