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Valeria Marini: con mamma non ci parliamo da settembre, ma spero in una riconciliazione

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Valeria Marini (Foto Imagoeconomica), voce squillante e carattere stellare, non nasconde la fatica emotiva di una distanza familiare che dura da mesi. Intervistata dal Corriere della Sera, l’attrice e showgirl racconta del gelo che persiste tra lei e sua madre Gianna Orrù, con cui non si sente da settembre.
«Domenica scorsa, a Domenica In, sono stata felice di vederla e di accertarmi che stava bene. Ma no, non mi ha ancora sbloccata sul cellulare», rivela con un misto di dolore e speranza.

Una ferita nata dalla truffa dei Bitcoin

Secondo Valeria, la frattura affonda le radici nella truffa dei Bitcoin che ha colpito la madre e di cui si attende la sentenza a novembre.
«Quell’esperienza ha intaccato la sua serenità giorno dopo giorno», spiega. Marini le è stata vicina, le ha trovato un avvocato di fiducia – la legale Laura Sgrò – e ha persino raccontato la vicenda in pubblico per alleggerire il senso di umiliazione. Ma tutto questo non è bastato.

L’ultima rottura: «Forse sono stata troppo dura»

Il momento della rottura definitiva, racconta Valeria, è arrivato quando ha cercato di cambiare tono con la madre:
«Le ho detto, forse troppo duramente, che anch’io ero stata truffata ma non avevo reagito litigando con tutti. Da lì, il silenzio».
Un silenzio che ha fatto male anche durante il Natale, sacro per la showgirl: «Quel giorno sono andata a casa sua. Mi ha aperto dopo un’ora e mi ha detto cose irripetibili. Ho capito che non era ancora il momento per ritrovarci».

Le parole che fanno male

Durante l’ospitata a Domenica In, Gianna Orrù ha espresso giudizi che hanno ferito Valeria, come il riferimento alla Sardegna o il rimpianto per aver lasciato la palestra per seguirla a Roma. «Preferisco non commentare quella parte», taglia corto Valeria, che però riconosce: «Capisco che il suo stato d’animo sia molto alterato».

Un legame ancora possibile

Nonostante tutto, Valeria Marini non chiude la porta.
«Non voglio pensare alle cose belle del passato, ma a quelle belle che potremo ancora fare insieme», dice, aprendo uno spiraglio a una futura riconciliazione. La speranza, in fondo, è tutta lì: che il tempo lenisca la rabbia, e che madre e figlia possano tornare a scegliersi.

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Pierfrancesco Favino: “L’amore può far male. Come padre ho imparato ad ascoltare”

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Pierfrancesco Favino (Le foto sono di Imagoeconomica) è il protagonista del film “Enzo”, che apre la Quinzaine di Cannes. Un ruolo intenso, quello di un padre borghese e progressista, in difficoltà davanti al figlio adolescente che sceglie una vita diversa: quella dell’apprendista muratore. In un’intervista al Corriere della Sera, l’attore riflette sulla paternità, sull’amore, sul suo passato e sul presente del cinema italiano.

“Non sempre l’amore genera il bene”

Favino interpreta il padre di Enzo, un ragazzo di 16 anni (interpretato da Eloy Pohu) che rinuncia alla scuola e al benessere familiare per seguire la vocazione manuale e concreta del lavoro di muratore. “L’amore non sempre genera il bene, si può anche amare male”, afferma l’attore. “È l’amore di un padre che cela il desiderio di controllare il figlio. A volte si diventa iperprotettivi, si alza la voce, succede anche a me con le mie figlie”.

“Fare il muratore può essere un talento”

Il film, diretto da Robin Campillo, tocca molte corde sociali: la tensione tra l’ambiente borghese e intellettuale e la libertà di scelta dei figli, la ribellione alle aspettative familiari, il conflitto tra teoria e pratica. “La concretezza del fare è interessante, oggi siamo pressati troppo presto a pensare al futuro”, osserva Favino.

Il film racconta anche una delicata infatuazione tra Enzo e un altro muratore, senza componenti sessuali. “Oggi c’è più libertà, anche nel vivere i sentimenti”, spiega Favino. “Io vengo da una generazione che ha vissuto tutto questo con paura, come un’onta”.

