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L’Intelligenza Artificiale entra nelle redazioni, dubbi e opportunità

l’intelligenza artificiale (IA) non è un trend passaggero. Al pari di internet, sta arrivando per rimanere. In un modo o nell’altro bisogna prepararsi.

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L’intervento di OpenAI all’ultimo convegno di Wan-Ifra è stato come vedere entrare la volpe nel pollaio: ha generato discussioni tra editori e giornalisti internazionali, divisi in due schieramenti tra favorevoli e contrari a fornire contenuti per l’allenamento dell’intelligenza artificiale. Soprattutto, anche tra i favorevoli, il dubbio che resta è: «anche accordandosi con OpenAI, che fare di eventuali introiti dalla società di ChatGPT? Come utilizzarli in modo efficace per innovare i giornali?».

Secondo alcuni partecipanti al convegno organizzato a fine maggio a Copenaghen dall’organizzazione non-governativa della stampa mondiale, anche l’intervento del New York Times ha creato tensioni. Il quotidiano USA ha deciso di fare causa alla big tech guidata da Sam Altman, ma, secondo i più, è un’operazione incerta e costosa che, probabilmente, solo le grandi testate possono permettersi.

Ecco perché in molti si sono concentrati su un’indagine di Associated Press sull’uso oggi dell’IA nelle redazioni. Premessa: nessuno osa usarla al momento per scrivere articoli. Quasi il 70% si affida alla nuova tecnologia per l’editing, facendosi aiutare nella scelta di un titolo più efficace o in chiave di ottimizzazione SEO per i motori di ricerca oppure per riassumere in un sommario i punti chiave dell’articolo. Secondo la ricerca internazionale, segue un 21,5% che utilizza l’intelligenza artificiale per aggregare lanci di agenzia e per seguire i trend social. Infine, un 20,4% ottimizza tempi e costi (altro tema legato all’IA) nel creare immagini o video unici senza dover pagare per accedere ad archivi terzi. Infine, più contenute le percentuali di chi traduce testi ed elabora dati.

Certo è che, nell’audience danese, non mancano le pubblicazioni che hanno iniziato a spingersi un po’ più in là. È il caso della testata polacca Onet che non solo ha automatizzato i processi organizzativi del proprio sito ma personalizza i titoli dell’homepage a seconda di chi apre il portale. Non in base a target statistici di appartenenza, ma direttamente riconoscendo l’utente online.

Non sono ancora in marcia verso la nuova era tecnologica dell’informazione ma molti editori locali scaldano i motori, sia per lanciare nuovi servizi diversificati (per esempio guide turistiche in varie lingue sulle attrazioni dei territori, tradotte e impaginate dall’IA) sia soprattutto perché gli over-the-top (OTT) sembrano loro meno attenti a presidiare la cronaca locale. Strategia che lascia campo libero a nuovi edizioni digitali dei giornali territoriali, senza più la paura di cannibalizzare l’edizione cartacea.

La battuta migliore è stata: «abbiamo passato il tempo a cercare la parola migliore per il titolo migliore; adesso la priorità è saper dare velocemente più servizi ai lettori, avvertendo se una strada è interrotta o se sta per scatenarsi una bufera di neve».

E i giovani in questa rivoluzione della stampa? Ossia coloro che oggi s’informano poco. Per farsi coinvolgere, chiedono prima di tutto, secondo una ricerca danese, che i giornali li aiutino a capire chiaramente, imparare bene (un po’ come a scuola) i grandi eventi. Secondo, cercano spunti e strumenti per poter affrontare questi temi, in particolare facendosi spiegare quali sono le conseguenze locali, per loro, dei grandi fenomeni globali. Ma leggerebbero un giornale di carta? Forse, al momento è percepito come una cosa da professionisti abbienti.

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Lillo si racconta tra successi, bugie e risate: “Sono un sognatore, non un egoista”

In un’intervista al Corriere della Sera, Lillo parla del suo nuovo film, del successo di Posaman, del rapporto con Greg e del dolore per il taglio nella “Grande Bellezza”.

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È ironico, vanesio, bugiardo “il giusto”, ma soprattutto sincero nel dichiararsi un eterno sognatore. Lillo (foto Imagoeconomica in evidenza), protagonista del nuovo film Tutta colpa del rock (in uscita al cinema il 28 agosto), racconta al Corriere della Sera il suo personaggio – un padre assente che finisce in carcere e forma una band – e riflette sulle sue verità private e professionali.

