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Stallo su Copasir: FdI attacca, la Lega non molla

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Aumenta la tensione tra Fratelli d’Italia e la Lega sul Copasir che domani, alle 14, tornera’ a riunirsi a San Macuto sotto la Presidenza del leghista Raffaele Volpi. Convocazione fortemente contestata dal partito di Giorgia Meloni, che ha platealmente abbandonato la conferenza dei capigruppo al Senato, arrivando a minacciare di disertare la convocazione di domani, definita “contra legem”. “Abbiamo abbandonato la seduta – protesta Ignazio La Russa – visto che nessun partito ha preso la parola: in una riunione di Ponzio Pilato non potevamo essere ancora la’”. E’ evidente uno scontro tutto con la Lega, tuttavia l’ex ministro punta a stemperare il clima allargando la questione e invocando il rispetto generale delle regole: “Vorrei dire che non e’ un problema tra noi e la Lega, o interno al centrodestra, ma un problema per il Parlamento e la democrazia”. Insomma, e’ ancora muro contro muro e si va avanti cosi’ da mesi. Uno stallo da cui, al momento, non si vede via d’uscita visto che tutti hanno confermato le proprie posizioni: da un lato la Lega fa sapere di non aver nulla da aggiungere rispetto a quanto dichiarato ieri dai due capigruppo. A loro giudizio la legittimita’ della presidenza Volpi trae origine dall’analogia con quanto avvenne nel 2011, quando, dopo la nascita del governo Monti, alla guida del Comitato rimase Massimo D’Alema, malgrado il Pd fosse passato dall’opposizione alla maggioranza. Precedente assolutamente inapplicabile alla situazione attuale, sottolinea invece La Russa : “All’epoca tutti furono d’accordo sulla permanenza di D’Alema. Si applico’ il principio valido nel diritto parlamentare del ‘nemine contradicente’, cioe’ si puo’ prendere una decisione se nessuno ‘contraddice’, se nessuno dice appunto di no. Stavolta, invece – ribadisce La Russa – noi non siamo d’accordo e l’abbiamo detto sin dal primo giorno dalla nascita del governo Draghi. C’e’ la legge che va rispettata e parla chiaro. Ora non vogliamo coinvolgere il Colle ma ci chiediamo se esiste un giudice a Berlino”. Anche il Presidente dei senatori FdI, Luca Ciriani rincara la dose: “Ho chiesto in capigruppo se le forze politiche ritenessero normale che la presidenza del Copasir non vada all’opposizione, cosi’ come prevede la legge. Quella di domani e’ una convocazione contra legem. Si crea un precedente molto grave e pericoloso”. Forza Italia preferisce stare alla finestra, mentre il Pd, gia’ da tempo, ha fatto sapere di essere d’accordo su una presidenza a Fratelli d’Italia. “Noi – spiega il dem Enrico Borghi – siamo per il rispetto della norma secondo cui la presidenza spetta all’opposizione, ma vincolando la scelta a una soluzione pattizia, ovvero che il presidente venga eletto a maggioranza degli aventi diritto”. Quindi punzecchia il centrodestra: “C’e’ un braccio di ferro tra i due partiti e questo danneggia l’istituzione. La Lega dovrebbe fare un passo indietro, ma non lo fa, perche’ e’ in corso una partita tutta interna alla destra. La legge invece andrebbe rispettata. Un diritto – conclude – non puo’ dipendere da valutazioni politiche”. A questo punto, occhi puntati alla seduta di domani. Il programma prevede alle 14, in apertura, le comunicazioni di Raffaele Volpi, quindi a seguire l’ufficio di presidenza integrato ai rappresentanti dei gruppi e infine la seduta plenaria.

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Dalle tutele dei riders alle euromulte, via libera dal Pe

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Multe, riders e lotta al lavoro forzato: con la chiusura dell’ultima sessione plenaria della nona legislatura l’Eurocamera dà il via libera finale a tre testi destinati a influenzare in maniera diretta la vita di milioni di cittadini europei. Il Pe ha varato le nuove regole sulle contravvenzioni, con un testo ribattezzato ‘multe senza frontiere’ che renderà valide in tutta l’Ue multe e sanzioni, come ritiro della patente, anche quando la contravvenzione è commessa in un altro Stato membro. Il testo, approvato con 570 voti favorevoli, 36 contrari e 24 astensioni, sottolinea che circa il 40% delle contravvenzioni commesse fuori dallo stato di residenza resta oggi impunito e chiede agli stati membri di ampliare l’elenco delle euro-infrazioni – che ad oggi si limita all’eccesso di velocità, alla guida in stato di ebbrezza e al mancato arresto al semaforo rosso – anche al parcheggio pericoloso, al sorpasso azzardato e all’attraversamento della linea continua.