ANNA FERZETTI E PIERFRANCESCO FAVINO 

La paternità come sfida continua

Alla domanda su che padre si sente di essere, Favino risponde con sincerità:
Tutti pensiamo di essere qualcosa, ma poi i fatti parlano per noi. Ascoltare i propri figli è complicato”. Il ricordo del padre è ancora vivo: “Era orfano a 8 anni, cresciuto in seminario, ha costruito una corazza. Ma fu lui a spingermi, diventando un antagonista per accendere il mio motore. Un percorso simile a quello raccontato nel film”.

Il mestiere d’attore, un atto di ribellione

Favino racconta anche i suoi inizi difficili: cameriere, buttafuori, pony express. “Mi dicevano che non avevo la faccia da protagonista. Mi consideravano poco telegenico. Poi le cose sono cambiate, ma mi sento ancora un senza patria”. Il mestiere d’attore fu, allora come oggi, una forma di evasione, una ribellione.

Il cinema italiano e la politica: “Serve dialogo, non tifo calcistico”

Tra i firmatari della lettera al ministro Giuli in difesa del cinema italiano, Favino sottolinea:
Pupi Avati ha detto cose lucidissime. Non mi sembra un trotzkista. Il tax credit andava rivisto, ma servono ponti, non rese dei conti. Non si può dire ‘sei della Lazio e non ti parlo’. Sono pronto al dialogo, come lo eravamo anche con i governi precedenti”.

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Diego Abatantuono compie 70 anni: “Invecchiare fa schifo. Ma la mia famiglia è il mio miglior film”

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Martedì 20 maggio Diego Abatantuono (le foto sono di Imagoeconomica) spegnerà 70 candeline. Ma, come confessa nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera, non ama festeggiare i compleanni. Né gli entusiasma il tempo che passa. “Invecchiare fa un po’ schifo. È una malattia con cui si convive”. Eppure, tra sorrisi e riflessioni, ripercorre una carriera iconica e una vita personale complessa ma ricca di affetto.

“Settant’anni? Meglio non pensarci troppo”

Attore simbolo di più generazioni, da “terrunciello” milanese a protagonista di film d’autore, Abatantuono conserva il disincanto dei suoi personaggi più riusciti.
“Se prima ti sentivi invincibile, ora ti senti nelle mani del destino. È meno interessante”, dice con ironia. E anche l’idea di una festa non lo entusiasma: “Ti ritrovi a salutare 70 persone, e poi di nuovo quando se ne vanno. È un doppio tour de force”.

“La mia carriera? Un caso fortunato”

Abatantuono non ha mai sognato da bambino di fare l’attore. “È stata una sequela di casualità, scelte giuste nei momenti giusti”. Il successo esplose con il personaggio del “terrunciello”, nato al Giambellino e diventato popolarissimo, al punto da spingerlo nel cinema. Ma il successo arrivò in fretta, forse troppo:
“Feci 20 film in tre anni. Mal consigliato, bruciai il personaggio. E persi anche molti soldi”.

“Mi fregavano i soldi mentre giravo ‘Attila’”

In quegli anni, racconta, “firmavo assegni da 17 milioni nel camper. Pensavo di pagare le tasse, invece andavano altrove. Mi ritrovai con grossi debiti”. Poi però arrivò Pupi Avati e con lui la rinascita:
“Prima cercò Lino Banfi, che rifiutò. Poi chiamò me. Gli devo moltissimo”.

DIEGO ABATANTUONO

Salvatores, l’Oscar e Sean Connery

Il sodalizio con Gabriele Salvatores è stato fortunatissimo. “In Marrakech Express dovevo fare solo la guest star. Ma dissi: Ponchia lo faccio io. E ho anche il regista: Salvatores. Risposero: perché, è spagnolo?”.
Poi il trionfo con Mediterraneo: “Non ci credevamo. Eravamo nel deserto a girare Puerto Escondido, magri, abbronzati, bellissimi. Andai alla premiazione con uno smoking che avevano usato in 007: era quello di Sean Connery”.

