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Ultimo scontro sulla manovra, salta lo scudo penale per gli evasori

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Niente “scudo” penale agli evasori. Si consuma attorno all’idea di una moratoria dei reati fiscali, sostenuta da Forza Italia, l’ultimo scontro sulla manovra. Non solo con le opposizioni, pronti alle barricate, ma anche all’interno della stessa maggioranza. A chiudere la partita la premier Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti decisi a non far passare l’idea di un governo strizza l’occhio agli evasori totali. L’esame della legge di Bilancio va al rallentatore in commissione tanto che nell’ennesimo pomeriggio di melina alla Camera fa scattare l’altolà del Mef: il Parlamento voti, se vuole.

Ma se non vuole, il governo è pronto a mettere la fiducia sul testo uscito dal Consiglio dei ministri. Fatta salva la retromarcia, inevitabile dopo il confronto su Bruxelles, sull’altra norma che tanto ha sollevato polemiche, quella sulle sanzioni, cancellate nell’idea originale, per chi non accetta il Pos. Una sorta di “provocazione” quella arrivata dai piani alti del governo, per mandare a tutti il messaggio che se si vuole portare a casa qualche modifica, e qualche bandierina che ogni partito possa poi rivendicare con il suo elettorato, il tempo stringe. Anzi, di fatto è quasi finito. I ritardi dei lavori, che dopo una settimana circa non hanno portato a nessuna approvazione in commissione, avvicinano lo spettro dell’esercizio provvisorio che si cercherà di scongiurare intanto con una seduta notturna in Bilancio e poi con una corsa in Aula dove il voto sarà blindato con la fiducia e porterà con ogni probabilità al primo ok alla vigilia di Natale. Un rilievo, quello sui ritardi, tutto da attribuire alla maggioranza che “non si mette d’accordo su niente”, protestano le opposizioni, pronte anche alle “barricate”, come annunciava il Movimento 5 Stelle, per sventare il blitz sui reati fiscali.

“Salta il banco”, minacciava il Pd a metà giornata, dopo una nottata trascorsa in commissione con l’ennesimo nulla di fatto e riunioni bilaterali dei partiti col Mef per cercare una quadra anche sulla distribuzione del tesoretto, ridotto a circa 200 milioni dopo la valanga di modifiche depositate in commissione dallo stesso governo, cinque maxi-emendamenti con oltre un centinaio di proposte, che in parte si sovrapponevano a quelle dei partiti. Tanto che una parte, almeno una ventine di proposte, potrebbe essere espunta dal pacchetto del governo e tornare di matrice parlamentare. Ancora prima che scoppiasse il caso “condono”, a complicare i lavori c’era stata la defezione del Terzo Polo che ha abbandonato la commissione in protesta per il nulla di fatto nonostante diversi giorni trascorsi in commissione. “Inutile e imbarazzante”, secondo Carlo Calenda.

Ma il vero nodo che teneva in ostaggio la manovra, a detta di molti, era proprio quello del ‘lodo Sisto’. Un testo, a dire il vero, non era mai arrivato in commissione. Era “la proposta di un singolo, mai condivisa in maggioranza”, taglia corto in serata il capogruppo di Fdi alla Camera Tommaso Foti, per togliere alle opposizioni il vessillo della “vittoria” sbandierata dopo l’annuncio che l’emendamento effettivamente non ci sarà. Un modo di scaricare su Fi la responsabilità di una proposta su cui il viceministro alla Giustizia, osservano in casa degli azzurri, lavorava da giorni con il Mef e di cui tutti sapevano. E nessuno, fino a oggi, almeno nella maggioranza, aveva avuto niente da obiettare.

A fare saltare lo scudo, alla fine, sarebbe stata l’insistenza a fare rientrare non solo gli errori nelle dichiarazioni o i mancati pagamenti dopo avere presentato il 730 ma anche l’omessa dichiarazione. L’idea di aprire anche agli “evasori totali”, insomma, sarebbe stata respinta sia dal Mef sia da Palazzo Chigi, anche perché sarebbe stata operazione difficile da difendere, a maggior ragione davanti al muro delle opposizioni. La premier e il ministro dell’Economia, peraltro, avevano speso già parole chiare quando di scudo si parlava per le sole società sportive (anche quello poi saltato). Tutto rinviato, insomma. Anche se la questione si riproporrà a breve se davvero, nei primi mesi del nuovo anno, il governo metterà mano, come promesso, alla riforma complessiva del fisco. Reati compresi. Forse anche prima, visto che sempre Foti ha annunciato che la norma salva reati fiscale con tutta probabilità sarà comunque presentata attraverso un provvedimento ad hoc.

