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È morto Francesco Lo Schiavo, eccellente chirurgo oncologo apprezzato per umanità e umiltà
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6 anni fadel
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redazione
Si è spento all’improvviso Francesco Lo Schiavo, chirurgo di prim’ordine. Lo Schiavo è stato stroncato da un infarto mentre rientrava in treno da Verona a Napoli. L’importante chirurgo, molto apprezzato a livello nazionale, non era solo, nel momento della tragedia. Al suo fianco c’era la moglie Rita. A nulla è servita, purtroppo, la corsa in ospedale a Padova dove si è tentato inutilmente di rianimarlo.
Francesco Lo Schiavo era professore ordinario di chirurgia generale e oncologica. Dal 1997 al 2006 è stato direttore di Dipartimento universitario e Direttore di dipartimento assistenziale di Chirurgia generale e specialistica della Università Vanvitelli. La sua formazione internazionale ne ha fatto un innovatore nell’ateneo napoletano; promotore, tra l’ altro, di protocolli integrati per il trattamento oncologico della mammella e del colon retto. La sua attività chirurgica è stata, per scelta, sempre svolta in ambito pubblico. Si è dedicato a trasmettere ai suoi allievi il sapere, accreditandoli in strutture internazionali di alta specializzazione. Anche il figlio ha seguito le sue orme: è l’oculista Rodolfo Lo Schiavo-Elia. Ha portato l’Associazione Nazionale Tumori a Napoli, di cui è stato primo presidente. Era ricordato e apprezzato nell’ambone medico universitario per la sua carica di umanità e per la sua capacità di aiutare il prossimo, provando sempre ad immagine soluzione ai problemi. Se c’è una qualità umana in cui eccelleva Lo Schiavo, quella è certamente l’umiltà. Non era una primadonna, pur avendo le qualità professionali ed umane per meritare un posto del genere. Non era un effimero. Era un medico concreto, vero. Ed è così che sarà ricordato dai suoi amici, dai suoi amici medici e dai suoi tanti allievi.
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Cronache
I principali ‘papabili’ successori di Papa Francesco: Zuppi e Parolin hanno chance importanti
Pubblicato
10 ore fadel
24 Aprile 2025
Di seguito presentiamo una panoramica dei cardinali comunemente ritenuti più papabili per succedere a Papa Francesco in caso di morte del pontefice. Per ciascuno vengono descritti il profilo biografico, le posizioni teologiche, la rilevanza geografica e geopolitica, nonché le esperienze pastorali e in Curia. Segue poi un’analisi complessiva sulla distribuzione geografica dei cardinali elettori e sulle possibili dinamiche di alleanze nel futuro Conclave.
Cardinale Pietro Parolin (Italia) – Segretario di Stato Vaticano
Pietro Parolin, 70 anni, è dal 2013 Segretario di Stato della Santa Sede (il “primo ministro” vaticano) ed è spesso considerato un candidato di compromesso tra le correnti progressiste e conservatrici. Nato in Veneto nel 1955, è stato ordinato sacerdote a 25 anni e ha intrapreso la carriera diplomatica: ha servito come nunzio apostolico in Nigeria e Messico, poi come Sotto-Segretario per i Rapporti con gli Stati. Grande esperto di politica internazionale, ha avuto un ruolo cruciale nelle relazioni con il Medio Oriente e soprattutto nel dialogo con la Cina, culminato nello storico accordo provvisorio del 2018 sulla nomina dei vescovi (rinnovato più volte).
Parolin è considerato un moderato dal punto di vista teologico – né apertamente progressista né ultra-conservatore – e per questo potrebbe fungere da ponte tra le due principali correnti del Collegio. Vicino allo stile pastorale di Francesco (attenzione ai poveri, visione “globalista” della Chiesa), porterebbe avanti molte riforme di Francesco ma con un approccio più discreto e diplomatico. Grazie alla vasta esperienza di governo e alla stima trasversale di cui gode tra i confratelli cardinali, Parolin viene spesso indicato come un “naturale successore” se il Conclave cercasse stabilità e continuità nella linea di Bergoglio.
Cardinale Matteo Maria Zuppi (Italia) – Arcivescovo di Bologna
Matteo Zuppi (foto Imagoeconomica in evidenza), 69 anni, è arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI (Conferenza Episcopale Italiana). Romano di nascita, proviene dalla comunità di Sant’Egidio, con un passato da sacerdote di frontiera nelle periferie romane. Molto amato per lo stile semplice e dialogante, incarna il profilo del “prete di strada” vicino ai poveri nello spirito francescano. Durante gli anni ’90 ha partecipato come mediatore a importanti processi di pace (Mozambico, Burundi, Guatemala) insieme alla Comunità di Sant’Egidio. Nominato vescovo ausiliare di Roma nel 2012, è stato scelto da Francesco come arcivescovo di Bologna nel 2015 e creato cardinale nel 2019. Zuppi è considerato un esponente di punta dell’ala progressista: attento ai temi sociali (migranti, emarginati) e aperto nel dialogo ecumenico e interreligioso, in sostanziale continuità con l’impostazione di Papa Francesco. Dal 2022 guida l’episcopato italiano e nel 2023 è stato inviato da Francesco come mediatore nella guerra in Ucraina, incontrando leader a Kiev, Mosca, Washington e Pechino. La sua nomina a Pontefice rappresenterebbe una chiara scelta di continuità “francescana”, sebbene con un temperamento mite e conciliante. C’è da aspettarsi che i settori più conservatori della Chiesa lo guarderebbero con una certa sospettosità per le sue posizioni aperte, ma molti lo vedono come una figura capace di unire spiritualità e attenzione pastorale sul campo.
