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Cronache

Milano-Cortina, scatta nuova inchiesta sulle assunzioni

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Un nuovo fascicolo per abuso d’ufficio per indagare sulle assunzioni nella Fondazione Milano-Cortina 2026, in particolare di persone legate alla politica, al mondo dello sport o ai vertici od ex. Con dentro anche un’ipotesi di turbativa per accertamenti su altri affidamenti di appalti sospetti e sulle presunte “anomalie” nei rapporti contrattuali tra l’ente e la società di consulenza Deloitte.

In più l’interrogatorio dell’ex ad Vincenzo Novari, indagato per corruzione e turbativa, fissato per domani. Sono i nuovi fronti dell’inchiesta con più filoni della Procura di Milano su presunte irregolarità nella gestione del comitato organizzatore per le Olimpiadi invernali. Oltre alle indagini per corruzione e turbativa, che vedono iscritti anche l’ex dirigente Massimiliano Zuco e il rappresentante legale di Vetrya e Quibyt, Luca Tomassini, su tre gare per i servizi digitali tra 2020 e 2021, l’aggiunto Tiziana Siciliano e i pm Francesco Cajani e Alessandro Gobbis hanno aperto un fascicolo per d’abuso d’ufficio e turbativa, al momento senza indagati, sui capitoli assunzioni e altri appalti.

Oggi è stata ascoltata come teste per sei ore una dipendente della Fondazione, che per 17 anni ha lavorato con Novari, anche in altre società. Avrebbe riferito che era sempre lui a darle i curricula e a decidere sulle assunzioni. Gli inquirenti vogliono capire se le persone portate dentro la Fondazione fossero state prese su input specifico e quale ruolo gli era stato assegnato. È stato recuperato l’elenco dei dipendenti: sono 380.

Per gli inquirenti il numero è aumentato negli ultimi anni. Altri testimoni hanno spiegato a verbale che ci sono figure che vanno nelle scuole per promuovere i valori olimpici, altri che studiano l’organizzazione delle cerimonie e altri che curano i rapporti istituzionali. Intanto, dagli atti dell’inchiesta del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, viene a galla una chat interna nella quale Tomassini, quando nel 2019 Novari fu nominato Ad, avrebbe esultato così: “”Eh andiamoooooo, 5 billion di budget, appena sentito”. Mentre sul fronte del presunto televoto pilotato per scegliere il logo “Futura” per le Olimpiadi, il sospetto degli inquirenti è che il merchandising fosse già pronto.

E si indaga pure su possibili “retrocessioni” di soldi a Novari su quei quasi 1,9 milioni di euro incassati dalle società di Tomassini. Nel frattempo, in un altro decreto agli atti si mette in luce la vicenda Deloitte (non indagata). Emergerebbe una sproporzione tra quanto versato dalla Fondazione e la somma incassata per la sponsorizzazione anche dal bilancio dell’ente al 31 dicembre 2022

. Il cosiddetto contratto “Pisa”, ossia “Particularised Service Agreement”, per circa 176 milioni di dollari (che i pm hanno chiesto a Deloitte), avrebbe provocato “un ingente stato debitorio in capo a Fondazione”, come segnala la Gdf. E vedrebbe come oggetto “servizi tecnologici in parte sovrapponibili con quelli già erogati” da Vetrya e Quibyt. Serve sul punto, scrivono i pm, un “approfondimento investigativo”. Deloitte, poi, ha preso il posto per la gestione dei servizi digitali di Vetrya e Quibyt. E sempre le Fiamme Gialle mettono in evidenza che la italiana Deloitte Consulting srl e le statunitensi Deloitte Consulting Llp e Deloitte & Touche Llp sono “abituali fornitori” per oltre 74 milioni di euro della Fondazione, mentre Deloitte Italy spa ha versato a Milano-Cortina 7 milioni per essere “sponsor”. Va verificato “l’oggetto – spiegano i pm – di tali prestazioni contrattuali”.

