Collegati con noi

Cronache

Boss di mafia liberi, Maresca minacciato: è finito tutto, sono stato lasciato solo, non ci sto più, vado a casa

Pubblicato

del

È finito tutto!
Purtroppo si sta verificando quello che si temeva. Anzi, a dire il vero, accade quello che tre o quattro di noi temevamo.
E che abbiamo denunciato per settimane. Ecco il primo detenuto ristretto al 41 bis ad andare a casa.
Si chiama Francesco Bonura, un mafioso siciliano di prim’ordine. Capomandamento e fidatissimo di Bernardo Provenzano.
Neanche l’ultimo fesso. Avrebbe dovuto scontare altri 14 anni di carcere! A nulla rileva che ha 78 anni, perché i mafiosi sono sempre pericolosi, non a caso vengono ristretti in regime di carcere duro. È finito tutto.
Neanche la Procura Nazionale Antimafia è riuscita a mettere un argine alla fuga dei mafiosi nelle loro belle case, vicini ai tanti picciotti che li aspettavano come il pane. Purtroppo, avevamo lanciato l’allarme tempo fa.

I martiri della lotta alla mafia. Scarcerare i mafiosi con la scusa dell’epidemia equivale ad assassinare ancora una volta Falcone e Borsellino

Ma ora a che serve!
Si è aperta una ferita difficilmente rimarginabile. E chissà quanti altri mafiosi ora lo chiederanno a gran voce, basandosi su questo illustre precedente.
E per i colleghi magistrati anche più rigorosi sarà ora molto più difficile dire di no.
È finito tutto.
E il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria tenta goffamente di discolparsi, sostenendo che la circolare del 21 marzo con cui si dispone di “comunicare subito all’Autorità giudiziaria per le sue determinazioni” i detenuti con varie patologie indicando nel contempo “se dispongono di un domicilio idoneo”, avrebbe avuto solo funzione conoscitiva.
Peccato che anche grazie a questa circolare decine di mafiosi stiano godendo di un inatteso (anche per loro) periodo di vacanza domiciliare.
È facile, ora che il danno è fatto, dire che è colpa dei magistrati che decidono liberamente.

Di sicuro così il Dap se ne lava le mani. Se il magistrato li libera è colpa sua, se non li libera e il detenuto si ammala è sempre colpa sua. Non mi sembra un bel modo di assumersi le proprie responsabilità.

Perché invece il Dap non ha adottato i presidi sanitari e le modifiche organizzative necessari a fronteggiare l’emergenza sanitaria?
All’esito avrebbe potuto comunicare all’autorità giudiziaria che le precauzioni e le misure anche strutturali adottate consentivano di tenere sotto controllo la situazione.
Nulla di tutto questo è stato fatto e i mafiosi vanno a casa.

Ed ora lo possiamo purtroppo tristemente constatare: la gestione dell’emergenza carceraria è stata un fallimento totale. Epidemia ancora in circolazione, mafiosi a casa e quelli che restano in carcere sono liberi di parlare e di mandare videomessaggi ai loro affiliati.

È stato riportato su un quotidiano napoletano che alcuni esponenti del clan degli Scissionisti di Secondigliano, Cesare Pagano (detenuto a Cuneo), Raffaele Amato (Sassari), Mariano Riccio (Terni), e quelli dell’Alleanza di Secondigliano (fronte clan Contini del Vasto-Arenaccia), Ettore Bosti (detenuto a Cuneo) e Nicola Rullo (Novara), hanno chiesto di poter effettuare chiamate via Skype con i loro congiunti. Videochiamate al posto delle classiche telefonate.

Il capo della mafia. Immaginate quelli che danno la caccia a Matteo Messina Denaro e vedono i boss di mafia uscire dalle celle e tornare a casa

Non c’è chi non veda quanto tutto ciò sia assolutamente pericoloso.
Come è noto a tutti le videochiamate non sono intercettabili.
Forse anche su questo il Dap, appena se ne accorgerà, proverà a giustificarsi prendendosela con la tecnologia che non consente le intercettazioni.
Non sarà mica colpa del Dap che li ha autorizzati?
Traete voi le conclusioni.
Io ho fatto questa battaglia anche troppo tempo, e ci ho messo il cuore. Ma stavolta ho perso.
Sono stato lasciato solo. Minacciato e bistrattato da quattro ignoranti filomafiosi.
Mi ha confortato solo la vicinanza e la solidarietà della gente perbene.
Ma il Palazzo è sordo.
E allora sapete che vi dico. Non ci sto più, a questo gioco, in cui le regole le fanno a proprio gusto e piacimento. Non ci sto più.
Vado a casa, anzi resto a casa.
Giocatela voi questa partita e buona fortuna.

