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Salute

Leucemia, nuovi farmaci e trattamenti a misura bimbi

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Nuovi farmaci mirati ‘a misura di bambino’ e tecniche sempre più efficaci sperimentate direttamente sui pazienti pediatrici. Contro la leucemia linfoblastica acuta, il tumore più frequente in età infantile, e altre malattie ematologiche, la ricerca sta facendo passi importanti. Un risultato significativo dal momento che effettuare sperimentazioni nella popolazione pediatrica risulta più complesso anche per i numeri esigui. Alcune novità di rilevo arrivano dal Congresso della Società americana di ematologia (Ash) in corso a New Orleans, come spiega Franco Locatelli, direttore Dipartimento di Onco-Ematologia e Terapia Cellulare all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. “Nel campo pediatrico ci sono continui progressi e due studi che presentiamo al congresso – afferma – rappresentano dei punti di svolta per la pratica corrente del trapianto di midollo in età pediatrica contro la leucemia in particolare”. Un primo studio su 413 pazienti pediatrici, spiega Locatelli, “dimostra che effettuando la radioterapia prima dell’intervento di trapianto di midollo nei bambini con leucemia linfoblastica acuta, la possibilità di sopravvivenza libera da malattia, e quindi di guarigione, a tre anni, è dell’81% rispetto al 59% effettuando la sola chemioterapia.

Il rischio di recidiva è del 12% nel primo caso e del 27% nel secondo”. Lo studio, rileva l’esperto, “ha dimostrato la manifesta superiorità della radioterapia rispetto alla sola chemioterapia e quindi un comitato terzo rispetto agli sperimentatori ha raccomandato l’interruzione prematura dello studio stesso”. In virtù di questi risultati, “abbiamo portato questa analisi aggiornata all’Ash che conferma che utilizzare la radioterapia offre dei significativi vantaggi in termini di riduzione soprattutto del rischio di ricaduta post trapianto. Quindi, in maniera definitiva, si documenta quello che a questo punto diventa lo standard of care, lo standard di cura: per i bambini che devono essere trapiantati, cioè, la preparazione ideale è la radioterapia in associazione ad un farmaco chemioterapico”. Ma passi avanti arrivano anche sul fronte dei farmaci disponibili per i pazienti più piccoli ed un nuovo farmaco ad azione mirata potrà presto essere utilizzato nei bambini contro una delle maggiori complicanze del trapianto di midollo nei casi di leucemia ma anche di altre malattie ematologiche, ovvero l’aggressione delle cellule del donatore sull’organismo del ricevente. Si tratta della molecola ruxolitinib, già impiegata nei pazienti adulti: “I risultati ottenuti – afferma Locatelli – sono stati molto buoni perchè globalmente i pazienti che rispondono dopo 4 settimane di trattamento si avvicinano all’85%, un dato in linea con quanto identificato nella popolazione adulta”.

L’aggressione delle cellule del donatore sull’organismo del ricevente è una complicanza molto frequente che interessa almeno la metà dei pazienti che vengono sottoposti a trapianto. Una parte di tali pazienti non risponde purtroppo ai trattamenti di prima linea contro tale complicanza e dunque, sottolinea Locatelli, “avere identificato questo farmaco aumenta significativamente il profilo di sicurezza del trapianto di midollo in caso di leucemia ma anche di malattie non maligne come le immunodeficienze”. Lo studio ha coinvolto 45 pazienti tra 2 e 18 anni d’età. “Abbiamo innanzitutto individuato la dose di farmaco raccomandata, che evidentemente non può essere la stessa che si utilizza nell’adulto, ma soprattutto il nuovo studio Reach 4 prova la stessa efficacia del farmaco nei bambini rispetto a quella già dimostrata nell’adulto”. Si tratta dunque, conclude Locatelli, di “un passo molto importante perchè si consente ai pediatri di conoscere per le varie fasce d’età quale è la dose da impiegare di questo farmaco altamente efficace anche per i bambini”.

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Mieloma, perdita di un gene lo nasconde a sistema immunitario

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La resistenza del mieloma multiplo alla chemioterapia dipende anche dalla ‘scomparsa’ di uno specifico gene nelle cellule tumorali che diventano così invisibili al sistema immunitario. Lo ha scoperto uno studio condotto dall’IRCCS Candiolo, in collaborazione con il Dana Farber Cancer Institute di Boston, mettendo in luce un nuovo meccanismo di resistenza alla terapia del mieloma, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Blood. “Il farmaco bortezomib inibitore del proteasoma, organuli cellulari in grado di rimuovere le cellule danneggiate, contrasta il mieloma multiplo sia direttamente, colpendo le cellule tumorali, che indirettamente, attivando il sistema immunitario e provocando la cosiddetta morte cellulare immunogenica – spiega Annamaria Gullà, responsabile del Laboratorio di Ematologia Traslazionale e Immunologia di Candiolo -. La perdita di efficacia a lungo termine del farmaco puo’ derivare dall’ insorgenza di forme nuove di resistenza alla terapia, in cui il farmaco non è più in grado di stimolare il sistema immunitario a riconoscere il tumore. A causa della perdita di un gene noto come Gabarap, infatti, il mieloma multiplo diventa ‘invisibile’ al riconoscimento da parte del sistema immunitario”.

