Collegati con noi

Politica

Bandecchi punta sulla Campania: la Boccia dice no, ma spuntano Rita De Crescenzo e Pasquale Di Fenza, l’ex consigliere cacciato da Azione

Maria Rosaria Boccia rifiuta la candidatura con Alternativa Popolare, ma Bandecchi potrebbe aprire le porte a figure controverse come la tiktoker Rita De Crescenzo e l’ex consigliere regionale Pasquale Di Fenza, espulso da Azione per le sue “amicizie pericolose”.

Pubblicato

del

Ho letto le dichiarazioni del presidente Bandecchi. Confermo che mi ha chiesto di candidarmi, ma preciso che non ho accettato”.
Con queste parole Maria Rosaria Boccia, imprenditrice di Pompei, ha messo fine alle voci che la volevano in corsa con Alternativa Popolare, il movimento guidato da Stefano Bandecchi, sindaco di Terni e nuovo protagonista del panorama politico nazionale.

La Boccia ha però ringraziato Bandecchi “per il coraggio e la libertà di aver pubblicato il mio libro”, precisando che la collaborazione tra i due resta solo editoriale: “Su quello, sì, ci siamo trovati d’accordo”.


Bandecchi guarda altrove: tentazione del populismo “social”

Se dunque è certo che Bandecchi non arruolerà la Boccia, resta il fatto che il leader di Alternativa Popolare sembra pronto a puntare su figure dal forte richiamo mediatico, ma dal profilo politico tutt’altro che irreprensibile.

Tra i nomi che circolano con insistenza ci sono la tiktoker Rita De Crescenzo, personaggio controverso e divisivo dei social, e il suo sodale Angelo Napolitano, con i quali Bandecchi avrebbe avviato contatti informali in vista della costruzione delle liste campane.


Il possibile “acquisto” di Pasquale Di Fenza

Ma il nome più chiacchierato in queste ore è quello di Pasquale Di Fenza, consigliere regionale uscente, cacciato da Azione di Carlo Calenda dopo le polemiche scoppiate per le sue “amicizie pericolose” con Rita De Crescenzo e il suo entourage.

Fu proprio Di Fenza, all’epoca, a ospitare la De Crescenzo e Angelo Napolitano nel suo ufficio del Consiglio regionale della Campania, tra selfie e dirette social, scatenando una bufera politica e mediatica che portò all’espulsione immediata dal partito centrista.

Ora, secondo ambienti vicini a Alternativa Popolare, Bandecchi starebbe valutando di imbarcarlo nel suo progetto politico, con l’obiettivo di costruire una lista “popolare” e fortemente identitaria, capace di intercettare il consenso dei ceti più disillusi e della piazza social.


Alternativa Popolare tra ribellismo e spettacolo

L’eventuale ingresso di figure come De Crescenzo, Napolitano e Di Fenza segna una virata netta verso un modello politico “pop”, più vicino alla comunicazione istintiva dei social che ai tradizionali canoni della politica.

Una scelta che può garantire visibilità e clamore mediatico, ma che rischia di indebolire la credibilità di Alternativa Popolare, soprattutto nel momento in cui il partito tenta di radicarsi anche al Sud come alternativa civica al sistema dei partiti tradizionali.


Il rischio di un laboratorio mediatico più che politico

Se Maria Rosaria Boccia ha scelto di restare fuori, Bandecchi sembra deciso a trasformare la sua campagna in Campania in un vero laboratorio di populismo mediatico, dove influencer, outsider e personaggi discussi potrebbero convivere sotto lo stesso simbolo.

Un’operazione che promette di rompere gli schemi e attirare consensi “di pancia”, ma che rischia anche di spingere Alternativa Popolare verso un terreno scivoloso, più vicino al mondo dello spettacolo che a quello della politica.

Advertisement

Politica

Strasburgo salva Ilaria Salis per un solo voto: scontro nel centrodestra italiano e Ppe spaccato sul caso ungherese

Con un solo voto di scarto il Parlamento europeo salva Ilaria Salis dall’estradizione in Ungheria. Il Ppe si divide, Orban attacca Bruxelles, Salvini e Tajani litigano in Italia. Schlein: “Ha vinto lo stato di diritto”.