Grazie all’epidemia e al Dap, molti boss festeggeranno la Pasqua a casa

 

Documento. Questa è la circolare del Dap e sotto c’è il comunicato stampa del Dap

Poi c’è a che questa nota del Dap sui colloqui dei detenuti

La certezza della pena? Chissènefrega! Ci sono magistrati che vorrebbero “liberare” fino a 20mila detenuti

 

Solidarietà bipartisan a Maresca e Gratteri, i magistrati antimafia minacciati e insultati sui social

 

Il Presidente della Fondazione Caponnetto: le analisi di Maresca pongono interrogativi inquietanti, s’indaghi

SCARCERAZIONI, DA DAP CIRCOLARE SOLO PER MONITORAGGIO.
MINISTERO ATTIVA UFFICI PER APPROFONDIMENTI

Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria non ha diramato alcuna disposizione a proposito dei detenuti appartenenti al circuito di alta sicurezza o, addirittura, sottoposti al regime previsto dall’art. 41bis dell’Ordinamento Penitenziario. Lo afferma, in una nota, il DAP chiarendo che quella inviata il 21 marzo scorso agli istituti penitenziari è una richiesta con la quale, vista l’emergenza sanitaria in corso, si invitava a fornire all’autorità giudiziaria i nomi dei detenuti affetti da determinate patologie e con più di 70 anni di età.
Un semplice monitoraggio, quindi, con informazioni per i magistrati sul numero di detenuti in determinate condizioni di salute e di età, comprensive delle eventuali relazioni inerenti la pericolosità dei soggetti, che non ha, né mai potrebbe avere, alcun automatismo in termini di scarcerazioni.
Le valutazioni della magistratura sullo stato di salute di quei detenuti e la loro compatibilità con la detenzione avviene ovviamente in totale autonomia e indipendenza rispetto al lavoro dell’amministrazione penitenziaria.
Dal ministero – conclude la nota del DAP – comunque sono stati attivati gli uffici per fare le tutte le opportune verifiche e approfondimenti.

Advertisement

Cronache

Giffone (RC), i Carabinieri scoprono e distruggono la quinta piantagione di marijuana in pochi giorni

Pubblicato

del

Continuano le operazioni di contrasto alla coltivazione illegale di marijuana nel comune aspromontano di Giffone. I Carabinieri della Compagnia di Taurianova, supportati dallo squadrone eliportato “Cacciatori di Calabria”, hanno scoperto e distrutto un’altra vasta piantagione di marijuana nascosta in una zona boschiva e impervia. Questa è la quinta piantagione individuata nel giro di pochi giorni.

Durante l’ultimo intervento, i militari hanno rinvenuto oltre 2500 piante di marijuana, alcune delle quali superavano i due metri di altezza e si trovavano già in uno stato avanzato di crescita, pronte per essere raccolte. Sul posto, è stato sorpreso un giovane di 21 anni, residente a Giffone, mentre controllava lo stato di maturazione delle piante e gestiva un sofisticato sistema di irrigazione.

L’operazione ha impedito la produzione di oltre 70 mila dosi di marijuana, che avrebbero avuto un valore di mercato di circa 600.000 euro. Grazie all’intervento tempestivo dei Carabinieri, le piante sono state estirpate e sequestrate, prevenendo così l’immissione sul mercato illegale degli stupefacenti.

Attualmente, il procedimento è nella fase delle indagini preliminari. La responsabilità del giovane arrestato sarà valutata nel corso del successivo processo, in base alla fondatezza delle accuse mosse a suo carico. Non si escludono ulteriori sviluppi investigativi e probatori, anche in favore della persona indagata.

L’impegno dei Carabinieri nel contrastare la coltivazione e il traffico di droga continua a dare risultati significativi. La scoperta e la distruzione di queste piantagioni rappresentano un importante passo avanti nella lotta contro il mercato illegale degli stupefacenti, contribuendo a proteggere la salute pubblica e la sicurezza della comunità.

Continua a leggere

Cronache

Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

Pubblicato

del

Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

Continua a leggere

Cronache

‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

Pubblicato

del

Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto