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Politica

Meloni: fine del fascismo pose le basi per la democrazia

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La Liberazione “con la fine del fascismo pose le basi per il ritorno della democrazia”. È il passaggio chiave del messaggio di Giorgia Meloni nel suo secondo 25 aprile da presidente del Consiglio, commemorato all’Altare della Patria con Sergio Mattarella e le alte cariche dello Stato. Dopo aver affermato un anno fa in una lettera al Corriere della sera che la sua parte politica è “incompatibile con qualsiasi nostalgia” del Ventennio, in questa occasione la premier sceglie i social per ribadire l’avversione “a tutti i regimi totalitari e autoritari”. E promette di continuare “a lavorare per difendere la democrazia e per un’Italia finalmente capace di unirsi sul valore della libertà”. Per le opposizioni, però, non basta. In una giornata segnata da polemiche e scontri di piazza, da più parti le rimproverano di non dichiararsi esplicitamente “antifascista”, dimensione intorno a cui secondo il presidente della Repubblica “è possibile e doverosa l’unità popolare”.

A Milano la segretaria del Pd Elly Schlien abbraccia Antonio Scurati, lo scrittore autore del monologo che ha creato il caos in Rai, e la definisce “una giornata in cui celebrare quell’Italia che è stata dalla parte giusta della storia”, rilanciando “l’impegno e la lotta per la difesa della nostra Costituzione”. Toni simili a quelli di Giuseppe Conte. “Non possiamo permettere – afferma il leader M5s – che i valori costituzionali vengano oggi scalfiti, uno a uno, tra corsa al riarmo, tagli alla sanità e scarso impegno per assicurare dignità, salari giusti e sicurezza alle persone”. Nessun riferimento al post di Meloni, liquidato invece da Nicola Fratoianni (Si) come il “minimo sindacale”, mentre il sindaco di Milano Giuseppe Sala critica il “silenzio imbarazzante” di “una parte del governo”. “Se è un governo che proviene dalla storia dell’Msi – sostiene il leader di Azione Carlo Calenda – è necessario” che dica di essere antifascista. Con sfumature diverse è vissuta la festa della Liberazione nella maggioranza e nell’esecutivo, e non passa inosservato che alcuni ministri non si esprimono.

Per Gennaro Sangiuliano, “l’antifascismo è sicuramente un valore” ma “lo è allo stesso modo l’anticomunismo”. “Liberiamo la festa del 25 aprile da chi la tiene in ostaggio, diventi finalmente di tutti”, il post di Daniela Santanchè. Deve fare i conti con fischi e ‘buuh’ il guardasigilli Carlo Nordio, mentre nel suo discorso a Treviso sostiene che la richiesta di dirsi antifascisti “è retorica, perché avendo noi giurato fedeltà sulla Costituzione è ovvio che siamo antifascisti”. Più volte si è dichiarato tale il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che denuncia la “retorica dell’allarme fascista: non esiste nel Paese e non interessa agli italiani”. E il ministro della Difesa Guido Crosetto, al fianco di Mattarella anche alla cerimonia a Civitella in Val di Chiana, sottolinea che “l’impegno per la libertà è più attuale che mai”. Mentre il vicepremier Antonio Tajani onora “tutte le vittime innocenti del nazifascismo”. Poche le voci leghiste. Il presidente della Camera Lorenzo Fontana, al Foglio, si dice “pienamente antifascista”, e Gian Marco Centinaio mette nero su bianco un “viva l’Italia antifascista”.

Il leader Matteo Salvini partecipa a una cerimonia a Milano (“Ho sempre onorato il 25 aprile senza sbandierarlo”), prima della presentazione del suo libro in cui annuncia la candidatura di Roberto Vannacci con la Lega. “Una provocazione”, per Angelo Bonelli (Avs). “Festeggia il 25 aprile con un criptofascista”, la stilettata di Riccardo Magi (+Europa). “Uno schiaffo della destra ai valori antifascisti”, attacca il dem Alessandro Zen, in un pomeriggio segnato dalle tensioni nelle manifestazioni, da Roma a Milano. FdI condanna i manifesti di Meloni bruciati a Bologna e le contestazioni all’urlo di “assassini” alla Brigata ebraica, stigmatizzate, fra gli altri, anche dal dem Emanuele Fiano, dall’azzurro Maurizio Gasparri e da Raffaella Paita (Iv): “Qui gli unici fascisti sono gli autori di questi cori”. Fa discutere anche il post con cui Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, commenta un articolo del Secolo d’Italia: “Ma almeno oggi tornate nelle fogne e tacete…”. “È questa – ribatte Tommaso Foti (FdI) – la libertà di espressione che certi nostalgici degli anni più bui vogliono predicare?”.