Cardinale Luis Antonio G. Tagle (Filippine) – Pro-Prefetto di Evangelizzazione
Luis Antonio “Chito” Tagle, 67 anni, filippino, è spesso citato tra i papabili più accreditati fuori dall’Europa. Arcivescovo di Manila dal 2011 al 2019, è stato chiamato da Papa Francesco a Roma come Prefetto (ora Pro-Prefetto) del Dicastero per l’Evangelizzazione – uno degli incarichi più importanti – dopo aver guidato Caritas Internationalis per diversi anni. Tagle unisce una solida formazione teologica (dottorato negli USA, docente e poi vescovo relativamente giovane) a un carisma comunicativo che gli ha valso il soprannome di “Francesco asiatico”. Come Papa Francesco, infatti, è noto per la vicinanza ai poveri e l’attenzione alla giustizia sociale. Se eletto, sarebbe il primo pontefice dell’Asia in duemila anni di storia, segnalando quella “svolta Global South” a lungo attesa. Teologicamente Tagle è considerato un progressista moderato: ha difeso con fermezza la dottrina pro-life (si è opposto ad aborto ed eutanasia nelle Filippine) ma al contempo ha invocato maggiore misericordia pastorale verso le coppie omosessuali e le situazioni familiari irregolari. Inoltre, ha svolto un ruolo chiave nel dialogo segreto con la Cina riguardo alla nomina dei vescovi, forte anche delle sue origini cinesi da parte di madre. Negli ultimi anni alcune difficoltà gestionali emerse in Caritas (commissariata nel 2022) hanno forse leggermente offuscato la sua immagine, ma resta uno dei candidati di peso con rilevanza geopolitica: darebbe voce alla crescente Chiesa asiatica.
Cardinale Fridolin Ambongo Besungu (Rep. Dem. Congo) – Arcivescovo di Kinshasa
Fridolin Ambongo, 63 anni, è l’arcivescovo di Kinshasa (Capitale della RD Congo) e uno dei leader più in vista della Chiesa africana contemporanea. Cappuccino, con studi in teologia morale a Roma, è stato professore e ha guidato diocesi minori prima di essere promosso alla sede primaziale del Congo nel 2018 da Papa Francesco. Creato cardinale nel 2019, Ambongo è diventato nel 2023 Presidente del SECAM, l’associazione delle Conferenze Episcopali di tutta l’Africa. Nel suo paese è noto per l’impegno sociale e politico: ha denunciato corruzione, sfruttamento neocoloniale delle risorse e ingiustizie, divenendo di fatto anche una voce critica verso il potere politico locale. Su questi temi mostra un volto progressista e attento all’ecologia e ai diritti dei più deboli. Allo stesso tempo, sul piano dottrinale e morale Ambongo mantiene posizioni piuttosto ortodosse: ad esempio, ha guidato la fronda dei vescovi africani contro l’ipotesi di benedizione delle coppie omosessuali emersa in Vaticano nel 2023. Questa apparente contraddizione – progressista sui temi sociali, conservatore su quelli etici – rende incerto il suo effettivo peso in Conclave. Tuttavia, molti osservatori lo indicano da anni come papabile, poiché l’elezione di un papa africano (sarebbe il primo nella storia moderna) invierebbe un segnale forte a una Chiesa sempre più globale. Ambongo potrebbe catalizzare il voto di molti porporati del Sud del mondo desiderosi di rappresentanza, a patto di rassicurare i settori più tradizionalisti sulla continuità dottrinale.
Cardinale Péter Erdő (Ungheria) – Arcivescovo di Esztergom-Budapest
Péter Erdő, 72 anni, arcivescovo di Budapest, è da tempo considerato il candidato di punta dei conservatori. Teologo e canonista di fama (autore di centinaia di saggi accademici), ha una lunga esperienza ecclesiale: vescovo dal 1999, cardinale dal 2003 (fu uno dei più giovani porporati nominati da Giovanni Paolo II). Ha guidato per un decennio le Conferenze Episcopali Europee, costruendo contatti in tutto il continente e in Africa. Erdő è un uomo di profonda cultura e di marcata sensibilità tradizionale: difende con forza le radici cristiane dell’Europa, è fermamente pro-vita, contrario al celibato opzionale dei preti e all’apertura verso le unioni omosessuali. Pur essendo nel campo conservatore, ha mantenuto un atteggiamento pragmatico e non si è mai scontrato frontalmente con Papa Francesco. Anzi, per molti rappresenta una figura di possibile compromesso, un conservatore dialogante che potrebbe essere accettabile anche ai moderati. La stampa cattolica internazionale lo cita spesso tra i papabili: Catholic Herald ha scritto che un conclave orientato a destra potrebbe sceglierlo per dare un messaggio chiaro sulla direzione dottrinale della Chiesa. La sua padronanza delle lingue (parla italiano, tedesco, francese, spagnolo, russo) potrebbe persino agevolare rapporti ecumenici delicati, ad esempio con il mondo ortodosso russo. Se eletto, Erdő sarebbe il primo papa originario dell’Europa orientale dai tempi di Giovanni Paolo II e porterebbe l’esperienza di una Chiesa, quella ungherese, vissuta a lungo ai margini sotto i regimi comunisti.
