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Esteri

Zelensky chiede più armi a Trump e Macron: “La Russia sfrutta il caos in Medio Oriente per colpire”

Zelensky sollecita Trump e Macron a inviare nuovi sistemi di difesa e missili a lungo raggio. Washington valuta l’invio dei Tomahawk, mentre Mosca avverte: “Non cambieranno la guerra”.

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Con gli occhi del mondo puntati sul Medio Oriente, Volodymyr Zelensky tenta di riportare al centro dell’attenzione internazionale la guerra in Ucraina.
Il presidente ucraino ha parlato due volte in due giorni con Donald Trump e ha avuto un colloquio con Emmanuel Macron, chiedendo un sostegno immediato in armi e sistemi di difesa.

«Ho appena parlato con il presidente degli Stati Uniti — ha scritto Zelensky sui social — anche questa conversazione è stata molto produttiva».
Tra i temi affrontati: il rafforzamento delle capacità antimissilistiche, la resilienza interna e la possibilità di ricevere armi a lungo raggio.

L’ipotesi dei missili Tomahawk

Secondo fonti diplomatiche, Washington starebbe valutando la fornitura all’Ucraina dei missili Tomahawk, con una gittata di circa 2.500 chilometri, in grado di ampliare notevolmente la capacità offensiva di Kiev.
Una prospettiva che il Cremlino osserva con preoccupazione.

«È un’arma importante, anche in configurazione nucleare, ma non cambierà la situazione sul terreno», ha commentato Dmitry Peskov, portavoce di Vladimir Putin, che ha ribadito la “disponibilità russa a una soluzione pacifica” e accusato Kiev e l’Europa di “riluttanza al dialogo”.

Macron: “La Russia approfitta della distrazione del mondo”

Anche il colloquio tra Zelensky e Macron ha avuto come fulcro la richiesta di nuovi sistemi di difesa aerea.
«La Russia sfrutta il momento, dal Medio Oriente alle crisi interne dei Paesi europei, per intensificare i suoi attacchi contro l’Ucraina», ha dichiarato Zelensky, riferendosi anche alla crisi politica che scuote l’Eliseo.

Con Parigi, Kiev lavora per espandere l’iniziativa Purl, un programma che consente ai Paesi della Nato di acquistare armi americane da destinare direttamente all’Ucraina.

Il cambio di linea di Trump

Negli ultimi giorni Trump sembra aver preso le distanze da Putin, mostrando maggiore fermezza nei confronti di Mosca.
Secondo il Financial Times, il sostegno di intelligence statunitense alle operazioni ucraine si è intensificato dalla scorsa estate, con l’obiettivo di colpire raffinerie e risorse energetiche russe.

Gli attacchi hanno fatto aumentare i prezzi dell’energia in Russia e costretto il Cremlino a tagliare le esportazioni di gasolio, mentre Mosca è stata costretta a importare carburante da altri Paesi.

La controffensiva russa nel Donbass

In risposta, l’esercito russo ha intensificato le operazioni di terra nel Donbass, avanzando verso Kramatorsk, città simbolo della resistenza ucraina.
Le autorità locali hanno ordinato l’evacuazione dei civili in alcune aree, mentre le truppe d’invasione si trovano a meno di 20 chilometri dal centro abitato.

Kramatorsk, con i suoi 150.000 abitanti prima della guerra, resta uno dei baluardi strategici dell’est ucraino, e la sua caduta rappresenterebbe un duro colpo per Kiev.

Una guerra che non può essere dimenticata

Mentre il mondo guarda a Gaza, Zelensky tenta di evitare che l’Ucraina scivoli nell’ombra geopolitica.
La sua strategia è chiara: sfruttare la nuova determinazione di Trump, la sensibilità europea e il sostegno militare occidentale per impedire che Mosca approfitti della distrazione internazionale e riconquisti terreno in un conflitto che, dopo quasi tre anni, resta ancora lontano da una soluzione.