“Bugie? A volte aiutano. Ma non sono egoista”

Lillo si descrive senza filtri: «Il giusto, non esistono persone che non dicono bugie. A volte una bugia aiuta», ammette. Ma nega di essere egoista: «Sono un sognatore che sogna troppo, dovrei restare più coi piedi per terra».

Dai palchi con Greg alla popolarità di Posaman

Ripercorrendo la carriera, Lillo ricorda gli esordi con Greg e la band Latte & i suoi Derivati. «Una volta arrivammo in un locale e c’era una fila che girava intorno al palazzo. Pensai: dev’esserci un evento importante… invece erano lì per noi».

Poi arriva la popolarità planetaria con LOL e il personaggio di Posaman: «Il supereroe delle pose ha colpito perché infantile, diretto, si rifà a una comicità ancestrale. Comunica all’inconscio: tutti ci mettiamo in posa. È andato oltre le mie intenzioni».

Con Greg è una coppia “non di fatto, ma di amanti”

Lillo chiarisce: «Io e Greg abbiamo sempre avuto percorsi paralleli: lui più nella musica, io nel cinema. Non è mai esistita gelosia. Siamo più amanti che una coppia di fatto».

L’amicizia con Corrado Guzzanti: tra B-Movie e videogame

Tra i momenti privati, c’è l’amicizia con Corrado Guzzanti: «Passiamo serate nerd tra giochi da tavolo e B-Movie girati malissimo. Ma ogni tanto spunta anche qualche chiacchierata matura».

So’ Lillo, La grande bellezza e l’Oscar mancato

Il tormentone So’ Lillo? «Non si costruisce a tavolino. Lo trova il pubblico». E sulla Grande Bellezza: «Ero il protagonista. Ma in montaggio mi hanno tagliato così tanto che alla fine è diventato un film su Servillo. Ci sono rimasto male».

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Economia

Leonardo Maria Del Vecchio: “Costruire, non ereditare”. La visione dell’erede di Luxottica

Leonardo Maria Del Vecchio racconta il progetto LMDV Capital: investimenti industriali, crescita strategica e il ruolo attivo nel rilancio di Ray-Ban e altri brand italiani.

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Dopo tre anni intensi di acquisizioni e oltre 375 milioni di euro investiti, Leonardo Maria Del Vecchio, 30 anni, presidente di Ray-Ban, fondatore di LMDV Capital e azionista di Delfin, riflette su una fase imprenditoriale in piena espansione. In una intervista rilasciata al Corriere della Sera, sottolinea: «È stata una stagione di forte crescita. Ora sento l’esigenza di definire con maggiore chiarezza la visione e la strategia del nostro progetto».

Un portafoglio che vale un miliardo

Del Vecchio spiega che secondo una delle principali società di revisione, il valore degli asset detenuti da LMDV si attesta attorno al miliardo di euro. La leva finanziaria è contenuta e il debito bancario copre una quota limitata degli asset. Tra gli investimenti rivalutati figurano un palazzo in via Turati, Palazzo Smeraldo e una proprietà in via Monte Napoleone, a copertura dell’intera esposizione bancaria stimata in circa 150 milioni.

Credibilità costruita sul campo

Il nome Del Vecchio ha certamente un peso, ma Leonardo tiene a precisare: «Non ho chiesto credito sulla base del cognome. Ho ottenuto fiducia grazie a quello che ho fatto». Il suo ruolo attuale in Ray-Ban e nel gruppo EssilorLuxottica, sottolinea, non è stato ereditato ma assegnato dopo la morte del padre, in virtù dei risultati concreti ottenuti.

Dialogo aperto in Delfin

In vista dell’assemblea degli azionisti di Delfin del 31 luglio, Del Vecchio si dice ottimista: «Le posizioni più estreme si stanno ammorbidendo. Se non sarà a luglio, troveremo un’intesa a breve».

Una strategia di sinergie tra settori

Il gruppo investe in logica industriale, non speculativa. Acqua e Terme Fiuggi, Leone Film Group, ristoranti come Vesta e Twiga: ogni asset è pensato per generare valore e sinergie tra hospitality, entertainment e immobiliare. «Non cederemo mai i nostri brand a chi ne disperde il valore».