Cardinale Jean-Marc Aveline (Francia) – Arcivescovo di Marsiglia
Jean-Marc Aveline, 66 anni, è arcivescovo di Marsiglia e uno dei teologi più apprezzati tra i nuovi cardinali creati da Francesco. Nato in Algeria da famiglia francese pied-noir, incarna nel suo vissuto personale il dialogo tra culture e religioni del Mediterraneo. La sua formazione comprende un dottorato in teologia e una laurea in filosofia; ha servito a lungo nella pastorale e nell’insegnamento in Francia, diventando vescovo ausiliare nel 2013 e poi arcivescovo nel 2019. Francesco lo ha creato cardinale nel 2022, facendone uno dei volti della Chiesa europea attenta alle periferie: Aveline infatti è molto impegnato sul tema dei migranti e nel dialogo con l’Islam, data la particolare realtà multireligiosa di Marsiglia. Ideologicamente è vicino alla linea di Papa Francesco, tanto che in Francia qualcuno lo chiama con affetto “John XXIV” per la somiglianza col papa riformatore Giovanni XXIII. Aveline unisce uno stile pastorale popolare e gioviale a un solido spessore intellettuale. La sua ascesa è stata rapida sotto il pontificato attuale e il successo dell’Incontro ecclesiale del Mediterraneo da lui organizzato nel 2023 (con la presenza di Francesco) ne ha accresciuto la statura internazionale. Come papa sarebbe il primo francese dal XIV secolo. Un possibile handicap è la scarsa dimestichezza con l’italiano, lingua che tuttavia comprende: elemento non secondario dovendo governare la diocesi di Roma. Ciononostante, il suo nome figura tra i papabili soprattutto per chi auspica un pontefice europeo pastoralmente progressista ma radicato nella tradizione teologica.
Cardinale Pierbattista Pizzaballa (Italia) – Patriarca di Gerusalemme
Pierbattista Pizzaballa, 60 anni, è Patriarca Latino di Gerusalemme dal 2020 e uno dei più recenti cardinali italiani (creato da Francesco nel concistoro del 30 settembre 2023). Francescano, originario della provincia di Bergamo, ha vissuto gran parte della sua vita in Terra Santa, dove è stato a lungo Custode di Terra Santa (superiore dei francescani nei Luoghi Santi) dal 2004 al 2016. La sua profonda esperienza in Medio Oriente lo ha visto spesso operare come mediatore tra comunità in conflitto: parla correntemente l’ebraico (è stato il primo cristiano a studiare la Bibbia all’Università Ebraica di Gerusalemme) e l’arabo, ed è una voce ascoltata sia da israeliani che palestinesi. Pizzaballa condivide con Papa Francesco l’attenzione ai migranti, il rifiuto del clericalismo e l’apertura al dialogo interreligioso. Allo stesso tempo tiene a sottolineare la fedeltà alla tradizione: pur aperto alla modernità, ritiene che una Chiesa “aperta a tutti” non significhi una Chiesa “di tutti” senza regole. Questa duplice natura – pastore accogliente ma saldo nelle radici – lo rende un possibile profilo di sintesi. Viene talvolta indicato come figura di collegamento tra progressisti e conservatori: un italiano fuori dagli schemi curiali, giovane rispetto alla media (sarebbe uno dei papi più giovani degli ultimi decenni), con visione globale. La sua elezione porterebbe per la prima volta un Patriarca di Gerusalemme sul soglio di Pietro, sottolineando l’attenzione al Medio Oriente e alle sfide del dialogo con l’ebraismo e l’Islam.