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Muore a 26 anni nello schianto del gommone sugli scogli

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A tradirlo è stata la troppa sicurezza, il fatto di pensare di conoscere così bene quel tratto di mare da spingerlo a un escursione notturna con la sua ragazza. Ma una distrazione gli è stata fatale. Pietro Stipa, 26 anni, toscano originario dell’Argentario, ufficiale della Marina militare di stanza a La Maddalena nel nucleo Sdai (Sminamento difesa antimezzi insidiosi), è morto la scorsa notte nelle acque dell’arcipelago: il gommone che guidava con a bordo la fidanzata, Erika Cavallo 19 anni del posto, si è schiantato sugli scogli tra l’isola madre e Santo Stefano. La meta della coppia erano proprio le calette che circondano Santo Stefano, che però non raggiungeranno mai. Appena usciti dal porto, dopo pochi minuti di navigazione, il natante di cinque metri di lunghezza, è finito sugli scogli affioranti davanti a Santo Stefano, un passaggio insidioso che tutti conoscono.

Pietro Stipa era considerato un uomo di mare con esperienza e soprattutto con una conoscenza approfondita dei luoghi dell’arcipelago proprio per il suo lavoro in Marina. L’impatto con le rocce è stato per lui fatale: sbalzato dal gommone, ha battuto la testa sulle rocce procurandosi una profonda ferita, perdendo i sensi e finendo sott’acqua. Sarebbe quindi morto annegato. A dare l’allarme intorno alle 4 del mattino è stato un passante che si trovava sulla banchina del porto e ha sentito distintamente il botto e un rumore di eliche girare fuori bordo.

Subito ha allertato la Guardia costiera di La Maddalena che ha mobilitato due motovedette dalla vicina Cala Gavetta. Una volta raggiunta la zona a poche miglia da Santo Stefano, gli equipaggi della Capitaneria si sono subito resi conto di quanto era successo: il gommone, con un enorme squarcio nella prua, era finito su uno scoglio e la ragazza che si trovava a bordo stava chiedendo loro aiuto. Soccorsa immediatamente, la fidanzata della vittima è stata portata a terra in stato di choc e con qualche contusione. E’ stata lei ad avvisare i militari della Guardia costiera che il suo ragazzo era finito in mare. Le ricerche del disperso si sono protratte per un’ora, alla fine, intorno alle 5.30, il corpo del giovane ufficiale è stato recuperato sul fondale, adagiato a diversi metri di profondità. Durante le operazioni di ricerca e recupero, il traghetto notturno della Delcomar che effettua i collegamenti con La Maddalena e Palau, ha collaborato illuminando con i suoi potenti fari lo specchio di mare interessato.

La Procura di Tempio Pausania ha aperto un fascicolo per accertare le cause esatte dello scontro. E’ stata inoltre disposta l’autopsia sul corpo dell’ufficiale. Dalle prime indagini condotte dalla Capitaneria, l’incidente sarebbe dovuto alla distrazione del conducente ma anche alla velocità sostenuta: sopra i 15 nodi, circa 30 chilometri all’ora, troppo per affrontare in sicurezza quel tratto di mare. Questa ipotesi è avvalorata dall’analisi dello squarcio sulla parte anteriore del natante, rimasto in galleggiamento e con i tubolari integri. Pietro Stipa nel 2019 aveva partecipato al 52nd Las Anclas Trophy, regata di classe Snipe organizzata dall’Accademia navale spagnola. A riportarlo è il sito ufficiale della Marina Militare. Stipa era allora un aspirante guardiamarina 3^ Classe dell’Accademia navale di Livorno e si era aggiudicato la 3rd Naval Accademies Race, competizione che ha messo a confronto sette equipaggi militari provenienti da altrettanti Paesi esteri.

