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Jobs act, Consulta: non incostituzionale norme tutele crescenti

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La Corte costituzionale (sentenza n. 44 del 2024) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, che consente l’attrazione nell’ambito applicativo del regime delle tutele crescenti anche di lavoratori di piccole imprese, già in servizio alla data del 7 marzo 2015, in concomitanza e in conseguenza di assunzioni aggiuntive a tempo indeterminato, successive all’entrata in vigore dello stesso decreto, che abbiano comportato il superamento dei limiti dimensionali previsti dall’art. 18, commi ottavo e nono, statuto dei lavoratori. La Sezione lavoro del Tribunale di Lecce aveva censurato tale disciplina deducendo la violazione dell’art. 76 della Costituzione, in riferimento ai criteri di delega fissati dall’art. 1, comma 7, lettera c), della legge n. 183 del 2014 (cosiddetto Jobs Act). Secondo il tribunale l’oggetto della delega, in quanto circoscritto alle «nuove assunzioni», ossia ai lavoratori “giovani” assunti a partire dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 23 del 2015 (7 marzo 2015), sarebbe violato nella misura in cui il nuovo regime si applica anche a lavoratori assunti prima di tale data, ma in piccole imprese che, solo successivamente, abbiano superato la soglia di quindici dipendenti occupati nell’unità produttiva.

Secondo la delega legislativa, la disciplina dei licenziamenti doveva essere rivista “per le nuove assunzioni” in un assetto a doppio regime, ispirato alla logica secondo cui i lavoratori in servizio alla data del 7 marzo 2015, che già avessero la tutela reintegratoria ex art. 18 statuto dei lavoratori, l’avrebbero conservata immutata anche in caso di licenziamenti intimati successivamente; mentre ai lavoratori assunti ex novo, a partire da tale data, si sarebbe applicata direttamente la nuova più limitata disciplina del decreto legislativo. Questo duplice e parallelo regime di tutela è stato già esaminato dalla Corte con riferimento ai licenziamenti collettivi, in quanto “licenziamenti economici”, nella sentenza n. 7 del 2024, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, e 10 del d.lgs. n. 23 del 2015, sollevate denunciando la violazione del medesimo criterio di delega. Invece, con la sentenza n. 22 del 2024 la Corte ha ritenuto violato tale criterio di delega sotto altro e diverso profilo ed ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo limitatamente alla parola “espressamente”.

Nella sentenza n. 44 del 2024, ora pubblicata, la Corte considera essere in sintonia con la legge di delega la disciplina per i lavoratori che erano sì già in servizio al 7 marzo 2015, ma che a quella data non beneficiavano della tutela reintegratoria perché non era integrato il requisito occupazionale previsto dall’ottavo e nono comma dell’art. 18 e quindi ad essi trovava applicazione solo la tutela indennitaria di cui alla legge n. 604 del 1966. In particolare la Corte ha ritenuto che il legislatore delegato, nell’esercizio del suo potere di completamento del quadro della disciplina, poteva regolare anche la posizione dei dipendenti di piccole aziende, per i quali non c’era un regime di tutela reintegratoria ex art. 18 da conservare, e ciò poteva fare tenendo conto dello «scopo» della delega e del bilanciamento voluto dal legislatore delegante (la non regressione della tutela reintegratoria di chi, essendo già in servizio, l’avesse alla data dell’entrata in vigore della nuova disciplina).

In tal modo, da una parte non c’è stata una regressione in peius per tali lavoratori in quanto la tutela del decreto legislativo è, comunque, più favorevole del regime della legge n. 604 del 1966, ad essi applicabile in precedenza, prima del superamento della soglia occupazionale. D’altra parte è soddisfatto lo «scopo» della delega nel senso che, se invece fosse stata consentita l’acquisizione ex novo del regime di tutela dell’art. 18, ciò avrebbe potuto rappresentare una remora, per il datore di lavoro, a fare nuove assunzioni, proprio quelle assunzioni che invece il legislatore delegante voleva incentivare. Quindi non è violata la legge di delega, sotto questo profilo, e pertanto ai lavoratori di piccole imprese, assunti prima dell’entrata in vigore dello decreto legislativo, non si applica l’art. 18 statuto dei lavoratori, bensì il regime di tutela del licenziamento individuale illegittimo, previsto per i contratti a tutela crescente, nel caso in cui il datore di lavoro abbia superato la soglia dimensionale di quindici lavoratori occupati nell’unità produttiva in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del decreto stesso.