Cardinale Juan José Omella (Spagna) – Arcivescovo di Barcellona
Juan José Omella, 79 anni, è l’arcivescovo di Barcellona e una figura vicina allo stile pastorale di Papa Francesco. Ha una lunga esperienza missionaria e di carità: da giovane sacerdote ha trascorso un periodo come missionario in Zaire(odierna RD Congo) e per anni è stato responsabile di Manos Unidas, l’organizzazione cattolica spagnola per la lotta alla fame. Vescovo dal 1996, ha guidato diverse diocesi minori prima di essere nominato alla importante sede di Barcellona nel 2015 da Francesco, che lo ha creato cardinale nel 2017. Dal 2020 è presidente della Conferenza Episcopale Spagnola. Omella è descritto come un pastore umile e bonario, di vita semplice, dedito al servizio degli ultimi – caratteristiche che ricordano da vicino lo stile “della porta accanto” di Bergoglio. In termini teologici è annoverato tra i moderati-progressisti: attento al sociale, ma senza strappi clamorosi alla tradizione. Proprio questa sua vicinanza al “cuore” del pontificato attuale e l’età avanzata lo rendono talvolta paragonato a un possibile papa di transizione, qualora i cardinali cercassero un pontificato breve in continuità con Francesco. Va detto che 79 anni sono un’età molto elevata per un candidato (sarebbe uno dei papi eletti più anziani), e ciò potrebbe ridurre le sue chances. Tuttavia, Papa Francesco ha scherzato una volta dicendo che il suo successore potrebbe chiamarsi Giovanni XXIV, e alcuni in Spagna hanno affibbiato ad Omella proprio l’appellativo di “Juan XXIV” per la sua somiglianza spirituale col papa buono. Seppure meno citato di altri, il suo nome resta sullo sfondo come papabile di consenso per il fronte bergogliano.
Cardinale Blase J. Cupich (Stati Uniti) – Arcivescovo di Chicago
Blase Cupich, 76 anni, arcivescovo di Chicago, è uno dei principali esponenti dell’ala progressista della Chiesa statunitense. Papa Francesco lo ha voluto a Chicago nel 2014 e creato cardinale nel 2016, rompendo con tradizioni di nomine più conservatrici in quella sede. Cupich si è distinto per posizioni coraggiose in difesa dei migranti e delle minoranze: celebre il suo intervento alla vigilia dell’insediamento di Donald Trump, quando dichiarò che la Chiesa si sarebbe opposta ad ogni piano di deportazione di immigrati e a eventuali incursioni delle autorità nei luoghi di culto. Sul fronte degli abusi ha avviato una difficile opera di risanamento quando era vescovo a Spokane. Teologicamente, Cupich è allineato con l’agenda di Papa Francesco su temi come ambiente, giustizia sociale e un approccio pastorale inclusivo. La sua elezione sarebbe epocale in quanto significherebbe il primo papa nordamericano, anche se tradizionalmente i cardinali sono riluttanti a scegliere un pontefice dagli Stati Uniti. Geopoliticamente, infatti, un papa americano potrebbe essere visto come troppo legato alla superpotenza mondiale. Ciò rende Cupich un papabile di minoranza, ma il suo nome potrebbe emergere come riferimento per un gruppo di porporati riformisti. Nel caso remoto di un papa statunitense, la sua figura (insieme a quella del connazionale Tobin) appare la più quotata per incarnare la continuità con Francesco in terra americana.
Cardinale Joseph W. Tobin (Stati Uniti) – Arcivescovo di Newark
Joseph Tobin, 72 anni, arcivescovo di Newark (New Jersey), è un altro cardinale USA in sintonia con la linea di Papa Francesco. Redentorista, già superiore generale del suo ordine, ha lavorato alcuni anni a Roma come segretario del dicastero per la Vita Consacrata, prima di tornare negli Stati Uniti come arcivescovo (prima a Indianapolis, poi a Newark). Francesco lo ha creato cardinale nel 2016, preferendolo ad altre sedi più tradizionali (come quella di Philadelphia) e segnalando così il suo apprezzamento. Tobin è noto per il suo impegno a favore dei migranti e per la vicinanza pastorale: ha denunciato con forza le politiche di separazione delle famiglie migranti e proposto iniziative concrete per accompagnare e difendere gli immigrati vulnerabili. Caratterialmente cordiale e alla mano, rappresenta bene l’episcopato “di periferia” valorizzato da Francesco. Anche per Tobin valgono le considerazioni geopolitiche fatte per Cupich: un papa statunitense sarebbe una novità storica e non è tra gli scenari più probabili. Tuttavia, se mai i cardinali volessero rompere questo tabù, Tobin – insieme a Cupich – “sarebbe il candidato più probabile”. La sua elezione porterebbe sulla Cattedra di Pietro una sensibilità pastorale nordamericana attenta ai problemi sociali, ma potrebbe incontrare resistenze presso alcuni settori più tradizionalisti della Chiesa USA.
Distribuzione geografica dei cardinali elettori
I cardinali che eleggeranno il prossimo papa provengono da tutti i continenti, riflettendo la natura universale della Chiesa Cattolica. Su un totale attuale di 135 cardinali elettori (cioè sotto gli 80 anni), la ripartizione per provenienza geografica è la seguente:
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Europa: 53 elettori, pari a circa il 39% del totale. L’Europa, pur rappresentando ormai una minoranza dei cattolici mondiali, continua ad avere il gruppo più numeroso di cardinali con diritto di voto.
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Asia: 23 elettori (17,4%). Notevole è la crescita della componente asiatica, incrementata significativamente da Papa Francesco con porpore a Paesi come India, Filippine, Thailandia, Mongolia e altri.
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Africa: 18 elettori (13%). Anche l’Africa ha visto aumentare il proprio peso nel Collegio; molti di questi cardinali provengono da nazioni dell’Africa subsahariana in forte crescita demografica.