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Esteri

La Corte dell’Aia chiede arresto Netanyahu e Sinwar: hanno commessi crimini di guerra

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È arrivata dalla Corte penale internazionale (Cpi) con sede all’Aia la richiesta che venga emesso un mandato di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il suo ministro della Difesa Yoav Gallant e 3 leader di Hamas: Yahya Sinwar, Mohammad Deif e Ismail Haniyeh. I cinque sono accusati di crimini di guerra. Il procuratore Karim Khan ha specificato che i due ministri israeliani sono sospettati di “aver causato lo sterminio, usato la fame come metodo di guerra, compresa la negazione di forniture di aiuti umanitari, e di aver deliberatamente preso di mira i civili durante il conflitto”, mentre i vertici del gruppo palestinese sono accusati di sterminio, omicidio, presa di ostaggi, stupro e violenza sessuale durante la detenzione.Immediata la reazione delle due parti che hanno respinto con forza la richiesta del procuratore Khan, definita “uno scandalo” da Netanyahu che, ha precisato, “non fermerà né me, né noi”.

Compatta la leadership di Tel Aviv nel condannare la posizione del pubblico ministero, considerata “un crimine storico” dal ministro Benny Gantz. Il ministro degli Esteri, Israel Katz, ha visto nella decisione “un attacco frontale contro le vittime del 7 ottobre e contro i nostri ostaggi ancora a Gaza”. Israele non riconosce la giurisdizione della Cpi, così come non ne sono membri Stati Uniti, Cina e Russia.Proteste si sono levate anche tra le fila di Hamas che ha fatto domanda per l’annullamento della richiesta dei mandati di arresto, accusando la Corte dell’Aia di “equiparare la vittima al carnefice” e “di incoraggiare la continuazione della guerra di sterminio”. Secondo il gruppo palestinese, anche le misure contro Netanyahu e Gallant sono arrivate “sette mesi troppo tardi” e sono poco significative, visto che non includono “tutti i funzionari israeliani che hanno dato ordini e i soldati che hanno commesso crimini”.

“Scandalosa” è stato l’aggettivo utilizzato anche dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che ha sottolineato: “Non esiste alcuna equivalenza – nessuna – tra Israele e Hamas”. Visione condivisa anche dal Regno Unito che, attraverso una nota del ministero degli Esteri, ha affermato: “Non crediamo che la richiesta di mandati aiuterà a liberare gli ostaggi, a ottenere aiuti o a garantire un cessate il fuoco sostenibile. Come abbiamo detto fin dall’inizio, non riteniamo che la Cpi abbia giurisdizione in questo caso”. Favorevole, invece, la vicepresidente spagnola, Yolanda Diaz: “Buone notizie. Il diritto internazionale deve valere per tutti”. Intanto a Gerusalemme sono scoppiate nuove proteste davanti alla Knesset, il parlamento israeliano, per chiedere le dimissioni di Netanyahu, mentre Gallant, incontrando il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan, ha assicurato che l’operazione a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, si espanderà. L’esercito israeliano ha stimato che 950mila palestinesi hanno già evacuato la città, mentre tra i 300.000 e i 400.000 civili restano ancora nella zona costiera e in alcune parti del centro cittadino.

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Economia

Il ceto medio teme il futuro, scala sociale bloccata

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La classe media italiana è sempre più povera, impaurita e pessimista. È la sintesi del nuovo rapporto Cida-Censis, la fotografia di una società profondamente cambiata rispetto a quando, tra dopoguerra e boom economico, era in rapida ascesa. Oggi, invece, il 48,4% del ceto medio sente di stare andando indietro nella scala sociale. Anche se che 6 italiani su 10 (il 60,5%) ritengono di appartenere alla classe di mezzo. Di questi, la maggior parte ha un reddito tra 15 e 34 mila euro (46,4%), il 26,7% tra 35 e 50mila, il 15,6% oltre i 50mila e il restante 11,3% delle persone meno di 15mila. Sono più gli anziani (65,4%) rispetto a giovani (57,7%) e adulti (58,9%).

“Preoccupa l’assenza di speranza nel futuro degli italiani. Se le aspettative calano, se non si crede più di poter migliorare la propria condizione, sarà l’intero Paese a pagarne un prezzo altissimo. Dobbiamo investire su più alto benessere economico, più alti consumi, aspettative crescenti”, sottolinea il presidente di Cida, Stefano Cuzzilla. La sensazione di pessimismo per il futuro è condivisa anche dai ceti popolari (che sono il 33,8% e sentono di indietreggiare ulteriormente nel 66,7% delle evenienze) e persino dagli abbienti (in 4 casi su 10).