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L’Ema blocca un medicinale contro l’Alzheimer

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L’Agenzia europea per i medicinali ha respinto la raccomandazione per il farmaco Lecanemab contro l’Alzheimer. L’Ema ha annunciato che il rischio di gravi effetti collaterali è superiore all’effetto positivo atteso.

“Il Comitato per i medicinali per uso umano” dell’Ema “ha raccomandato di non concedere un’autorizzazione all’immissione in commercio per Leqembi”, ha sottolineato l’autorità, facendo riferimento in particolare all’insorgere di rischi di emorragia cerebrale nelle persone trattate con il farmaco. Il Lecanemab – nome commerciale Leqembi – è disponibile negli Stati Uniti dall’inizio del 2023 per il trattamento dell’Alzheimer in stadio iniziale. Sebbene la terapia non migliori i sintomi, può rallentarne leggermente la progressione della malattia. Il farmaco, secondo gli esperti, sarebbe quindi adatto solo per un gruppo molto limitato di malati di Alzheimer, meno del 10%. A fronte dei possibili edemi ed emorragie cerebrali, la terapia deve essere monitorata regolarmente con esami di risonanza magnetica. Ora la società farmaceutica Eisai, che ha presentato la domanda, potrà richiedere un riesame entro 15 giorni.

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Preoccupa il virus Oropouche, primi 2 morti in Brasile

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Sale la preoccupazione per il virus Oropouche, diffuso soprattutto nell’America centro-meridionale e nei Caraibi ma che ha fatto registrare ad oggi 4 casi anche in Italia: l’infezione ha causato due primi decessi in Brasile, nello stato di Bahia, e si tratta dei primi registrati a livello mondiale. La conferma è giunta dal Ministero della Salute brasiliano. La febbre di Oropouche è un’infezione virale tropicale trasmessa da moscerini e zanzare e prende il nome dalla regione in cui è stata scoperta e isolata per la prima volta nel 1955, presso il laboratorio regionale di Trinidad, vicino al fiume Oropouche, a Trinidad e Tobago. Il primo decesso è stato confermato il 17 giugno. Il paziente aveva 24 anni, viveva a Valença ed è morto a marzo. Lunedì scorso è stato invece registrato il secondo decesso, di una donna, ed il ministero della Salute sta ancora indagando su un’altra morte sospetta nello stato di Santa Catarina.

L’Organizzazione panamericana della sanità (Paho) ha inoltre emesso un allarme epidemiologico per informare i Paesi membri sull’identificazione di possibili casi, attualmente in fase di indagine in Brasile, di trasmissione del virus Orov dalla madre al bambino durante la gravidanza. In Italia, ad oggi, sono stati diagnosticati 4 casi tutti di importazione, ovvero di soggetti rientranti dal Brasile e da Cuba. La malattia da virus Oropouche, spiega l’Istituto superiore di sanità, è una arbovirosi causata dal virus Oropouche (Orov), un virus a Rna che può essere trasmesso agli esseri umani principalmente attraverso la puntura di Culicoides paraensis, un piccolo dittero ematofago di 1-3 mm, simile ad un moscerino, che nelle aree endemiche si trova in zone boschive nei pressi di ruscelli, stagni e paludi, o di alcune zanzare come Culex quinquefasciatus.