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Americhe: 38 elettori in totale, di cui 20 dall’America del Nord (14,5%) e 18 dall’America del Sud (13%). Se considerati congiuntamente, i porporati delle Americhe costituiscono circa il 28% degli elettori, con una presenza significativa sia dagli Stati Uniti e Canada sia da America Latina e Caraibi.
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Oceania: 4 elettori (circa 3%), provenienti essenzialmente da Australia, Nuova Zelanda e isole del Pacifico.
Questa distribuzione riflette lo spostamento del baricentro cattolico verso il Sud globale: circa il 62% degli elettori viene ormai da fuori dell’Europa (in particolare da Americhe, Africa, Asia e Oceania) Va anche notato che quasi l’80% dei cardinali elettori sono stati creati da Papa Francesco stesso. Di conseguenza, il prossimo Conclave rispecchierà una Chiesa dal volto sempre più planetario, con 71 Paesi rappresentati complessivamente dai porporati votanti.
Il peso dei continenti e le possibili influenze sull’elezione
L’equilibrio geopolitico sopra delineato giocherà un ruolo importante nelle dinamiche del Conclave. In linea generale, i cardinali europei – pur essendo numericamente il gruppo maggiore – sono assai eterogenei per sensibilità teologiche e nazionalità, e difficilmente voteranno in blocco. La loro preminenza (39%) garantisce comunque un’influenza notevole: ad esempio, molti papabili di spicco (Parolin, Zuppi, Erdő, Aveline, Pizzaballa, Omella) provengono dall’Europa e potrebbero inizialmente raccogliere consensi nelle rispettive aree linguistiche o culturali. Tuttavia, l’epoca in cui i conclavi erano dominati dai “blocchi” italiani ed europei è finita – come dimostra l’elezione di due papi non europei di seguito (uno sudamericano, Francesco, e prima di lui un nordamericano, Benedetto XVI di origine tedesca, benché europeo).
I cardinali delle Americhe rappresentano insieme più di un quarto dei votanti. L’America Latina, forte di 18 elettori, vorrà certamente far sentire la propria voce: benché abbia già dato un papa recentemente, potrebbe spingere per un successore che mantenga alta l’attenzione alle periferie e alla giustizia sociale che ha caratterizzato il pontificato di Francesco (molti latinoamericani appoggiano candidati progressisti come Tagle, Zuppi o altri di simile sensibilità). I nordamericani (20 elettori, di cui 11 dagli USA) storicamente non riescono a convergere su uno di loro – e spesso preferiscono appoggiare candidati di altre regioni vicini alle loro vedute. Nel Conclave 2025, i porporati statunitensi più conservatori potrebbero sostenere figure come Erdő o altri di linea tradizionale, mentre quelli progressisti (come Cupich e Tobin) sarebbero orientati verso un successore in continuità con Francesco. In ogni caso, l’ipotesi di un Papa proveniente dagli Stati Uniti rimane remota, quindi il peso nordamericano verrà probabilmente speso per influenzare l’elezione di un candidato di un’altra area.
L’Africa con 18 voti (13%) è per dimensioni paragonabile all’America Latina. Gli africani, pur provenendo da varie nazioni, tendono ad avere preoccupazioni pastorali simili – soprattutto sul fronte di famiglia e morale sessuale dove sono generalmente più conservatori. È plausibile che i cardinali africani cerchino di sostenere un candidato che garantisca continuità dottrinale sui valori tradizionali (ad esempio potrebbero guardare con favore a un Erdő, o a un moderato come Parolin, piuttosto che a candidati percepiti come troppo liberali sulle questioni etiche). D’altro canto, l’orgoglio di vedere finalmente un Papa africano potrebbe portarli a convergere inizialmente su uno dei loro, come Ambongo o eventualmente un Turkson (Ghana, 76 anni) – candidature simboliche che però potrebbero servire da ago della bilancia nelle trattative: ad esempio, spingendo altri papabili a impegnarsi ad ascoltare di più le istanze del continente in cambio di appoggio. In Africa inoltre gode ancora di prestigio il cardinale guineano Robert Sarah (79 anni), figura conservatrice di spicco; sebbene le sue chance di essere eletto siano minime per via dell’età e delle posizioni rigide, la sola presenza di personalità come Sarah nel Conclave può influenzare parte dell’elettorato verso opzioni più tradizionali.
L’Asia con 23 voti (17%) avrà un ruolo determinante come kingmaker. I cardinali asiatici formano un gruppo diversificato (dalle Filippine all’India, dalla Corea al Medio Oriente); molti di essi sono stati nominati da Francesco e ne condividono la visione pastorale. È diffusa la speranza che l’Asia possa esprimere il prossimo papa – speranza incarnata soprattutto da figure come Tagle. In Conclave, i voti asiatici potrebbero inizialmente convergere proprio sul cardinale filippino. Se però Tagle non ottenesse un consenso sufficiente nei primi scrutini, è probabile che gli asiatici dirottino i loro voti su candidati affini per sensibilità (ad esempio un Zuppi o Parolin, o eventualmente un altro non europeo). Anche il cardinale maltese Mario Grech, sebbene europeo, è benvoluto da molti asiatici per il suo ruolo nel Sinodo e le idee riformatrici; ma il suo profilo resta secondario rispetto ai nomi già citati.