Pubblicato

del

Finale al cardiopalma a Strasburgo. Con 306 sì e 305 no, la Plenaria del Parlamento europeo ha approvato l’immunità per Ilaria Salis, salvandola dal ritorno nelle carceri ungheresi.
Alle 12.20 l’ex docente milanese, eletta con Avs, si è alzata con il pugno chiuso, tra applausi, abbracci e baci dei colleghi.
Questo voto è una vittoria per la democrazia, lo stato di diritto e l’antifascismo. La resistenza funziona: siamo tutti antifascisti”, ha dichiarato commossa.

A festeggiarla in aula anche Mimmo Lucano, che le ha portato un mazzo di fiori.


Orban furioso: “Bruxelles protegge i suoi membri”

Durissimo il commento del premier ungherese Viktor Orban, che sui social ha accusato Bruxelles di “proteggere i propri membri”, paragonando il caso Salis a quello del suo rivale politico Peter Magyar, anch’egli salvato dal processo.
Ai burocrati di Bruxelles piace dare lezioni, ma i pezzi del loro puzzle dello stato di diritto non combaciano”, ha ironizzato Orban, definendo Salis “membro di un gruppo terroristico”.


La frattura nel Ppe: franchi tiratori e voto segreto

Dietro il verdetto si nasconde una profonda spaccatura nel Partito Popolare Europeo, che ha trasformato il voto in un campo minato politico.
Se tutti i 188 eurodeputati popolari avessero votato con i conservatori di Ecr, Esn e Patrioti, la revoca dell’immunità sarebbe passata senza difficoltà.
Invece, complice il voto segreto, almeno 70 franchi tiratori hanno ribaltato l’esito.

La spaccatura era nell’aria, nonostante in mattinata il capogruppo Manfred Weber avesse garantito la compattezza del Ppe:
Siamo per le regole, non bisogna politicizzare la questione. I nostri consulenti legali ci hanno detto che l’immunità andava revocata”, aveva dichiarato.

Ma all’atto pratico, tra 100 assenti e 17 astenuti, l’unità si è dissolta. Secondo le prime ricostruzioni, i franchi tiratori sarebbero arrivati dalla delegazione tedesca, polacca e romena, da sempre in rotta di collisione con Orban.

A rafforzare il giallo, la denuncia dell’eurodeputato ceco Tomáš Zdechovskì, secondo cui un “guasto alla pulsantiera” del tedesco Markus Ferber (Cdu) avrebbe falsato il voto. “Ho chiesto di ripetere la votazione ma la presidente Metsola non ha voluto”, ha spiegato.


In Italia esplode lo scontro Salvini–Tajani

La tensione è esplosa anche in Italia.
Dieci minuti dopo il voto, Matteo Salvini ha attaccato duramente:
Col trucchetto del voto segreto anche qualcuno che si dice di centrodestra ha votato per salvare la signora Salis dal processo. Vergogna!”.

Il riferimento a Forza Italia è apparso chiaro, e non si è fatta attendere la replica del leader azzurro Antonio Tajani:
Le calunnie e gli insulti non li accettiamo. Nessuno tradisce. Abbiamo dato indicazioni chiare e siamo stati coerenti. Poi a scrutinio segreto votano oltre 700 parlamentari…”.

Dagli ambienti azzurri si sottolinea che il partito ha sempre difeso il principio del garantismo, ma respinge qualsiasi accusa di slealtà.


Schlein: “Ha vinto lo stato di diritto”

La segretaria del Pd, Elly Schlein, ha invece esultato per il risultato:
Sono felice che abbiano prevalso i principi dello stato di diritto. In Ungheria Salis non avrebbe avuto un processo giusto. E se diversi deputati popolari o di Forza Italia hanno votato a favore, significa che non tutti accettano la propaganda autocratica di Orban”.


FdI attacca: “Violenza politica legittimata”

Da Fratelli d’Italia il tono è opposto. Il co-presidente dei Conservatori europei Nicola Procaccini accusa la sinistra di “aver legittimato la violenza politica”:
Oggi il Parlamento europeo ha invaso il campo della giustizia. Budapest è accusata di violare il diritto, ma è l’Ue ad averlo violato”.

Anche il capo delegazione Carlo Fidanza ha criticato l’esito: “Si è votato in base alle appartenenze politiche, non al diritto”.


Il verdetto che divide l’Europa

Il voto di Strasburgo salva Ilaria Salis e insieme divide il cuore politico dell’Europa.
Da un lato, chi parla di vittoria dello stato di diritto e della libertà individuale.
Dall’altro, chi denuncia un cedimento alla sinistra radicale e una “ferita all’equilibrio dei poteri” tra giustizia e politica.