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Politica

Mattarella all’Onu: serve il coraggio di una riforma

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“Una guerra mondiale diffusa”, disse papa Bergoglio. Parole fatte proprie anche dal presidente Sergio Mattarella che oggi è atterrato a New York per una visita di tre giorni interamente dedicata alle Nazioni Unite durante la quale sarà impossibile non tenere conto delle tensioni internazionali, della guerra in Ucraina, di quanto sta accadendo a Gaza. Basti pensare che a poca distanza dal Palazzo di Vetro continuano fortissime le proteste studentesche pro-Palestina e che la Columbia University, che Mattarella avrebbe dovuto visitare, è ancora chiusa agli esterni dopo lo sgombero di pochi giorni fa.

Proprio in questi giorni Philippe Lazzarini, Commissario generale dell’UNRWA, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, ha chiesto al governo Meloni di ripristinare il contributo italiano per l’agenzia che assiste i profughi palestinesi (non solo quelli di Gaza) dopo che l’ex ministra degli Esteri francese, Catherine Colonna, ha presentato le conclusioni del suo rapporto incaricato di analizzare la “neutralità” dell’UNRWA spiegando che al momento Israele non avrebbe ancora fornite prove dell’infiltramento di Hamas in Unrwa.

Un dossier, quest’ultimo, che potrebbe essere affrontato da Mattarella nei suoi colloqui. Mai come oggi il ruolo delle Nazioni Unite come strumento di pace e risoluzione negoziale dei conflitti si presenta debole, se non inefficace, ad affrontare le grandi crisi del pianeta. Ma per l’Italia non significa che bisogna arrendersi alle difficoltà. Al contrario oggi più che mai bisogna spingere sul multilateralismo ed impegnarsi ad una riforma dell’Onu per poi puntare ad un suo rafforzamento. Il capo dello Stato è atterrato nella Grande mela avendo nei propri pensieri proprio questa logica: dare un contributo per “superare le attuali difficoltà politiche e strutturali” dell’Alleanza, spiegano dal Quirinale. Il presidente centrerà i suoi interventi sul “coraggio della riforma” delle Nazioni Unite per fare in modo che non sia più un “Olimpo dei Paesi potenti”, come già disse nel lontano 1996 un altro presidente, Oscar Luigi Scalfaro, nel suo intervento al Palazzo di Vetro.

Perchè di riforma dell’Onu si parla ormai da decenni, soprattutto della riforma del principale organismo decisionale, il Consiglio di Sicurezza, ristretto tra i Paesi leader e bloccato dai veti contrapposti. Non sono previsti quindi contatti con l’amministrazione Usa che peraltro il capo dello Stato ha già sondato incontrando il presidente Biden alla Casa Bianca nel 2021. Certo, sarà difficile in terra americana schivare le polemiche che stanno crescendo in Italia per il caso dello studente, Matteo Falcinelli, arrestato e torturato dalla polizia di Miami e il cui video dell’incaprettamento in caserma ha scioccato i cittadini.

In ogni caso Sergio Mattarella porterà con forza al Palazzo di Vetro l’incrollabile “credo” dell’Italia nella potenza del multilateralismo da contrapporre ai blocchi che si stanno delineando nel pianeta. Alla vigilia del 70.mo anniversario dell’adesione dell’Italia all’Onu, il presidente Mattarella entrerà due volte nel Palazzo di Vetro per parlare. Interventi ai quali si affiancheranno i colloqui ufficiali con il segretario generale Antonio Guterres e con il presidente dell’Assemblea Dennis Francis. Il primo impegno sarà, per Mattarella, l’intervento alla Conferenza sullo stato di attuazione dell’obiettivo 16 (‘Pace, giustizia ed istituzioni per lo sviluppo sostenibile’ dell’Agenda 2030). Si tratta di un appuntamento che viene proposto ogni anno per monitorare uno degli obiettivi fissati dall’Agenda per lo sviluppo sostenibile, rispetto al quale l’Italia ha assunto un ruolo di primo piano. Si annuncia decisamente più politico il secondo discorso del presidente all’Assemblea generale dove parlerà sul tema “Italia, Nazioni unite e multilateralismo per affrontare le sfide comuni’.

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Ambiente

Stop al solare nei campi ma salve le opere già previste

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Sul solare avanti tutta riguardo la norma per lo stop ai pannelli fotovoltaici sui terreni coltivati, inserita nella bozza del decreto sugli aiuti all’agricoltura atteso lunedì in Consiglio dei ministri, ma con qualche primo distinguo. “Niente macchie nere a terra”, ma sì all’agrivoltaico su grandi aree come i tetti delle stalle e delle industrie, per le quali il ministero dell’Agricoltura “ha finanziato solo quest’anno 13.500 aziende” con una prospettiva di 26mila. In più le opere a terra che già erano previste, e “che non sono in numero eccezionale, verranno realizzate” per tutelare le imprese che hanno investimenti in corso, così come ci saranno altre aree agricole ritenute “utilizzabili”, come quelle accessorie alle grandi arterie di circolazione ferroviaria e autostradale, le aree che sono agricole, ma che non vengono utilizzate e non possono essere usate come agricole, ad esempio le cave.

