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Paniere salva-spesa, c’è l’accordo con l’industria

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Anche le industrie di largo consumo ci stanno. Dopo mesi di trattativa, c’è il loro sì al patto sul trimestre anti-inflazione, per offrire a prezzi calmierati o ribassati, dal primo ottobre al 31 dicembre, una serie di prodotti del carrello della spesa. Si sono riuniti i fronti delle associazioni del commercio – che firmeranno il protocollo vero e proprio – e quelle della produzione. “Il paniere tricolore sarà davvero tale, tutti insieme, uniti e in campo”, ha affermato il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, definendo l’iniziativa il “colpo definitivo contro l’inflazione” al termine dell’incontro, in videoconferenza, con i vertici delle associazioni Unione Italiana Food, Centromarca, Federalimentare e Ibc che ha sbloccato l’accordo. Queste organizzazioni hanno presentato una lettera di intenti, che è stata accolta dal ministro.

La lettera le impegna. tra l’altro, a chiedere alle proprie associate di “valutare, nel rispetto della libera concorrenza e della strategia di ciascuna impresa e su base volontaria, di sviluppare iniziative di politica commerciale tese a contrastare l’inflazione” sui prodotti individuati. Anche le associazioni dell’artigianato Confartigianato, Cna e Casartigiani hanno ribadito il loro impegno contro il caro-prezzi in una lettera al ministro. Tutt’altra lettera è stata inviata dalle associazioni dei consumatori che partecipano alla commissione di allerta rapida sui prezzi al sottosegretario Massimo Bitonci per chiedere una riunione urgente del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti. Le associazioni lamentano di non essere state coinvolte sul patto, chiedono che il suo andamento sia monitorato da osservatori territoriali e che siano adottate misure strutturali sul caro-vita.

“La lotta all’inflazione e la tutela del potere d’acquisito delle famiglie è una priorità per il tessuto industriale del Paese”, hanno sottolineato il presidente di Centromarca, Francesco Mutti, e di Ibc, Flavio Ferretti, dopo l’intesa. “Faremo la nostra parte nei confronti dei consumatori italiani”, è stato il commento del presidente di Unione Italiana Food, Paolo Barilla, mentre il presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino, ha ricordato i “fortissimi aumenti” subiti dal comparto sul costo delle materie prime, degli imballaggi e dell’energia. Di fronte al cambio di rotta delle associazioni del largo consumo, i presidente di Coop, Marco Pedroni, e di Federdistribuzione, Carlo Alberto Buttarelli, hanno espresso soddisfazione per la scelta di aderire al patto, che pure hanno definito entrambi “tardiva” e hanno auspicato in una riduzione dei listini. Il tempo intanto stringe. Ci sono poco più di 20 giorni per definire le iniziative promozionali, che possono essere adottate in modalità flessibile dalle imprese, ed entro il 23 settembre le associazioni dovranno comunicare le aziende aderenti al Mimit. Saranno riconoscibili dal bollino tricolore con la scritta “Trimestre anti-inflazione” esposto in vetrina.

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Politica

Pp vince in Spagna ma non sfonda, Sanchez resiste

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Il Partito Popolare ha vinto le elezioni europee in Spagna ma con uno scarto minimo sul Psoe del premier Pedro Sanchez. Se gli exit polls sono confermati, il risultato spagnolo riflette quello delle elezioni politiche del 23 luglio 2023 con una sostanziale differenza: l’avanzata delle destre. Oltre a Vox, al 10,4 %, cresce la new entry del partito antieuropeo e dell’ultradestra ‘Se acabò la fiesta’, la festa è finita (Salf), di Alvise Perez. I popolari, guidati da Dolors Montserrat, con una stima del 32.4% dei voti otterrebbero 21-23 dei 61 seggi che la Spagna elegge nell’Eurocamera.