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Duplice omicidio a Orta di Atella, uccisi un avvocato e il fratello: interrogato un operaio

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Un fatto d’impeto, legato a questioni di vabilità, oppure un delitto calcolato, per questioni economiche connesse a una vendita in un’asta giudiziaria. E non solo. I Carabinieri di Marcianise e quelli del Comando provinciale di Caserta, guidati dal colonnello Manuel Scarso, stanno valutando tutti i possibili moventi del duplice omicidio avvenuto nel primo pomeriggio in strada, ad Orta di Atella. Le vittime – i fratelli Marco e Claudio Marrandino, di 40 e 29 anni, entrambi incensurati – erano molto noti a Cesa, di dove erano originari.

Claudio Marrandino

Marco Marrandino, avvocato, era stato in passato anche presidente del Consiglio comunale, eletto con una lista civica, mentre il fratello era un imprenditore del settore edile. Allo stato delle indagini non c’è certezza sulle ragioni che hanno spinto il presunto assassino, un operaio di 53 anni, anche lui incensurato e di Cesa, a sparargli con una pistola e ad ucciderli, sembra in entrambi i casi anche con dei colpi alla testa. L’ipotesi che vi fossero dei dissidi per questioni economiche, però, sembra allo stato quella prevalente. Gli investigatori stanno sentendo persone per ricostruire la dinamica del duplice omicidio – i fratelli si trovavano a bordo di una Bmw bianca e l’operaio sulla sua vettura: sembra che qualcuno li abbia visti litigare, poi Claudio è stato ucciso a bordo dell’auto, Marco fuori mentre tentava di scappare – e per capire se tra i protagonisti di questa tragedia vi fossero delle relazioni pregresse e di che natura.  

Marco MarrandinoIl delitto è avvenuto tra Orta di Atella e Succivo, in località Astragata, nei pressi dell’uscita dell’asse mediano. A scoprire i corpi è stato un equipaggio dei carabinieri che era di pattuglia proprio in quella zona e che ha sentito gli spari. I militari avrebbero anche visto l’assassino fuggire e sono riusciti ad intercettarlo e a fermarlo poco dopo. In un primo momento le modalità hanno fatto pensare ad un agguato di camorra, ma nè le vittime, nè il presunto assassino risultano avere legami con ambienti della criminalità organizzata. Gli investigatori, comunque, non escludono alcuna pista, tenuto anche conto che il duplice omicidio è avvenuto a poche dall’arresto di Emanuele Libero Schiavone, figlio del capoclan pentito Francesco, e che nei giorni scorsi, nel Casertano, si sono verificati diversi episodi violenti, raid con decine di colpi d’arma da fuoco esplosi anche ai danni dell’abitazione della stessa famiglia Schiavone a Casal di Principe, nell’imminenza, tra l’altro, della tornata elettorale.

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Camorra, fermato Emanuele Libero Schiavone: è il figlio del boss pentito del clan dei casalesi Francesco Sandokan Schiavone

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Dopo gli spari nei pressi del municipio di Casal di Principe, in provincia di Caserta, arrivano i primi fermi per camorra: c’è il figlio del boss Sandokan. Secondo quanto si apprende, la scorsa notte i carabinieri del comando provinciale di Caserta hanno dato esecuzione ad un decreto emesso d’urgenza dalla Direzione distrettuale Antimafia di Napoli nei confronti di Emanuele Libero Schiavone, scarcerato da poche settimane e, soprattutto, pochi giorni dopo la decisione del padre – il capoclan dei Casalesi Francesco “Sandokan” – di collaborare con la giustizia. In manette anche Francesco Reccia, a sua volta figlio di Oreste, ritenuto elemento di spicco della criminalità organizzata casalese. Al momento non trapelano altri dettagli, ma pare sia l’immediata risposta di forze dell’ordine e magistratura all’inquietante episodio avvenuto pochi giorni fa a Casal di Principe, nel pieno della campagna elettorale.

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