Quel che è certo è che il nome di Ilaria Salis, già simbolo di un braccio di ferro tra Roma e Budapest, da oggi pesa ancora di più sul fragile equilibrio dell’Unione.

Continua a leggere

Politica

Franchi tiratori a Strasburgo: il voto sull’immunità di Ilaria Salis spacca il Ppe e imbarazza Orban

Il voto sull’immunità di Ilaria Salis si trasforma in un caso politico europeo: il Ppe si divide, emergono franchi tiratori e l’ombra di Orban agita Strasburgo. Anche Forza Italia finisce nel mirino.

Pubblicato

del

Franchi tiratori, o meglio franc tireurs: termine francese, di origine militare, diventato celebre nella politica italiana per i colpi di mano che hanno affossato candidature eccellenti — da Carlo Sforza a Romano Prodi. Oggi la storia si ripete, ma in versione europea. A Strasburgo, sul voto per l’immunità parlamentare di Ilaria Salis, il bersaglio è stato il Partito Popolare Europeo (Ppe), spaccato da un’inattesa rete di franchi tiratori.


Il voto sull’immunità e l’ombra di Orban

Il contesto non era dei più semplici. La sorte giudiziaria dell’eurodeputata italiana, detenuta per mesi in Ungheria, era indirettamente legata al caso Peter Magyar, capo dell’opposizione ungherese e sfidante annunciato del premier Viktor Orban.
A Bruxelles, molti temevano che una Salis liberata o punita potesse avere riflessi politici sul destino di Orban stesso.

Fra i 188 membri del Ppe si sono così moltiplicate le tensioni: delegazioni come quelle polacca, romena e unghereseavrebbero agito in autonomia, mentre all’interno della delegazione tedesca (31 membri) si sospettano divergenze mai dichiarate apertamente.

Sorprendenti, in questo clima, erano state le parole di Manfred Weber, leader dei Popolari, favorevole alla revoca dell’immunità: una presa di posizione che a molti, in aula, è parsa un azzardo.


Forza Italia nel mirino, Tajani nega i franchi tiratori

Il voto segreto ha lasciato più di un dubbio anche in casa italiana.
Fra gli otto eurodeputati di Forza Italia, qualcuno potrebbe aver votato in modo difforme, alimentando il sospetto di franchi tiratori.
Il vicepremier Antonio Tajani ha però respinto con decisione le accuse lanciate dal leader della Lega Matteo Salvini, rivendicando la tradizionale posizione garantista degli azzurri.

Un tema, quello del garantismo, che presto tornerà d’attualità: la plancia di Strasburgo sarà infatti chiamata a votare sulla revoca dell’immunità per Elisabetta Gualmini e Alessandra Moretti (Pd) e per Salvatore De Meo e Fulvio Martuscello (FI), coinvolti rispettivamente nei filoni Qatargate e Huaweigate.


Strategia politica e numeri sospetti

L’esito del voto – 306 sì, 305 no, 17 astenuti – dimostra quanto fosse sottile il margine.
Curiosamente, il numero totale dei votanti (628) è risultato di oltre 90 inferiore al consueto, per poi risalire subito dopo a 638 e poi a 650 nelle votazioni successive. Segno di assenze strategiche, forse orchestrate per favorire la Salis senza esporsi apertamente.

Il parlamentare ceco Tomáš Zdechovskì (Ppe) ha persino parlato di un “guasto alla pulsantiera” del collega tedesco Markus Ferber, che avrebbe impedito un voto contrario. “Ho chiesto di ripetere la votazione ma la presidente Metsola non ha voluto”, ha protestato.


I Patrioti e la destra europea compatti contro Salis

Diversamente dal Ppe, i gruppi della destra europea si sono mossi in modo compatto.
I Patrioti e l’ultradestra di Esn hanno votato in blocco contro l’eurodeputata italiana.
Anche nel gruppo Ecr, dove siede Fratelli d’Italia, le dichiarazioni dei meloniani sono state nettamente a favore della revoca dell’immunità.

Fonti dei Conservatori precisano che anche la delegazione polacca del Pis ha votato in maniera unitaria, senza alcun franco tiratore.


Una vittoria che pesa a Bruxelles e a Roma

Con questo voto, che ha spaccato il Ppe e imbarazzato i Popolari europei, Ilaria Salis conserva l’immunità parlamentare e non potrà essere perseguita per i fatti contestati in Ungheria.
Una decisione che, pur accolta con sollievo dai sostenitori italiani della deputata di Avs, rischia di riaccendere le tensioni politiche tra Roma, Bruxelles e Budapest, già ai minimi termini.