Dall’emiciclo di Strasburgo è arrivata anche la luce verde alla direttiva sui diritti dei lavoratori delle piattaforme digitali, come i riders che lavorano per vari gruppi. Dopo un travagliato negoziato che ha visto gli stati membri rimangiarsi per ben due volte l’accordo raggiunto, l’Eurocamera ha sostenuto con 554 voti a favore, 56 contrari e 24 astensioni l’intesa definitiva con i 27 su un testo destinato a migliorare le condizioni delle persone che lavorano per le piattaforme online regolando per la prima volta l’uso dei sistemi di algoritmi sul posto di lavoro.

Il testo mira a riconoscere in automatico i rapporti di lavoro di tipo subordinato quando ne siano evidenti le caratteristiche, obbligando quindi le grandi piattaforme digitali a contrattualizzare i loro dipendenti. Giro di vite infine anche nella lotta al lavoro forzato. Gli eurodeputati hanno infatti licenziato la nuova direttiva Ue che vieta la vendita, l’importazione e l’esportazione di beni realizzati con il lavoro forzato, in primis quello minorile ma non solo. Il regolamento, adottato con 555 voti favorevoli, 6 voti contrari e 45 astensioni darà l’autorità agli Stati membri e alla Commissione europea di indagare su merci sospette, catene di approvvigionamento e produttori. Nel caso vi sia un allerta sul fatto che un prodotto sia stato realizzato utilizzando il lavoro forzato, non sarà più possibile venderlo sul mercato europeo. I produttori di merci considerate in violazione dovranno ritirare i loro prodotti dal mercato unico dell’Ue e donarli, riciclarli o distruggerli.

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Sciopero Rai, Mattarella ‘pluralismo è irrinunciabile’

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“Anche l’informazione è attraversata da cambiamenti epocali. La velocità delle trasformazioni rischia di incidere su pilastri della nostra stessa democrazia. Il pluralismo resta una condizione di libertà irrinunciabile ed essere riusciti ad arricchire il campo delle fonti, l’analisi dei fatti, il confronto tra i punti di vista è un valore che si riverbera sull’intera società”. Lo ha affermato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione dei festeggiamenti organizzati per i 35 anni di MF-Milano Finanza. Un intervento che coincide con il 25 aprile, mentre nelle piazze d’Italia rimbalza il monologo di Antonio Scurati censurato dalla Rai, e anche nel giorno in cui l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, proclama uno sciopero per il 6 maggio, sulla scia delle tante polemiche che in questo periodo hanno travolto il servizio pubblico.

”L’incontro di raffreddamento con l’azienda si è risolto con un nulla di fatto, motivo per cui confermiamo il nostro stato d’agitazione. Sentita la commissione garanzia, è stato proclamato uno sciopero di 24 ore, con astensione dal lavoro dalle 5.30 di lunedì 6 maggio alle 5.30 di martedì 7”, spiega l’Esecutivo Usigrai in una nota annunciando che protesta anche ”per il controllo asfissiante sul lavoro giornalistico, con il tentativo di ridurre la Rai a megafono del governo, l’assenza dal piano industriale di un progetto per l’informazione della Rai, le carenze di organico in tutte le redazioni”. Il segretario Usigrai, dal corteo di Milano per il 25 aprile, spiega: “Siamo qui per dire che la Rai deve trovare la forza di liberarsi dal controllo dei partiti che è asfissiante”. E aggiunge: “Non c’è nessun segnale di cambio di direzione. Non abbiamo sentito voci da parte dell’azienda in difesa del prodotto e dell’informazione”.

Dallo sciopero si dissocia però il sindacato Unirai: “Di asfissiante c’è chi non si rassegna al pluralismo in Rai e insieme a qualche partito soffre la fine del monopolio” e conferma di non aderire allo sciopero che definisce ”politico”. Chiama all’unità dall’interno il consigliere d’amministrazione Rai che rappresenta i dipendenti, Davide Di Pietro che augura Buon 25 aprile a tutte le lavoratrici e i lavoratori della Rai, in particolare a tutti quelli che ”resistono” alle mille difficoltà dell’azienda: da gli sprechi e la mancata valorizzazione del proprio lavoro, perchè credono ancora nella missione di servizio pubblico, perché vogliono tornare a poter dire io lavoro in Rai senza timori, perché sperano in una Rai libera dai partiti. Ma l’onda lunga delle polemiche continua. Quanto al fronte Report, il premier albanese Edi Rama si è detto disposto a un faccia a faccia su Rai 3 con Sigfrido Ranucci, conduttore del programma, la cui inchiesta sull’accordo tra Tirana e Roma sui centri di accoglienza di migranti ha suscitato forti polemiche in Albania.

Mentre Antonio Scurati ha letto il monologo censurato sul palco di Piazza Duomo, accolto da un lungo applauso, alla manifestazione di Milano per la festa della Liberazione e sarà ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa domenica. “Uno dei fatti eclatanti del 25 aprile di quest’anno è la censura a cui è stato sottoposto in Rai il nostro concittadino Antonio Scurati. È importante che oggi ci sia”, ha detto il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, dallo stesso palco. “Hanno amplificato lo sfascio di un servizio pubblico cruciale nella vita del paese e piegato dalla prepotenza delle diramazioni periferiche dell’attuale potere”, ha aggiunto. Il monologo di Scurati oggi è rimbalzato nelle piazze di tutta Italia, da Firenze a Napoli, da Marzabotto a Cassino, da Catanzaro a Chieti divenendo un po’ il simbolo di questo 25 aprile.