Nessuno di questi vettori al momento è presente in Italia o in Europa. Non è stata al momento confermata la possibilità di una trasmissione da uomo a uomo del virus. Nel 2024 (al 23 luglio), sono stati registrati oltre 7700 casi nel mondo in cinque paesi: Brasile, Bolivia, Peru, Cuba e Colombia. I primi casi registrati anche in Italia sono senza conseguenze gravi. Il rischio di infezione, chiarisce l’Iss, è presente se si viaggia nei paesi in cui è presente il virus. Per chi si trova in queste zone si raccomanda di mettere in atto tutte le precauzioni necessarie ad evitare il contatto con gli insetti vettori: usare repellenti chimici, indossare vestiti che coprano braccia e gambe, soggiornare in case dotate di zanzariere e cercare di ridurre le attività all’aperto nei periodi di maggiore attività vettoriale (alba e crepuscolo).

I sintomi principali dell’infezione sono febbre, mal di testa, dolore articolare e, in qualche caso, fotofobia, diplopia (visione doppia), nausea e vomito. Se si è di ritorno da un viaggio nei paesi in cui è presente il virus e si hanno questi sintomi il consiglio è di rivolgersi al proprio medico. Grazie ad un team multi-disciplinare di esperti, L’Iss è in prima linea per monitorare il rischio da virus Oropouche in Italia per gli aspetti virologici ed epidemiologici.

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Economia

Bollette più chiare, in arrivo dal prossimo anno

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Basta con una sequela di numeri incomprensibili: dal prossimo anno infatti le bollette di luce e gas saranno più semplici da capire. Basterà un colpo d’occhio – spiega l’Arera, l’autorità per l’energia – per rendersi conto di prezzi e consumi. La nuova bolletta debutterà dal primo luglio del 2025, con un frontespizio uguale per tutti e con le principali informazioni generali. Poi uno ‘scontrino dell’energia’, per capire immediatamente consumi e prezzi, e un box offerta che ricorda le condizioni sottoscritte per verificarne l’applicazione.

E’ stata infatti approvata – a seguito di un lungo processo di consultazione con imprese, consumatori e stakeholder – e sottoposta all’analisi dell’impatto della regolazione (Air) la delibera che introduce una revisione organica delle informazioni indicate nella bolletta e della loro organizzazione, estendendola poi alla totalità dei clienti finali connessi in bassa tensione: domestici, condomini, piccole e medie imprese, box, cantine e magazzini. I venditori avranno 12 mesi di tempo per adeguare i propri sistemi all’invio della nuova bolletta. “Una riforma auspicata da tempo e da più parti, che evolve la struttura introdotta nel 2014 con la bolletta 2.0, allineando le informazioni per tutti e rendendole ancora più chiare e semplici, ma soprattutto dando rilevanza al ruolo dei consumatori, mettendoli in grado di verificare i consumi e le proprie scelte di efficienza energetica e di comparare agilmente il proprio profilo con le proposte del mercato”, commenta il presidente di Arera Stefano Besseghini.

Plaudono i consumatori: “Ringraziamo Arera per aver accolto la nostra richiesta e concluso l’iter per rendere le bollette dell’energia più comprensibili agli utenti, specie sul fronte del costo al KWh della luce e al metro cubo per il gas”, afferma Consumerismo No Profit. “In una fase in cui i prezzi dell’energia continuano a essere altissimi e fuori controllo, giudichiamo positivamente la notizia che Arera ha ufficializzato oggi sul debutto della nuova bolletta”, commenta l’Adoc. In dettaglio la nuova bolletta sarà composta da un frontespizio unificato, che corrisponde alla prima facciata della bolletta in cui i venditori sono tenuti a riportare l’importo da pagare e tutte le informazioni essenziali sul cliente sul tipo di servizio in cui è rifornito, sul contratto di fornitura, su fatturazione e pagamenti, etc. Poi un scontrino dell’energia, che riporterà la formazione del costo complessivo dell’energia in relazione ai volumi consumati secondo la struttura quantità x prezzo, suddiviso in “quota consumi” e “quota fissa”, più la “quota potenza” per l’energia elettrica, e ulteriormente dettagliato per voci di spesa (vendita e ‘rete e oneri’). In questa sezione saranno riportate separatamente anche l’Iva e le accise, eventuali bonus, altre partite (interessi di mora, prodotti e/o servizi aggiuntivi etc.) e il canone Rai.

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