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Esteri

Afghanistan e Pakistan sull’orlo della guerra: 67 morti in una notte di combattimenti lungo il confine

Violenti scontri tra Afghanistan e Pakistan lungo il confine Durand: 67 morti in una notte. Islamabad promette una risposta “forte ed efficace”, Kabul parla di “rappresaglia”. Tensione altissima tra i due Paesi.

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Il fragile equilibrio tra Afghanistan e Pakistan è precipitato in una notte di sangue.
Secondo le autorità afghane, un blitz multiplo dei talebani ha colpito diverse postazioni militari pachistane lungo il confine Durand, provocando la morte di 58 soldati di Islamabad e di nove miliziani di Kabul.
Un’escalation che riporta la regione sull’orlo di una nuova guerra.

Il primo ministro pachistano Shehbaz Sharif ha reagito con toni durissimi, promettendo una risposta “forte ed efficace” e accusando Kabul di aver usato “elementi terroristici” per compiere un attacco “non provocato”.
Al contrario, il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid ha definito l’azione “una rappresaglia” per un presunto raid aereo pachistano su Kabul, negato da Islamabad.

Le accuse reciproche e la diplomazia in bilico

Il governo afghano sostiene che le ostilità si siano fermate “a mezzanotte”, grazie alla mediazione di Arabia Saudita e Qatar, ma denuncia nuovi attacchi pachistani all’alba di domenica.
Nel frattempo, Al Jazeera riporta che Kabul starebbe schierando carri armati e armi pesanti nella provincia di Kunar, al confine orientale.

A Islamabad si sospetta che l’attacco afghano non sia casuale: sarebbe avvenuto, sottolineano fonti governative, proprio mentre il ministro degli Esteri afghano era in visita in India, da dove sono arrivate dichiarazioni “anti-pachistane congiunte”.

Un conflitto che cova da anni

Le relazioni tra i due Paesi non sono mai state stabili.
Da quando i talebani hanno ripreso il potere a Kabul nel 2021, le tensioni si sono moltiplicate, con scontri periodicilungo il confine e reciproche accuse di sostenere milizie ostili.

Islamabad accusa il governo talebano di dare rifugio ai Tehrik-e-Taliban Pakistan (Ttp), la fazione talebana pachistana responsabile di numerosi attentati.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, il Ttp “riceve un sostanziale supporto logistico e operativo dalle autorità de facto di Kabul”.

Nei primi nove mesi del 2025, in Pakistan sono già morte oltre 500 persone, tra cui 311 soldati e 73 poliziotti, in attacchi attribuiti ai Ttp.

La scintilla: gli attacchi nel Khyber Pakhtunkhwa

L’ultimo picco di tensione è scoppiato all’inizio della settimana, con una serie di assalti del Ttp nella provincia pachistana di Khyber Pakhtunkhwa, che hanno ucciso circa 30 militari e agenti.
Per Islamabad, la reazione afghana è stata una risposta militare coordinata a questi eventi.
Kabul, invece, accusa il Pakistan di aver “alzato il tiro” con raid aerei su Kabul e su un mercato nella provincia di Paktika, che avrebbero causato diverse vittime civili.

Una crisi che rischia di incendiare l’Asia centrale

L’Afghanistan dei talebani e il Pakistan si trovano così sull’orlo di un conflitto aperto, con due eserciti pronti a muoveree un fragile equilibrio regionale messo in crisi.
La comunità internazionale guarda con preoccupazione agli sviluppi lungo il confine Durand: una linea tracciata oltre un secolo fa, ma che oggi, come allora, continua a dividere popoli, interessi e potenze.

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Esteri

Trump sigla la pace a Gaza: a Sharm el-Sheikh il vertice per una nuova era in Medio Oriente

Donald Trump presiede il vertice di Sharm el-Sheikh insieme al presidente egiziano al-Sisi per siglare la pace a Gaza. Meloni e oltre venti leader mondiali presenti. Al centro del piano, ricostruzione, stabilità e nuovi accordi regionali.