Un buon risultato rispetto al 20,3% e ai 12 scranno ottenuti nel 2019, grazie all’annessione dei liberali di Ciudadanos che 5 anni fa ottennero 12 seggi e sono rimasti ora fuori dal Parlamento europeo. Ma l’onda azzurra del Pp, dopo aver vinto le elezioni politiche con il 33%, non sfonda nel test elettorale che il leader del Pp, Alberto Nunez Feijoo aveva impostato come un referendum sul governo di Pedro Sanchez. Il Psoe, guidato dalla vicepremier per la Transizione ecologica Teresa Ribera che aspirante all’incarico di commissaria di Energia e Clima come vicepresidente nella prossima Commissione Europea, si attesta al 32,4%, ottenendo fra i 21 e i 23 scranni. Una tenuta rispetto al 33,1% e i 21 seggi ottenuti cinque anni fa, quando i socialisti si presentarono con Josep Borrell come capolista. Vox, con Jorge Buxadé, candidato per la seconda volta come capolista, tra i fondatori ed ex militante della Falange Spagnola, ottiene il 10,4%, che gli consente di ottenere fra i 6 e i 7 deputati nel Parlamento europeo, raddoppiando i 3 del 2019, quando ottenne il 6,2% dei suffragi.

Un’affermazione per il partito di estrema destra del leader Santiago Abascal, aderente alla famiglia dei Conservatori e Riformisti Ecr, che aspira ad essere determinante nel Parlamento europeo. Abascal è stato fra i primi ad aver risposto all’invito di Marine Le Pen, sua ospite alla convention delle destre a Madrid, a formare un maxi-gruppo delle destre a Bruxelles.

Ma Vox ha trovato un competitore nella destra radicale di Salf (‘La festa è finita’) di Alvise Perez, il 34enne sivigliano, antieuropeista e xenofobo, rottamatore del sistema partitocratico ed emulo del presidente argentino Javier Milei, che all’esordio ottiene, secondo gli exit polls, il 3,9% dei suffragi, conquistando 2-3 seggi. Sul fronte opposto, la piattaforma di sinistra Sumar, della vicepremier per il Lavoro Yolanda Diaz, si attesta quarta forza con il 6,3% (3-4-eurodeputati), davanti agli ex soci di Podemos, che si fermerebbero al 4,4%. In coalizione le liste della sinistra avevano ottenuto poco più del 10% nel 2019. Junts ,dell’ex europedeputato Carles Puigdemont, con il capolista Toni Comin otterrebbe solo 1 seggio, dimezzando la rappresentanza di 5 anni fa. In chiave nazionale il risultato conferma la polarizzazione dell’elettorato spagnolo, già emersa dalle urne nazionali.

Ma la vittoria è inferiore alle aspettative per i popolari di Nunez Feijoo, che secondo i sondaggi di un mese fa avevano un vantaggio di almeno 10 punti. L’opposizione alla controversa legge di amnistia e le polemiche, sollevate dall’inchiesta giudiziaria che vede indagata Begona Gomez, la consorte del premier Pedro Sanchez, hanno mosso fino a un certo punto il voto contro i socialisti. Che hanno mobilitato l’elettorato anche sulla crisi diplomatica con Buenos Aires dopo le accuse di ‘corruzione’ del presidente argentino Javier Milei al governo progressista e alla moglie di Sanchez.

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Politica

Shock in Germania, l’ultradestra di Afd scavalca Scholz

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Olaf Scholz ci aveva messo la faccia: c’è il suo volto sui manifesti elettorali in Germania. E dunque queste elezioni europee, nella Repubblica federale, dove la Cdu si è affermata come primo partito, e l’ultradestra ha sorpassato i socialdemocratici, sono uno “schiaffo al cancelliere”. Con il voto del 9 giugno, anche i tedeschi si sono spostati più a destra. E questo a poche ore dal risultato scioccante arrivato dall’Austria, dove gli estremisti del Fpo sono risultati per la prima volta in vantaggio su tutti. “È un grande successo per noi. E un disastro per i partiti del governo del Semaforo”, ha commentato euforico il leader dei democristiani Friedrich Merz, il quale ha subito aggiunto: “Ma questa è anche una grave sconfitta per il cancelliere, che ha fatto campagna personalmente sui manifesti come Kanzler della pace”. Nelle seconde file, Carsten Linnemann e Jens Spahn hanno evocato perfino la questione di fiducia, per aprire la strada alle urne.