Il tenore di vita sta calando per il 60% degli italiani, di cui la metà del ceto medio. E non a torto: dal 2001 al 2021 il reddito pro-capite delle famiglie è sceso del 7,7%, mentre la media europea saliva di quasi 10 punti percentuali. E sono più di di due terzi gli italiani che pensano che il cosiddetto soffitto di cristallo impedisca di migliorare la propria classe sociale. A condire il tutto c’è l’assenza di meritocrazia. Per l’81% degli italiani è giusto che chi lavora di più guadagni di più ma per il 57,9% impegno e talento non sono premiati come dovrebbero. Il 78,6% del totale (e l’80% del ceto medio), inoltre, ritiene di essere danneggiato dall’evasione fiscale.

Tra le righe del rapporto si legge però anche un po’ di speranza. L’87,1% degli italiani è convinto che un innesto massiccio di culture e pratiche manageriali farà fare il salto di qualità al sistema Paese. Le competenze organizzative sono viste positivamente anche per i dirigenti scolastici, la cui abilità per l’85,8% delle famiglie porta a buone performance didattiche, e per quelli medici, che secondo il 62,2% dei rispondenti dovrebbero essere manager. Per 8 italiani su 10 la chiave per essere un buon capo è il saper trascinare e motivare gli altri. “È nostra responsabilità, come manager e come società civile, rispondere a questo cambiamento e intercettarne i bisogni prima che sia troppo tardi”, sottolinea ancora Cuzzilla. “Significa investire per avere un sistema costruito sulla triade più alto benessere economico – più alti consumi – aspettative crescenti”.

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Muovono braccia e mani 43 paralizzati con dispositivo

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Un dispositivo non invasivo in grado di stimolare il midollo spinale dall’esterno del corpo ha permesso a 43 pazienti tetraplegici, affetti da paralisi parziale o totale che coinvolge tutti e quattro gli arti e il torso, di recuperare il movimento di braccia e mani in misura maggiore rispetto alla sola terapia di riabilitazione. Lo strumento è stato messo a punto da un gruppo di ricerca guidato dal Politecnico di Losanna, e i risultati del trial clinico sono pubblicati sulla rivista Nature Medicine. Lo studio, che ha coinvolto 60 partecipanti, suggerisce che la terapia è sicura ed efficace e potrebbe quindi costituire un passo avanti per aiutare le persone a recuperare almeno in parte le loro capacità motorie e la loro indipendenza.

Alla base della tetraplegia c’è un danno al midollo spinale localizzato nella parte cervicale, la più alta, della colonna vertebrale. La conseguenza è una perdita totale o parziale della funzione delle braccia e delle gambe e la paralisi non riguarda soltanto il movimento, ma anche la sensibilità. È dimostrato che la stimolazione elettrica del midollo spinale può ripristinare le funzioni compromesse quando viene effettuata su quelle zone che contengono i neuroni coinvolti nel controllo di queste funzioni, ma spesso questi approcci si basano su procedure chirurgiche invasive per l’impianto degli elettrodi nel midollo spinale. Ne è un esempio l’importante risultato pubblicato su Nature Medicine nel 2018, ottenuto su un uomo paralizzato dal 2013 in seguito a un incidente sulle piste da sci che è riuscito a rimettersi in piedi e a camminare grazie ad uno stimolatore elettrico impiantato al di sotto del danno vertebrale.

Per cercare un’alternativa meno invasiva per i pazienti, i ricercatori coordinati da Gregoire Courtine hanno realizzato un dispositivo che invia corrente elettrica al midollo spinale attraverso elettrodi semplicemente posizionati sulla pelle. A testare per la prima volta gli effetti di questo macchinario, chiamato Arcex, sono state 65 persone tetraplegiche reclutate in diversi centri di varie parti del mondo: per tutte era passato almeno un anno dalla lesione responsabile della paralisi. I partecipanti sono stati inizialmente sottoposti per due mesi ad un programma di riabilitazione standard, seguito da altri due mesi di terapia svolta però con l’ausilio del dispositivo.

Non sono stati riscontrati problemi relativi alla sicurezza e, delle 60 persone che hanno portato a termine l’esperimento e, di queste, 43 (il 72%) hanno dimostrato miglioramenti nella forza e nella funzionalità dei movimenti di braccia e mani. Non solo: i risultati indicano anche progressi nella precisione dei movimenti che coinvolgono la punta delle dita, un parziale recupero delle sensazioni associate al tatto e miglioramenti riferiti dai pazienti per quanto riguarda la loro qualità della vita. Gli autori dello studio sottolineano, quindi, l’efficacia della terapia e suggeriscono che potrebbe essere utilizzata insieme a quelle attuali per migliorare il recupero della funzione della mano e del braccio in pazienti tetraplegici.

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