Infine, l’Oceania con soli 4 voti ha un peso marginale, ma simbolicamente importante. I due elettori australiani, in particolare, potrebbero appoggiare un candidato più conservatore dato che la Chiesa in Australia è stata scossa da sinodi e dibattiti interni (l’arcivescovo di Sydney è su posizioni tradizionali). Tuttavia, questi pochi voti difficilmente saranno decisivi se non in uno scenario di spaccatura estrema.
In sintesi, nessun continente da solo può “decidere” il Papa, ma ciascuno potrà influenzare orientando consensi verso candidati graditi. L’ampia rappresentanza di Africa, Asia e America Latina – frutto del pontificato di Francesco – rende il Conclave assai più imprevedibile e aperto a possibili sorprese rispetto al passato. Come notava un analista, questo assetto pluralistico rende più difficile individuare un favorito di cartello prima del voto, aumentando la necessità di dialogo e alleanze trasversali fra i cardinali.
Dinamiche teologiche e alleanze informali nel Conclave
Oltre ai fattori geografici, un ruolo cruciale sarà giocato dalle correnti teologiche e dai gruppi di interesse che attraversano il Collegio cardinalizio. Già da tempo si parla di un fronte progressista (o riformatore) e di un fronte conservatore (o tradizionalista) che cercheranno entrambi di orientare la scelta del successore di Francesco.
Va detto che circa l’80% dei elettori è stato nominato dal Papa uscente e molti di essi ne condividono l’impostazione pastorale: per questo motivo i progressisti appaiono in vantaggio numerico. Figure come Zuppi, Tagle, Aveline, Grech, Hollerich (cardinale lussemburghese, 66 anni, gesuita e relatore generale del Sinodo sulla sinodalità) sono esponenti di questa corrente che vorrebbe proseguire – o persino approfondire – le riforme avviate da Bergoglio (sinodalità, attenzione inclusiva a divorziati risposati e persone LGBT, maggiore ruolo ai laici e alle donne, dialogo ecumenico). Tuttavia, i progressisti non sono monolitici: potrebbero dividersi inizialmente fra più candidati di loro gradimento. Uno scenario possibile è una prima convergenza dei riformatori su qualcuno come Zuppi o Tagle; se nessuno dei due riuscisse a raggiungere rapidamente la soglia dei due terzi, parte di questi voti potrebbero spostarsi su un terzo nome di compromesso (ad esempio Parolin, considerato accettabile anche dai moderati). In questa fase iniziale sarà importante l’azione di kingmaker di alcuni cardinali influenti del gruppo progressista – ad esempio il cardinale brasiliano Cláudio Hummes (francescano, molto vicino a Francesco) avrebbe potuto esserlo, ma è scomparso nel 2022; altri come il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga (Honduras) hanno superato gli 80 anni e non votano. Quindi la leadership del fronte riformatore spetterà probabilmente a una rete di porporati più giovani e dinamici, coesi nel sostenere la linea di Francesco.
Dal lato opposto, il fronte conservatore è minoritario ma ben determinato a far sentire la propria voce. Negli ultimi anni i tradizionalisti si sono sentiti emarginati dalle politiche di Francesco, e vedono nel Conclave l’occasione per una sorta di “rivincita”. I nomi di riferimento di quest’ala includono il cardinale americano Raymond Leo Burke (75 anni) e il guineano Robert Sarah (79 anni) – entrambi noti critici del pontificato di Francesco. Questi due, presenti in Conclave come elettori, difficilmente potranno ambire essi stessi al papato (Burke ha relazioni tese con molti confratelli e Sarah è molto anziano e di orientamento considerato divisivo). Ma potrebbero fungere da portavoce di un gruppo di cardinali (forse 15-20) desiderosi di un netto cambiamento di rotta. Tale gruppo cercherà inizialmente di coagulare voti su un candidato conservatore “papabile”. Il più accreditato, come visto, è l’ungherese Péter Erdő, che unisce profilo dottrinale sicuro e capacità di governo. Altri nomi in quest’area potrebbero essere il cardinale tedesco Gerhard Ludwig Müller (76 anni, già Prefetto della Dottrina della Fede con Benedetto XVI, anche lui critico di alcune innovazioni di Francesco), oppure – in misura minore – figure come l’americano Timothy Dolan (arcivescovo di New York, 75 anni, noto per posizioni tradizionali su etica e liturgia). I conservatori sanno di non avere i numeri per imporre un loro candidato da soli, ma puntano a essere ago della bilancia: potrebbero sostenere compatti Erdő o un altro nome affine e, se costateranno l’impossibilità di vincere, spostare i voti su un candidato di compromesso meno sgradito (ad esempio Parolin o Pizzaballa) per evitare l’elezione di un progressista puro. È significativo che persino il cardinale Pizzaballa venga citato dal fronte tradizionalista come figura di collegamento tra progressisti e conservatori, con “buone possibilità” di essere eletto: ciò indica che i conservatori potrebbero accontentarsi di un moderato pur di bloccare un riformatore radicale.