E con buona pace di Orban — e dei franchi tiratori — la partita, almeno in Aula, è chiusa.

Continua a leggere

Politica

Dopo la sconfitta in Calabria, torna la tensione nel Pd: i riformisti attaccano, Schlein difesa da Boccia

Dopo la sconfitta in Calabria, nel Pd riaffiorano le divisioni interne. I riformisti criticano la linea di Schlein, mentre Boccia difende la segretaria: “Questo è il partito della giustizia sociale, non dell’establishment”.

Pubblicato

del

Il voto in Calabria ha riacceso le tensioni all’interno del Partito Democratico, riportando a galla i malumori che covavano già dopo la sconfitta nelle Marche. Due battute d’arresto nel giro di una settimana — con Roberto Occhiuto(centrodestra) avanti di 16 punti su Pasquale Tridico (centrosinistra) — hanno riaperto il dibattito sulla linea politica di Elly Schlein e sul ruolo del Pd nel campo largo.

Il Pd nasce come partito di centrosinistra e di governo, con l’idea che i problemi si affrontano – ha dichiarato la deputata Lia Quartapelle, esponente dell’area riformista – ma per tenere insieme la coalizione abbiamo perso la voce e la capacità di proporre soluzioni concrete”.


Boccia difende Schlein: “Non è più il partito dell’establishment”

A rispondere alle critiche è stato il capogruppo al Senato, Francesco Boccia, che ha difeso la segretaria con fermezza:
Capisco che qualcuno rimpianga il Pd dell’establishment, ma quel partito non esiste più. Oggi siamo il partito della giustizia sociale, del progresso e delle nuove generazioni”.

Poi la stoccata interna: “A quelli che oggi attaccano il Pd chiedo di fare le campagne elettorali come noi, senza sosta, in mezzo alla gente. Una cosa è stare nei salotti a dare giudizi teorici, un’altra è stare nelle piazze”.


Taruffi: “Come il Liverpool nel 2005, la partita non è finita”

Nessuna resa dei conti, almeno per ora. In vista del voto in Toscana, considerata una roccaforte del centrosinistra, il Pd prova a ritrovare compattezza.
Ricordo la finale di Champions del 2005: il Milan vinceva 3-0, ma poi la coppa la alzò il Liverpool”, ha scherzato Igor Taruffi, braccio destro di Schlein in segreteria, invitando a non considerare compromesso il percorso del partito.

Dopo la Toscana, lo sguardo è già rivolto alle prossime sfide regionali in Campania e Puglia, dove la coalizione punta a mantenere la guida dei governi locali.


Riformisti in pressing: “Il campo largo non è un totem”

L’alleanza con il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra non è in discussione, ma crescono le perplessità tra i riformisti.
Il campo largo non è un totem”, ha ribadito l’eurodeputata Pina Picierno, mentre alcuni parlamentari dem ricordano che “nelle Marche si è perso con un candidato Pd, ma in Calabria si è perso con un candidato M5s”.

Dal fronte pentastellato, però, arriva la replica: “La lista collegata a Tridico ha ottenuto il 7,6%”, a dimostrazione, sostengono, che il Movimento ha tenuto.


Renzi attacca: “Non si vince con Gaza o il reddito di cittadinanza”

Nel dibattito si inserisce anche Matteo Renzi, che accusa la linea di Schlein di rincorrere temi mediatici e non programmi di governo:
Le sconfitte in Calabria e nelle Marche dimostrano che non si vince parlando di Palestina o di reddito di cittadinanza. Si vince al centro”.

Una posizione che il Pd di Schlein respinge. Taruffi ha ricordato che “nelle ultime elezioni hanno vinto Meloni, Salvini e i Cinque Stelle con messaggi forti e tutt’altro che moderati. L’idea che si vinca solo al centro non è suffragata dai fatti”.


Prossima tappa: Toscana

Dopo due sconfitte brucianti, il Pd si gioca una partita cruciale in Toscana, dove il centrosinistra punta a fermare l’avanzata del centrodestra. Un risultato positivo potrebbe raffreddare le polemiche interne e restituire ossigeno alla leadership di Elly Schlein, oggi più che mai sotto osservazione dentro e fuori dal partito.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto