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Cronache

Alessandro Bologna alias Franchino il criminale, il boxer che fornisce ai ragazzi le “istruzioni” anti bulli

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Alessandro Bologna alias Franchino, boxer di 41 anni, fa l’istruttore. Ed è assai ricercato. Da quel che si evince sui social ha un concetto di boxe popolare molto interessante. Facciamo 2 chiacchere con lui. Con ironia.

Franchino chiariamo subito una cosa: vieni da Roma nord o da Roma sud?

Teoricamente vengo da Roma centro! Sono nato nel quartiere Prati, mia mamma era di la’ ma cresco e vivo fino a 20 anni a San Giovanni. Poi a dire il vero quando ero ragazzo io non esisteva questa divisione netta di pensiero tra Roma nord e Roma sud. Mi spiego meglio, c’era ma non era palesata o etichettata come invece è successo negli ultimi 15 anni. Mi definisco infine un “Roma sud”, è la Roma che alla fine mi ha adottato, dove mi trovo bene e sicuramente più affine al mio modo di vivere, popolare, de core e dove forse qualcuno ancora ti saluta per strada e ti chiede come stai! A Roma nord ormai sembra comincino a mangiare le cotolette alla milanese e fanno le cartoline col Duomo! Noi ci teniamo la nostra veracità e il Colosseo.

Il tuo personaggio che oramai spopola su Youtube è quello di Franchino specializzato in una vera e propria arte marziale mistica detta “faccia da matto”… Come nasce il personaggio?

Tutto quello che ne è scaturito compresa la Franchino Magia e sopratutto la Faccia da Matto sono state delle “trovate” venute sul momento, su due piedi, come tutto quello che giriamo d’altronde. Non abbiamo mai un copione scritto e andiamo a braccio su un’idea. Sarebbe bello a questo punto lavorare con un minimo di preparazione e sceneggiatura scritta chissà se ne sarei in grado e cosa verrebbe fuori. Tutto, dalla faccia fa matto, le vecchiette, l’armo e il disarmo, i dieci euro falsi al barista è tutto inventato al momento. Estro? Fantasia? Forse più idiozia ma alla fine dei conti…mi viene bene!

Passiamo ora a una domanda seria, come nasce il tuo amore per la boxe?

Il mio amore per la boxe nasce da ragazzino, avevo 12 o forse 14 anni quando un amico di mio fratello più grande di me di circa 8 anni mi parlava della boxe e mi faceva vedere alcuni movimenti, ne rimasi affascinato, poi verso i 18/20 anni ho cominciato a praticarla e non ho più smesso, sicuramente sono un tecnico migliore rispetto all’atleta ormai di un tempo ma 20 anni fa la boxe era molto molto diversa.

Qualcuno non ironico ti vede come un bullo, al contrario io ti vedo come un predatore di bulli. Dimmi la tua su come aiutare le vittime dei bulli? La boxe serve?

Chi mi vede come un bullo ha evidentemente una percezione sbagliata di quello che lo circonda e di come vede, legge e traduce la vita. Il personaggio di Franchino il criminale è un maleducato, inopportuno, manesco ma non un bullo. Io personalmente sono ovviamente contro ogni forma di bullismo, lo combatto e nel mio piccolo sensibilizzo il pensiero dei ragazzi che mi circondano a questa piaga socio comportamentale.
La boxe come ogni altro sport da combattimento serve sicuramente a combattere il bullismo e secondo me serve per entrambe le figure ovvero sia al bullo che al ragazzo/a bullizato/a. Il bullo ha modo di confrontarsi con altri ragazzi/e forti sia mentalmente che fisicamente dei quali non può approfittarsi o sfogarsi, cambiare modo di pensare, di ragionare e di vivere.
Altresì tutti i ragazzi/e che subiscono atti di bullismo con gli sport da combattimento trovano più che una sicurezza direi un equilibrio psico/fisico che permette loro piano piano di prendere coscenza di se, dell’atto di prevaricazione e quindi con i giusti mezzi il modo di contrastarlo. Con giusti mezzi non intendo calci e pugni ma una condizione mentale per la quale l’atto di prevaricazione per loro perda importanza.

Ora passo ad una domanda standard. Che rapporto hai con la paura?

La paura è una conditio sine qua non della vita di tutti. La paura fa parte di noi stessi e prende varie forme. Ci conviviamo quotidianamente, tutti abbiamo paura di qualcosa. Si un pugno? Della solitudine? Della morte? Del diverso? L’importante è saperla manipolare e farne uscire qualcosa di positivo, “nasconderla sotto al tappeto” come fosse polvere.

Sei un appassionato di sport popolare e riesci ad inserire pure la boxe in questo concetto?

Lo sport popolare è fondamentale per la società di oggi. È politica, è politica sociale. Dove lo Stato latita con strutture e organizzazione lo sport popolare mette toppe importanti. Da una parte abbiamo un sistema di mercificazione dello sport e del benessere, dall’altra abbiamo una mano tesa e un aiuto a chi non può permetterselo perché lo sport è uj diritto di tutti e tutte. Mentre lo stato si preoccupa di costruire impianti, piscine e altro per pura speculazione edilizia per poi, come in molti, troppi casi, lasciarli all’abbandono, mentre grandi catene e aziende vedono nello sport solo profitto, lo sport popolare offre questo con una qualità senza pari a prezzi contenuti e, spesso, gratuitamente. Togliere spazi alla speculazione edilizia, al profitto di pochi per poi resistuirli alla cittadinanza in termini di beni e servizi è molto importante per il semplice fatto che non viene fatto da chi di dovere. Restituire alla cittadinanza come dicevo in beni e servizi nel caso dello sport popolare appunto offrendo una scelta diversa ma con altissima qualità a tutti/e. Lo sport popolare ormai è una realtà e nel mondo del pugilato sta diventando sempre più una bellissima realtà.

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

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Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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