Un altro raggruppamento trasversale nel Conclave potrebbe essere quello dei cosiddetti moderati/centristi o “continuisti pragmatici”. Questo non è un blocco formalmente organizzato, ma include quei cardinali che, pur nominati da Francesco, appartengono all’ala moderata della Chiesa e desiderano una continuità temperata, senza polarizzare. In questo gruppo rientrano molti europei e nordamericani che apprezzano sia le riforme di Francesco sia la solidità dottrinale: per loro candidati ideali sarebbero Parolin o anche il cardinale Jean-Claude Hollerich (sebbene più progressista su alcuni temi). Gli accordi informali tra centristi e progressisti saranno decisivi per raggiungere la quota di 2/3. È plausibile che dopo qualche scrutinio esplorativo, si formi un’alleanza tra la maggioranza dei votanti – provenienti dal mondo in via di sviluppo e dall’Europa riformatrice – attorno a un nome condiviso, per evitare stalli prolungati.
In conclusione, il Conclave che si profila appare assai più complesso e sfaccettato rispetto al passato. La combinazione di una composizione geografica diversificata e di una pluralità di correnti teologiche renderà necessarie trattative intensenelle congregazioni generali e nei colloqui riservati tra cardinali. Le “alleanze informali” potranno formarsi sulla base di affinità regionali e di visione ecclesiale: ad esempio, i cardinali dell’America Latina e dell’Africa potrebbero convergere se individuano un candidato che garantisca sia la continuità pastorale sia la tenuta sulla dottrina; oppure, progressisti europei e asiatici potrebbero unirsi per sostenere un papabile globalista e inclusivo. Come ricorda un vecchio adagio vaticano, «chi entra papa in Conclave, ne esce cardinale»: nessun esito è scontato. I “favoriti” della vigilia dovranno trovare conferme nello scrutinio segreto, e non si esclude l’emergere di una sorpresa, frutto di un equilibrio nuovo tra i blocchi. Ciò che è certo è che il prossimo papa sarà scelto in un ambiente ecclesiale profondamente segnato da Francesco, ma al tempo stesso attraversato dal desiderio di imprimere una direzione chiara per il futuro su questioni chiave come il ruolo della donna, la sessualità, la sinodalità e la tradizione. Il risultato finale dipenderà dall’abilità dei cardinali di costruire ponti tra di loro almeno quanto da quella di scegliere l’uomo giusto da mettere sul trono di Pietro.
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Mandato d’arresto per Putin bloccato in Italia: il caso fermo al Ministero della Giustizia
Il presidente russo non si è presentato ai funerali di Papa Francesco a Roma. In gioco anche il mandato della Corte penale internazionale, mai attivato dalle autorità italiane.
Pubblicato
14 ore fadel
24 Aprile 2025
Il timore di un arresto a Roma, in occasione dei funerali di Papa Francesco, potrebbe aver pesato sulla decisione di Vladimir Putin di disertare la cerimonia in piazza San Pietro. Ma in realtà, secondo quanto ricostruito, il rischio era pressoché nullo. Il motivo? Il mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte penale dell’Aia il 17 marzo 2023 è fermo da oltre due anni negli uffici del Ministero della Giustizia. Il Guardasigilli Carlo Nordio non ha mai trasmesso l’ordine alla Procura generale di Roma, impedendone l’esecuzione.
Putin tra i ricercati internazionali, ma “intoccabile” in Italia
Il nome del presidente russo è ufficialmente inserito tra quelli ricercati per crimini di guerra, in particolare per la deportazione illegale di bambini ucraini. Eppure, nessuna procedura è mai stata avviata per attivare l’ordine di arresto sul suolo italiano. Se anche un agente lo fermasse, si tratterebbe di un’azione «irrituale e nulla», come già avvenuto nel caso del generale libico Osama Najeem Almasri, arrestato nel gennaio scorso e poi scarcerato.
In quel caso, Nordio fu interpellato ma non diede risposta, e Almasri fu rimpatriato. Ora il ministro è sotto inchiesta davanti al Tribunale dei ministri, insieme a Meloni, Piantedosi e Mantovano, con l’accusa di omissione di atti d’ufficio. Un’indagine che potrebbe fare da apripista anche per altri casi.
Il fascicolo Putin bloccato dal 2023
Il provvedimento della Corte penale internazionale giace nei cassetti del Ministero da marzo 2023. Come confermato dalla Corte d’appello di Roma, per procedere è necessaria una «interlocuzione prodromica e irrinunciabile» tra il ministro e la Procura generale. Dialogo mai avviato nel caso di Putin, né per altri esponenti del Cremlino come Maria Lvova-Belova, Sergei Shoigu, Valery Gerasimov, Sergei Kobylash e Viktor Sokolov, anch’essi formalmente ricercati per crimini contro l’umanità.
Una scelta politica?
Il caso italiano sembra rappresentare una precisa scelta politica. Il governo ha lasciato intendere che i capi di Stato in carica godano di immunità da arresti internazionali, posizione che contrasta con quella della stessa CPI, per cui l’immunità non vale per genocidio o crimini di guerra. Questo approccio si riflette anche nel caso di Benjamin Netanyahu, su cui pende un’analoga richiesta dell’Aia per i crimini a Gaza.