“Scholz resta cancelliere”, la replica ferma di Saskia Esken, copresidente dei socialdem, dove i responsabili di partito hanno ammesso lividi di “non aver puntato” su un risultato del genere e di dove ancora “analizzare” il voto. Mentre Tino Chrupalla, leader di Afd, ha esultato per l’esito “da record” dell’ultradestra, che ha corso senza capolista, a causa dei diversi scandali che hanno colpito Maximilian Krah. Stando alle proiezioni della serata pubblicate dall’emittente pubblica ARD, i democristiani di Friedrich Merz, alleati con la Csu bavarese, confermano il grande vantaggio annunciato da tempo dai sondaggi con un 30,3% (nel 2019 erano al 28,9). E c’è un netto scatto in avanti dell’ultradestra di Afd, che raggiunge il 16% (era all’11%) ed è primo partito nell’est del Paese. Ben due punti in più dei socialdemocratici di Scholz, che col 13,9% peggiorano rispetto al risultato già molto deludente di cinque anni fa (15,8), archiviando il peggior dato mai registrato alle europee. Crollano i Verdi, che hanno raccolto un magrissimo 11,9% (nel 2019 erano addirittura al 20,5), resistono i Liberali, dati al 5% (5,6) e si afferma il nuovo partito di Sara Wagenknecht con un 6%, conquistato fin dalla partita di esordio.

Infine frana la Linke, che l’attivista Carola Rackete non è riuscita a salvare dal naufragio: 2,7% (era al 5,5%). “La destra avanza ovunque. Anche in Italia con Meloni, in Francia con Le Pen, non solo qui. La situazione è nera. Questo mi fa paura per il futuro e anche per il presente”, il commento dell’ex attivista, divenuta nota per le azioni di salvataggio dei migranti nel Mediterraneo e lo scontro con Matteo Salvini. Con al centro temi come la guerra in Ucraina e i migranti – questione riaperta da un attentato a Mannheim commesso da un afghano che ha ucciso un poliziotto – la campagna elettorale in Germania è stata a dir poco turbolenta, segnata da scandali e violenza. L’ultradestra ha dovuto liquidare per strada il suo capolista, accusato di posizioni filorusse, finito in una bufera a causa dell’arresto del suo assistente per spionaggio cinese, e infine caduto sulle dichiarazioni sulle SS. Parole che hanno pesato anche sull’espulsione del partito dal gruppo Id.

Tutto questo non è bastato ad allontanare però gli elettori che i servizi interni tengono sotto osservazione per le posizioni anticostituzionali. E Afd, con la sua abile campagna su Tik Tok, sembra aver attirato soprattutto tanti giovani, nella Germania dove per la prima volta oggi hanno votato anche i sedicenni. In Austria il partito di estrema destra Fpo ha fatto anche meglio, affermandosi come primo della lista col 27% dei voti, con il suo candidato di punta Harald Vilimsky. Mentre Ovp e Spo si sono contesi il secondo posto con un 23% che li vede testa a testa. Anche nel Paese alpino crollano i Verdi finiti al 10,5%, pari merito con Neos.

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In Francia stravince Le Pen, Macron convoca le elezioni

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La Francia è sotto shock: alla vittoria schiacciante, senza appello, del partito di estrema destra di Marine Le Pen alle elezioni europee, ha reagito dopo pochi minuti il presidente sconfitto e sconfessato, Emmanuel Macron. “Non posso fare come se niente fosse, ho deciso di ridare a voi la scelta sul vostro futuro parlamentare con il voto. Sciolgo questa sera l’Assemblée Nationale”, ha annunciato. Subito dopo una raggiante Marine Le Pen ha preso la parola: “Siamo pronti a governare”. La Francia entra in una fase istituzionale finora sconosciuta e densa di incognite, tutto sembra possibile in un Paese che si trova impegnato con tutte le sue forze nella preparazione delle imminenti Olimpiadi.