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Donald Trump mette il suo marchio sulla pace in Medio Oriente. Dopo settimane di negoziati, il presidente americano ha annunciato l’intesa per il cessate il fuoco a Gaza, presentandola come una “storica occasione per costruire una pace duratura”.
Mentre la fase uno dell’accordo è in piena attuazione, la diplomazia internazionale lavora già ai passaggi successivi: la ricostruzione della Striscia, la nascita di una nuova governance palestinese e l’avvio di forze di stabilizzazione internazionali.

Il vertice di Sharm el-Sheikh

La prossima tappa sarà il vertice di Sharm el-Sheikh, co-presieduto da Trump e dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, che riunirà oltre 20 capi di Stato e di governo.
Tra i presenti ci saranno la premier italiana Giorgia Meloni, il presidente francese Emmanuel Macron, il britannico Keir Starmer, il turco Recep Tayyip Erdogan, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres e il rappresentante dell’Ue Antonio Costa.

Assenti i protagonisti diretti del conflitto: né il premier israeliano Benjamin Netanyahu, né esponenti di Hamas o dell’Autorità nazionale palestinese parteciperanno alla cerimonia.

Blair vicecapo del Consiglio di pace per Gaza

Nelle ultime ore l’Autorità nazionale palestinese ha incontrato Tony Blair, designato come vicecapo del Consiglio di pace per Gaza previsto dal piano americano in 20 punti. L’intesa include un’amministrazione temporanea della Striscia da parte di un comitato tecnico palestinese supervisionato da un organismo internazionale guidato da Trump e Blair.

«Siamo pronti a collaborare per il futuro della Striscia», ha dichiarato su X Hussein al-Sheikh, vicepresidente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, dopo l’incontro con l’ex premier britannico in Giordania.

Trump vola in Medio Oriente: il trionfo diplomatico

Il presidente americano volerà in Medio Oriente per meno di dodici ore: prima tappa Israele, dove incontrerà gli ostaggi liberati e parlerà alla Knesset — evento che non accadeva dal 2008, ai tempi di George W. Bush — poi Sharm el-Sheikh per la firma dell’accordo di pace.

Per Trump, è un successo personale e politico che nessuno dei suoi predecessori era riuscito a ottenere. Una vittoria che conferma la sua linea diplomatica basata sulla “The Art of the Deal”, ma che segna anche un passaggio cruciale nella sua politica America First.

Ricostruzione e fondi arabi

Trump chiarirà che gli Stati Uniti non invieranno truppe né a Gaza né in Israele, e che la maggior parte dei fondi per la ricostruzione sarà garantita dai Paesi arabi.
In cambio, il presidente intende rilanciare gli Accordi di Abramo, puntando a un dialogo tra Israele, Indonesia e Arabia Saudita.

Una normalizzazione con Riad, in particolare, sarebbe un passo decisivo per ridisegnare gli equilibri del Medio Oriente e garantire quella stabilità inseguita per decenni.

La “fase due” della pace

Il vicepresidente americano J.D. Vance ha definito questa fase «la più delicata e decisiva», spiegando che servirà una «pressione costante» degli Stati Uniti per mantenere la stabilità.
A seguire da vicino i progressi sul campo ci sono gli inviati Steve Witkoff e Jared Kushner, incaricati di monitorare ogni sviluppo e prevenire nuovi focolai di tensione.

Un nuovo equilibrio per il Medio Oriente

La pace firmata a Sharm el-Sheikh rappresenta per Trump l’apice della sua strategia estera e per il mondo una speranza concreta.
Come ha dichiarato la presidenza egiziana, l’obiettivo del vertice è «porre fine alla guerra, intensificare gli sforzi per la stabilità e inaugurare una nuova era di sicurezza in Medio Oriente».