Il giorno dopo la querelle sollevata dalle imprese del solare e dal Mase sulla bozza del provvedimento elaborato dal ministero dell’Agricoltura, il ministro Francesco Lollobrigida ribadisce la sua posizione e difende il testo, definendo la norma “di buonsenso”. E da Torino, a margine della prima tappa del Giro E-24, rassicura anche sul rapporto con Gilberto Pichetto Fratin. “Non solo siamo colleghi, siamo amici e ci sentiamo costantemente. È uscito che ci siano divergenze tra me e lui, ma non c’è alcun tipo di fondamento. Pichetto da agricoltore sa bene quanto è rilevante la tutela del territorio”, ha detto Lollobrigida ai giornalisti. Dopo un’iniziale presa di distanze, nel tardo pomeriggio di ieri il titolare dell’Ambiente aveva precisato che sull’agrivoltaico si stava lavorando “per la migliore formula, per tutelare gli agricoltori e i target di decarbonizzazione” e una telefonata questa mattina tra i due sembra aver ammorbidito ulteriormente le posizioni nella ricerca di una mediazione. Poi riunioni tecniche tra i due ministeri avrebbero analizzato i dettagli per una “soluzione condivisa”. In vista del consiglio di lunedì, resta però alta la preoccupazione da parte degli operatori.

Con il blocco delle realizzazioni degli impianti fotovoltaici “si perdono 60 miliardi di euro” di cui almeno 45 di investimenti privati diretti, afferma Italia Solare, l’associazione delle imprese del fotovoltaico, in una lettera inviata alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e a Pichetto Fratin. Secondo l’associazione i pannelli coprirebbero solo lo 0,24% della superficie agricola nazionale, “e anche sotto questi sarebbe possibile coltivare e far pascolare”. Secondo la norma all’articolo 6 della bozza di Decreto sui sostegni all’agricoltura, le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici sono aree non idonee all’installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra. Ma per Italia Solare “vanno salvaguardate le aree già classificate idonee a questo scopo”. L’energia pulita, dice dal canto suo Lollobrigida “va prodotta bene, non riesco a immaginare la nostra Italia violentata da un modello di sviluppo senza razionalità”.

“Sottrarre terreno agricolo – aggiunge il ministro – significa speculare, per questo stiamo lavorando a un articolo che ponga limiti serissimi a questo tipo di sviluppo senza freni e garantisca produzione energetica”. Le previsioni del governo precedente sono state moltiplicate per quattro: “Siamo stati premiati con 830 milioni in più dalla Commissione per investimenti sul solare, quindi sappiamo fare le cose”, ha detto Lollobrigida. Appoggio al titolare del Masaf arriva intanto anche dalla Lega con il vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio, responsabile Agricoltura e Turismo. Mentre da parte degli agricoltori, la Cia è contraria ai pannelli a terra sui terreni coltivabili “che devono servire per produrre cibo” ma “in alcune aree marginali con terreni non coltivabili pensiamo che l’agrivoltaico possa andare”.

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Politica

Post choc su Schlein, poi il dirigente Fdi si scusa

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Si è scusato Luigi Rispoli, il dirigente di Fdi che venerdì sera in un post sui social aveva accostato il volto di Elly Schlein a quello di una donna di Neanderthal. Ma le modalità adottate non hanno affatto soddisfatto il Pd che anzi ha chiesto al ministro Sangiuliano di rimuovere Rispoli dal suo ruolo di consulente al Ministero della Cultura. “A volte la fiducia viene mal riposta e qualche collaboratore fa cose che non dovrebbe. Un post che voleva essere simpatico non lo è affatto e per questo chiedo scusa a Elly Schlein” ha scritto oggi su X il vice presidente del coordinamento cittadino di FdI Napoli, Luigi Rispoli.

Il riferimento era a un suo post nel quale erano messe una accanto all’altra l’immagine di un articolo sulla ricostruzione del volto di una donna di Neanderthal e quello della leader dem con la scritta “separate alla nascita”.

Sullo stesso X è arrivata contro Rispoli una pioggia di critiche indignate. Un utente ha fatto al dirigente di Fdi lo stesso trattamento che lui ha riservato a Schlein, postando una a fianco all’altra le facce di Rispoli e di Pacciani. Le scuse non sono state trovate soddisfacenti nemmeno dai dirigenti del Pd. “La toppa di Rispoli – ha detto la senatrice Valeria Valente – é quasi peggio del buco: scaricare la responsabilità sui propri collaboratori non é accettabile. Quel post contro Elly Schlein non era certo simpatico, ma sessista e offensivo. Per la destra senza argomenti il bersaglio é il corpo delle donne”.

“Il vergognoso post offensivo e sessista di Rispoli contro Elly Schlein – ha affermato Beatrice Lorenzin – è l’ennesimo esempio della tanto sbandierata “cultura” di destra. Le timide scuse, con lo scarico delle colpe sui collaboratori, evidenziano anche l’incapacità a prendersi le proprie responsabilità”. E poi l’invito al ministro Sangiuliano perché “rimuova immediatamente Rispoli dalla Commissione consultiva per il Teatro del ministero della Cultura”.

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