Macron, che ha chiesto invano una “tregua olimpica” ai protagonisti dei conflitti internazionali, si ritrova in trincea all’Eliseo, senza maggioranza e con la prospettiva di dover governare con Le Pen, schieramento da sempre suo più irriducibile avversario. Lo scenario ha lasciato letteralmente senza parole i francesi: su diverse emittenti l’annuncio di Macron è stato seguito da lunghi secondi di silenzio, con le telecamere che inquadravano gli ospiti in studio ammutoliti. La prospettiva – che prenderà forma nei due turni elettorali, fissati al 30 giugno e al 7 luglio – è quella che se il larghissimo risultato favorevole all’estrema destra si confermerà, Macron sarà costretto alla coabitazione con un esponente del Rassemblement National a capo del governo, probabilmente Jordan Bardella, il ventottenne capolista che ha ottenuto il miglior risultato della storia del partito di Le Pen.

Su una conclusione sono d’accordo tutti gli osservatori e gli analisti politici: quello che sta succedendo in Francia è inedito. In una serata mozzafiato, l’Eliseo ha annunciato il discorso di Macron ai francesi in diretta tv pochi minuti dopo la diffusione dei risultati, che dava uno scarto di oltre 16 punti fra il partito lepenista e quello macroniano, che conta meno della metà dei voti dei vincitori (32% contro 14,5%). Atteso, annunciato, da molti temuto, da altri invocato, il terremoto politico è arrivato puntuale: Macron e il “macronismo” hanno subito la più cocente delle sconfitte nelle elezioni meno europee che abbia vissuto il Paese. Come voleva Marine Le Pen, la consultazione europea è stata esclusivamente un voto di “metà mandato” per battere e umiliare il presidente della Repubblica.

Davanti a sé, il presidente che ancora ieri percorreva maestosamente gli Champs-Elysées al fianco di Joe Biden, discutendo poi con lui di guerra in Ucraina e insistendo nel voler guidare una coalizione di intervento e appoggio a Kiev. Il risultato ha sconfessato pienamente il presidente e il governo in carica con una chiarezza senza precedenti. Festeggiano non soltanto l’estrema destra, che ha inseguito questo risultato trasformando la campagna delle europee in un referendum pro o contro Macron. Ma anche l’estrema sinistra de La France Insoumise, che negli ultimi giorni ha intensificato la protesta filopalestinese e ora – superando il 9% – può rimproverare a Macron di aver “perso ogni legittimità”, come ha gridato dal palco Manon Aubry, la capolista.

Con il risultato più importante della sua storia, attorno al 32%, il Rassemblement National ha trovato anche il suo leader, il giovane Jordan Bardella, che a 28 anni e un milione di seguaci su TikTok, diventa anche il più votato in categorie come i pensionati e i dirigenti. Gli analisti si affannano a proclamare che “il soffitto di cristallo”, l’insieme di norme e convinzioni dell’elettorato che impediva all’estrema destra di essere vincente in Francia, è stato infranto. Il cammino di sdoganamento è cominciato 20 anni fa con Marine Le Pen, che dopo aver estromesso il padre e fondatore del partito, Jean-Marie Le Pen, ha cominciato a portare deputati in Parlamento, a cambiare il volto dei leader del partito.

Oggi, in vista del 2027, Marine Le Pen si pone come la più seria candidata alla successione di Macron, dopo aver già promesso la poltrona di premier a Bardella. Con i macroniani umiliati e i lepenisti trionfanti, gli altri partiti festeggiano le loro performance: Raphael Glucksmann ha ottenuto un 14% con il suo Place Publique targato Ps, che di fatto rilancia i socialisti; la France Insoumise, che supera il 9% con Manon Aubry capolista che migliora il record del 2019 e che celebra la “sconfitta di un macronismo allo sbando”; i Républicains, che – lontani dai fasti del passato neogollista – non affondano e restano al 7,2%; Marion Marechal della destra di Zemmour, che supera il 5% ed entra nel Parlamento europeo come gli ecologisti, che temevano il peggio.

Ma tutto è ora orientato verso il futuro prossimo, scadenze elettorali che decideranno i destini del Paese e che annunciano nuovi colpi di scena. Il primo è già arrivato: la maggioranza ha annunciato – attraverso il ministro degli Esteri, Stéphane Séjourné – che non presenterà propri candidati contro i Républicains uscenti nelle loro circoscrizioni. Un primo abbozzo di “front Républicain”, l’antica alleanza contro l’estrema destra che ha funzionato per decenni in Francia ma che sembra difficile ricostruire in pochi giorni.

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