Il ruolo del Guardasigilli e il vuoto normativo
Secondo l’articolo 2 della legge italiana del 2012 che ha recepito lo Statuto di Roma, il ministro della Giustizia ha il compito di ricevere e trasmettere le richieste della Corte penale. L’articolo 4 obbliga il Guardasigilli a inoltrare i mandati al procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma. Una procedura che Nordio non ha mai attivato.
Ora si attende l’esito dell’inchiesta su Almasri, che farà luce su quanto possa costare, anche penalmente, l’inazione del governo italiano. Per quanto riguarda Putin, l’impressione è che la volontà politica di non procedere sia ormai un fatto evidente.
Ben'essere
Giorgio Locatelli: «La Locanda è chiusa, ma sto benissimo. Ora sogno un ristorante in Puglia»
Pubblicato
21 ore fadel
24 Aprile 2025
Dopo 23 anni, Giorgio Locatelli ha chiuso la sua celebre Locanda di Londra. Una decisione forte, ma ponderata. «È come se mi avessero tolto un peso dalla schiena», racconta lo chef stellato in un’intervista al Corriere della Sera. «Eravamo aperti tutti i giorni, con uno staff fino a 84 persone: troppa pressione. A 62 anni, avevo bisogno di respirare». La chiusura è arrivata il 31 dicembre 2024 e, oggi, Locatelli guarda avanti con entusiasmo.
Dal 10 maggio riaprirà al pubblico nella prestigiosa National Gallery di Londra con il nuovo progetto Locatelli’s, affiancato dal Bar Giorgio e da un club. «Abbiamo già 400 prenotazioni. Finalmente cucinerò senza dovermi occupare dei conti», confessa. «Non sono un bravo businessman. Anzi, sono terribile coi soldi».
Tra truffe, lutti familiari e riscatto personale
Il passato non è stato privo di ostacoli: «Mi hanno truffato quando ero allo Zafferano a Londra. Ho perso tutto. Ma il dolore più grande è stata la morte di mio fratello Roberto per un cancro. Mio padre Ferruccio non ha retto ed è mancato poco dopo. È lì che ho deciso di vivere diversamente».
Locatelli ripercorre anche la sua infanzia «scapestrata», il difficile rapporto con i genitori, il senso di inadeguatezza accanto al fratello «perfetto», e la voglia di emergere con la cucina. Una vocazione scoperta presto, tra scuola alberghiera e lavoro nel ristorante degli zii a Varese.
Il ritorno a Londra con una nuova filosofia
Dopo l’esperienza a Dubai, finita anche per divergenze culturali («un nostro dipendente finì in carcere per aver fumato una canna»), il cuore di Locatelli resta a Londra. E proprio nella capitale britannica, nell’ala Sainsbury della National Gallery — che sarà inaugurata il 6 maggio da Re Carlo III — lo chef porterà avanti la sua missione culinaria.
Re Carlo è un affezionato cliente: «Ogni Natale gli mando un tartufo. Una volta non mi ha ringraziato, e l’anno dopo me ne ha mandato uno trovato nella sua tenuta. Buonissimo!».
Politica, antifascismo e delusione per l’Italia
Locatelli non nasconde il suo pensiero politico: «Vengo da una famiglia antifascista. Mio zio Nino fu fucilato dai nazisti a 20 anni. Al Quirinale, durante la cena con Mattarella, ho fatto fatica a stringere la mano a certi ministri italiani. Mi ha infastidito».
Sulla premier Giorgia Meloni: «È stata eletta e ha consenso. Va accettata, come impone la democrazia». Più critico con il Regno Unito: «La Brexit ha creato solo problemi. Saremmo dovuti restare nell’Unione Europea».
Tra allergie, cucina etica e nuovi sogni
A commuoverlo è la figlia Margherita, affetta da oltre 600 allergie. «Ho creato una linea di cucina anallergica per lei. Pensavo di nutrirla, invece la stavo avvelenando. Ora porteremo quei piatti anche alla National Gallery». La figlia gli ha chiesto se gli piacerebbe diventare nonno. «Le ho detto di sì, ma mi chiedo che mondo stiamo lasciando ai nostri figli».
MasterChef, la Michelin e Arnold Schwarzenegger
Locatelli, giudice amatissimo di MasterChef Italia, è alla sua ottava stagione. «Continuo finché mi diverto. Antonino è esattamente come lo vedete. Bruno, invece, la mattina è intrattabile». Alla cerimonia della Guida Michelin non ci va da anni: «Ho avuto la stella per 23 anni, ma non cucinavo per quello. Cucinavo per il ristorante pieno».
Tra i ricordi più curiosi? «Servii ad Arnold Schwarzenegger due friselle con scamorza e pomodori. Le mangiò come un panino!».
Un futuro tra la Puglia e la libertà
Il sogno di Giorgio Locatelli? «Un viaggio di sei mesi con mia moglie Plaxy. E aprire un ristorante in Puglia, dove abbiamo casa. Ma per ora, c’è ancora Londra».

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