“La mia famiglia è il film più riuscito”

Abatantuono ha avuto tre figli da due donne diverse. È separato, ma ha saputo costruire una grande famiglia allargata:
Se sbagli un agente, pazienza. Ma se sbagli una moglie, sei finito. Io non l’ho sbagliata. Rita Rabassini è una persona unica, e con Giulia Begnotti ho avuto altri due figli. Siamo tutti amici, sei nonni in tutto. A Lucca ci siamo trasferiti per far crescere i ragazzi insieme. Due donne intelligenti. Una bomba a orologeria disinnescata”.

“I premi? Sempre agli altri. E ci rido su”

Nonostante tanti ruoli memorabili, pochi riconoscimenti ufficiali. “Per Regalo di Natale dicevano che avrei vinto io. Poi premiarono Carlo Delle Piane. In Il toro ho fatto tutto il film, e la Coppa Volpi l’ha vinta Citran. In Per amore, solo per amore io parlo per tutto il film, Haber è muto… e il David l’ha vinto lui!”.
E scherza: “Ero sulla cresta dell’onda. Forse anch’io avrei premiato gli altri per aiutarli”.

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Stefania Corona lascia Alvaro Vitali dopo 27 anni: “Non eravamo più una coppia. Ora penso a me stessa”

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Dopo 27 anni insieme, tra palcoscenico e vita privata, Stefania Corona dice addio ad Alvaro Vitali. In un’intervista al settimanale Chi, la cantautrice ha raccontato con schiettezza i motivi della separazione dall’attore, noto al grande pubblico per il personaggio di Pierino. “Mi sono stancata di essere trasparente” – ha dichiarato – “Ora voglio rivalutare Stefania”.

Un amore nato in sala di registrazione

Era il 1997 quando i due si conobbero in una sala di registrazione: lei stava incidendo un brano, lui cercava una ragazza per uno spettacolo. Da quel giorno, non si sono più lasciati, fino al matrimonio celebrato nel 2006. Ma oggi, dopo quasi trent’anni di vita condivisa, Stefania ha deciso di voltare pagina.

“Non era più un marito, solo un collega”

Corona ripercorre gli anni trascorsi accanto all’attore con lucidità:
“Ho dedicato 27 anni della mia vita ad Alvaro, sbagliando per eccesso di zelo. Lui pensava solo a se stesso, come uomo e come personaggio. Mi sono sempre sentita dieci passi indietro, nell’ombra.”

Secondo la cantante, con il tempo il rapporto si è trasformato in un sodalizio professionale, ma non più in un legame affettivo autentico:
“Siamo stati grandi colleghi, ma non era un marito. Non riesce proprio a esserlo.”

“Si è montato la testa, ora fa il galletto”

Il distacco sarebbe diventato evidente negli ultimi anni, da quando Vitali ha ripreso a lavorare da solo, tra spot, TikTok e serate.
“Ora è sempre circondato da ragazze. La gente mi chiede perché non ci sono più. Lui si sente libero, fa il galletto, il farfallino. Credo che non vedesse l’ora anche lui di separarsi”.

Tra successi e malattie: “L’ho curato, ma mi ha logorata”

Corona ricorda anche le difficoltà legate alla salute dell’attore: un ictus, due infarti e infine la dialisi.
“L’ho sempre curato molto. Lui si è adagiato su questo mio lato infermieristico. Poi ha iniziato a diventare burbero e nervoso, e io ero bacchettata di continuo.”

Una vita matrimoniale complicata, che ha lasciato ferite anche nella carriera di Stefania, costretta a lavorare solo accanto al marito, rinunciando ad altre opportunità artistiche.
“Ora devo ricostruire tutto, anche dal punto di vista professionale.”

Il messaggio finale a Vitali: “Ti voglio bene, ma non poteva durare”

Il momento è delicato, confessa, ma il sentimento umano non è venuto meno:
“Caro Alvaro, ci sarò sempre se avrai bisogno. Ti voglio bene. Ma la nostra storia non poteva durare oltre, per tutte le problematiche che conosci.”

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