Se la “fase due” della ricostruzione avrà successo, Gaza potrebbe diventare il simbolo di un nuovo equilibrio geopolitico, con gli Stati Uniti tornati al centro della diplomazia mondiale e il Medio Oriente avviato, forse, verso una fragile ma possibile pace.

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Israele, la lunga notte della libertà: tornano a casa i 20 ostaggi ancora in vita

È iniziato il ritorno a casa dei 20 ostaggi israeliani ancora in vita. Hamas ha dato il via allo scambio con i detenuti palestinesi. Netanyahu parla di “percorso di guarigione”, Trump atteso in Israele per incontrare i sopravvissuti e firmare l’accordo di pace in Egitto.

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Dopo oltre due anni di angoscia, l’attesa delle famiglie israeliane si è conclusa. Dalla mezzanotte, Piazza degli Ostaggi a Tel Aviv si prepara a vivere ore storiche con la diretta del ritorno a casa dei 20 rapiti ancora in vita, come promesso da Hamas. A seguire, secondo gli accordi raggiunti, verranno liberati i detenuti palestinesi previsti nello scambio.

«Inizia il percorso di guarigione», ha dichiarato il primo ministro Benyamin Netanyahu, mentre cresce l’attesa per la visita in Israele del presidente americano Donald Trump, pronto a incontrare i sopravvissuti del massacro del 7 ottobre prima di volare in Egitto per la firma dell’accordo sul cessate il fuoco.

L’operazione di rilascio

La portavoce del governo israeliano, Shosh Bedrosian, ha annunciato che il rilascio degli ostaggi avverrà nelle prime ore di lunedì: «Tutti i venti ostaggi in vita verranno consegnati insieme alla Croce Rossa su sei-otto veicoli». I rapiti saranno poi condotti nelle zone di Gaza controllate da Israele e infine trasferiti alla base di Re’im, nel sud del Paese, dove si riuniranno alle loro famiglie.

La Croce Rossa interverrà in tre punti di contatto nella Striscia, mentre per i corpi dei 28 ostaggi deceduti Hamas consegnerà solo quelli già rintracciati, probabilmente entro la serata di lunedì. Per i restanti, la ricerca sarà condotta da forze internazionali nei tunnel e tra le macerie.

Lo scambio con i detenuti palestinesi

Lo Stato ebraico ha previsto la liberazione di 250 ergastolani condannati per attentati e omicidi e di 1.700 detenutiarrestati dopo il 7 ottobre 2023 ma non coinvolti direttamente nell’attacco di Hamas, tra cui 22 minorenni. Hamas chiede inoltre il rilascio di sette prigionieri di alto profilo, tra cui Marwan Barghouti, figura simbolica del movimento palestinese.

Le parole di Netanyahu e la presenza di Trump

Il premier israeliano ha parlato di «un nuovo cammino, un percorso di ricostruzione e di unione dei cuori». A Tel Aviv, il Forum delle famiglie ha invitato la popolazione a radunarsi per seguire le proiezioni in diretta del ritorno dei propri cari.

Dagli Stati Uniti, il vicepresidente J.D. Vance ha definito la giornata «un grande giorno per il mondo intero». Trump, che interverrà alla Knesset nelle prossime ore, sarà accolto come l’uomo della pace, dopo aver convinto diversi Paesi arabi a convergere sulla sua linea negoziale.

Aiuti e speranza a Gaza

Parallelamente alla liberazione, si registra un massiccio afflusso di aiuti umanitari a Gaza. Dall’Egitto sono partiti 400 convogli, di cui 90 già in viaggio verso i valichi di Karm Abu Salem e Al-Ouja, con 9.000 tonnellate di cibo, medicinali, carburante e beni di prima necessità.

L’ONU parla di «progressi reali», mentre le immagini dei camion in fila al confine testimoniano un momento di speranza per la popolazione civile, dopo mesi di guerra e devastazione.

Per Israele, invece, è la notte della libertà e della rinascita: una notte che potrebbe segnare l’inizio di un nuovo capitolo nella tormentata storia del Medio Oriente.

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