Crescita verticale e identità forte

Del Vecchio racconta l’evoluzione di Twiga, passato da 20 a 70 milioni di fatturato in 18 mesi, e la valorizzazione della Leone Film, che punta a diventare anche agenzia musicale e contenitore culturale. «La nostra è una crescita rapida ma strutturata».

Innovazione e sostenibilità con Esa NanoTech

L’ultimo investimento è in Esa NanoTech, azienda con un processo brevettato per produrre grafene da plastica riciclata. «Un’attività che sostiene l’economia circolare», afferma Del Vecchio, evidenziando l’impegno per una crescita sostenibile e tecnologicamente avanzata.

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Cultura

Valentina Alferj ricorda Andrea Camilleri: “Mi manca il suo senso civile, le parole erano pietre”

L’ex assistente di Camilleri, Valentina Alferj, racconta il loro legame umano e professionale, dal metodo di scrittura condiviso fino al ruolo civile della parola.

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Valentina Alferj, per sedici anni accanto ad Andrea Camilleri (foto Imagoeconomica), oggi guida una sua agenzia letteraria. È reduce dalla prima edizione del Festival di Teatro della Biennale di Venezia, realizzata insieme a Willem Dafoe. In una lunga intervista al Corriere della Sera, racconta il suo legame con il grande scrittore siciliano.

L’ultimo saluto e una promessa di vita

«Lo salutai al telefono il giorno prima che perdesse conoscenza. Ero a Ischia, rientravo a Napoli in barca. Mi disse: sarà un viaggio bellissimo». Un saluto che Valentina ha trasformato in un impegno a celebrare ogni giorno l’esperienza condivisa con lui.

Una bottega di scrittura condivisa

Alferj incontrò Camilleri nel 2003 al Festival di Massenzio. Fu lui a cercarla il giorno dopo: «Hai degli occhi intelligenti, mi piacerebbe lavorare con te». Da allora, un rapporto professionale e umano che si è trasformato in una vera e propria “bottega” letteraria. Dopo la perdita della vista, Camilleri le chiese di scrivere con lui, dettando i romanzi. «Facevo da tubo catodico tra lui e la pagina bianca», racconta Alferj.

Il metodo Camilleri: rigore e musicalità

Ogni libro di Montalbano obbediva a una “gabbia narrativa”: numero fisso di capitoli, righe per pagina, ritmo preciso. Anche da cieco, Camilleri chiedeva: “Siamo a riga 15, vero?” La padronanza del ritmo narrativo era totale. Il vigatese, lingua in progress, era appreso da Valentina “leggendo e ascoltando”, per comprenderne evoluzioni e sonorità.

I personaggi di Camilleri erano reali

«I romanzi non nascevano da invenzione, ma da occasioni reali. Mio figlio Andrea e mia figlia Gilda, i problemi scolastici, la mia migliore amica: tutto diventava racconto». Camilleri trasformava ogni aneddoto quotidiano in letteratura.

L’eredità morale di un autore civile

Ciò che più le manca non è solo l’amico, ma la sua “responsabilità civile”. «Negli anni di pandemia e di guerre mi sono spesso chiesta cosa avrebbe detto lui». Per Camilleri, nato nel 1925, la parola “pace” aveva un valore assoluto. «Le parole erano pietre – afferma Alferj – le costruiva con il corpo, la voce, il silenzio. Non si poteva non ascoltarlo».

L’incontro con Willem Dafoe e la Biennale

L’incontro con Willem Dafoe, voluto da Pietrangelo Buttafuoco, l’ha portata a collaborare con la Biennale Teatro. «Dafoe sapeva dei miei trascorsi teatrali. E uno dei momenti più belli è stato il “Pinocchio” di Davide Iodice, anche lui allievo di Camilleri all’Accademia».

Il passaggio del testimone

Dalla bottega con Camilleri, alla creazione della sua agenzia letteraria, oggi con Lorenza Ventrone e Carmela Fabbricatore. «Mi ha insegnato che la peculiarità umana delle persone con cui lavoriamo è più importante di qualsiasi successo».

Alla fine, tutto torna a lui: «Vedo il disegno che i puntini compongono. E in quel disegno, intravedo il sorriso di Andrea Camilleri».

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