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Meloni: fine del fascismo pose le basi per la democrazia

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La Liberazione “con la fine del fascismo pose le basi per il ritorno della democrazia”. È il passaggio chiave del messaggio di Giorgia Meloni nel suo secondo 25 aprile da presidente del Consiglio, commemorato all’Altare della Patria con Sergio Mattarella e le alte cariche dello Stato. Dopo aver affermato un anno fa in una lettera al Corriere della sera che la sua parte politica è “incompatibile con qualsiasi nostalgia” del Ventennio, in questa occasione la premier sceglie i social per ribadire l’avversione “a tutti i regimi totalitari e autoritari”. E promette di continuare “a lavorare per difendere la democrazia e per un’Italia finalmente capace di unirsi sul valore della libertà”. Per le opposizioni, però, non basta. In una giornata segnata da polemiche e scontri di piazza, da più parti le rimproverano di non dichiararsi esplicitamente “antifascista”, dimensione intorno a cui secondo il presidente della Repubblica “è possibile e doverosa l’unità popolare”.

A Milano la segretaria del Pd Elly Schlien abbraccia Antonio Scurati, lo scrittore autore del monologo che ha creato il caos in Rai, e la definisce “una giornata in cui celebrare quell’Italia che è stata dalla parte giusta della storia”, rilanciando “l’impegno e la lotta per la difesa della nostra Costituzione”. Toni simili a quelli di Giuseppe Conte. “Non possiamo permettere – afferma il leader M5s – che i valori costituzionali vengano oggi scalfiti, uno a uno, tra corsa al riarmo, tagli alla sanità e scarso impegno per assicurare dignità, salari giusti e sicurezza alle persone”. Nessun riferimento al post di Meloni, liquidato invece da Nicola Fratoianni (Si) come il “minimo sindacale”, mentre il sindaco di Milano Giuseppe Sala critica il “silenzio imbarazzante” di “una parte del governo”. “Se è un governo che proviene dalla storia dell’Msi – sostiene il leader di Azione Carlo Calenda – è necessario” che dica di essere antifascista. Con sfumature diverse è vissuta la festa della Liberazione nella maggioranza e nell’esecutivo, e non passa inosservato che alcuni ministri non si esprimono.

Per Gennaro Sangiuliano, “l’antifascismo è sicuramente un valore” ma “lo è allo stesso modo l’anticomunismo”. “Liberiamo la festa del 25 aprile da chi la tiene in ostaggio, diventi finalmente di tutti”, il post di Daniela Santanchè. Deve fare i conti con fischi e ‘buuh’ il guardasigilli Carlo Nordio, mentre nel suo discorso a Treviso sostiene che la richiesta di dirsi antifascisti “è retorica, perché avendo noi giurato fedeltà sulla Costituzione è ovvio che siamo antifascisti”. Più volte si è dichiarato tale il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che denuncia la “retorica dell’allarme fascista: non esiste nel Paese e non interessa agli italiani”. E il ministro della Difesa Guido Crosetto, al fianco di Mattarella anche alla cerimonia a Civitella in Val di Chiana, sottolinea che “l’impegno per la libertà è più attuale che mai”. Mentre il vicepremier Antonio Tajani onora “tutte le vittime innocenti del nazifascismo”. Poche le voci leghiste. Il presidente della Camera Lorenzo Fontana, al Foglio, si dice “pienamente antifascista”, e Gian Marco Centinaio mette nero su bianco un “viva l’Italia antifascista”.

Il leader Matteo Salvini partecipa a una cerimonia a Milano (“Ho sempre onorato il 25 aprile senza sbandierarlo”), prima della presentazione del suo libro in cui annuncia la candidatura di Roberto Vannacci con la Lega. “Una provocazione”, per Angelo Bonelli (Avs). “Festeggia il 25 aprile con un criptofascista”, la stilettata di Riccardo Magi (+Europa). “Uno schiaffo della destra ai valori antifascisti”, attacca il dem Alessandro Zen, in un pomeriggio segnato dalle tensioni nelle manifestazioni, da Roma a Milano. FdI condanna i manifesti di Meloni bruciati a Bologna e le contestazioni all’urlo di “assassini” alla Brigata ebraica, stigmatizzate, fra gli altri, anche dal dem Emanuele Fiano, dall’azzurro Maurizio Gasparri e da Raffaella Paita (Iv): “Qui gli unici fascisti sono gli autori di questi cori”. Fa discutere anche il post con cui Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, commenta un articolo del Secolo d’Italia: “Ma almeno oggi tornate nelle fogne e tacete…”. “È questa – ribatte Tommaso Foti (FdI) – la libertà di espressione che certi nostalgici degli anni più bui vogliono predicare?”.

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