Il mieloma multiplo è il secondo tumore del sangue in Italia, che colpisce ogni anno circa 2700 donne e 3000 uomini, ed è provocato da un’eccessiva riproduzione delle plasmacellule nel midollo osseo. La maggior parte delle persone con mieloma ha una recidiva di malattia dopo il primo trattamento. Il team dell’Ircss Candiolo è partito dallo studio del meccanismo d’azione del farmaco bortezomib, che agisce sia contro le cellule tumorali che stimolando il sistema immunitario ad attaccare. “Tramite una serie di analisi in modelli preclinici abbiamo dimostrato che le cellule tumorali morenti, colpite direttamente da questo farmaco di prima linea, esprimono sulla loro superficie una proteina nota come calreticulina – evidenzia Gullà – che rende il tumore visibile al sistema immunitario che può così attaccarlo. Ma la perdita del gene Gabarap compromette l’esposizione della calreticulina, riducendo in questo modo l’azione del sistema immunitario contro il cancro”. I ricercatori hanno inoltre dimostrato che la rapamicina, un farmaco inizialmente usato nei casi di trapianto d’organo, può ripristinare l’effetto immunogenico del bortezomib.

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L’IA fa dialogare tutte le molecole della vita, per future cure

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Dopo avere rivoluzionato la ricerca sulle proteine, l’intelligenza artificiale riesce adesso a prevedere le interazioni fra tutte le molecole della vita, comprese Dna e Rna, permettendo di generare strutture biologiche dalla struttura complessa che potrebbero aprire la strada a nuovi farmaci e terapie. Il risultato, pubblicato sulla rivista Nature, si deve al nuovo modello AlphaFold 3 messo a punto dall’azienda Google DeepMind e da Isomorphic Labs. Parallelamente, Google DeepMind presenta AlphaFold Server, uno strumento liberamente accessibile ai ricercatori che lavorano nel pubblico e che permette di utilizzare AlphaFold 3. Coordinata da John M. Jumper di Google DeepMind, la ricerca ha dimostrato che AlphaFold 3 è in grado di prevedere con un alto grado di precisione le strutture molecolari complesse che possono nascere facendo interagire fra loro tutti i tipi di molecole biologiche, a partire dal Dna nel quale è scritto il libro della vita.

E’ un passo in avanti importante rispetto al traguardo che era stato raggiunto nel 2023 con il modello AlphaFold 2, che permette di combinare fra loro un gradissimo numero di proteine. Per mettere alla prova il nuovo modello di IA, i ricercatori hanno utilizzato le strutture relative a quasi tutti i tipi di molecole contenute nella Protein Data Bank.

“La capacità di determinare computazionalmente le interazioni complesse tra proteine e altre molecole – scrivono gli autori della ricerca – amplierà la nostra comprensione dei processi biologici e potrebbe facilitare lo sviluppo di farmaci”. Il nuovo modello di intelligenza artificiale è infatti in grado di prevedere l’interazione fra proteine, acidi nucleici, piccole molecole, ioni e residui proteici modificati, nonché interazioni anticorpo-antigene. C’è ancora del lavoro da fare sull’accuratezza dei modelli, scrivono i ricercatori, ma è ormai aperta la strada che promette di imprimere una forte accelerazione alla ricerca biomedica.

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Covid: AstraZeneca ritira il suo vaccino in tutto il mondo

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AstraZeneca ha dichiarato oggi di aver avviato il ritiro mondiale del suo vaccino contro il Covid-19. Lo riportano i media internazionali. L’azienda farmaceutica ha aggiunto che procederà al ritiro delle autorizzazioni all’immissione in commercio del Vaxzevria in Europa.

AstraZeneca giustifica la sua decisione parlando di un “eccedenza di vaccini aggiornati disponibili”. L’azienda anglo-svedese a fine aprile ha ammesso per la prima volta in documenti giudiziari nel corso di un procedimento legale a Londra che il suo vaccino anti Covid può causare trombosi come raro effetto collaterale. L’ammissione potrebbe aprire la strada a risarcimenti multimilionari, secondo i media britannici.

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