Poche verità e tanti misteri sui mafiosi al 41 bis e i criminali scarcerati ai tempi del Dap di Basentini e Romano, il lavoro difficile del presidente dell’Antimafia Morra
L’ufficio Alta Sicurezza, quello che si occupa dei detenuti più pericolosi era all’oscuro della circolare del 21 marzo scorso, quella che aprì le carceri a criminali e a detenuti al 41 bis. La circolare fu firmata di sabato, la sera tardi, dalla funzionaria di turno, Assunta Borzacchiello. Michele Maria Giarrusso, senatore, componente dell’Antimafia, di lei dice che “è una figura di quart’ordine che ha fatto una carriera fulminea improvvisa”. In ogni caso la signora firmò la circolare svuotacarceri al posto del Direttore Trattamento, Giulio Romano, che usufruiva dello smartworking. Romano lavorava da casa. Quando la “capa” dell’ufficio Alta sicurezza, dunque il dirigente già alto in grado che ha la responsabilità dei detenuti più pericolosi, ha saputo della circolare firmata dalla funzionaria Borzacchiello? “Dopo che era stata emanata. E anche in modo casuale, nel senso che non mi è stata notificata”, ha raccontato la dottoressa Caterina Malagoli, magistrato a Palermo e dal 2018 al Dap, durante la sua audizione davanti alla commissione Antimafia. L’organo guidato da Nicola Morra sta continuando la sua indagine sulle 376 scarcerazioni (quella che leggete è la lista con tutti i nomi) concesse a detenuti appartenenti a organizzazioni criminali come Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra, durante l’emergenza coronavirus. È questo, infatti, il numero esatto dei carcerati in regime di Alta sicurezza e 41bis che hanno ottenuto i domiciliari o il differimento della pena, come hanno detto alla Commissione prima il ministro Bonafede e poi la stessa Malagoli.
L’ex capo del Dap dimissionario. Francesco Basentini
Il presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra, vuole capire come è nata la nota del Dap. Non solo. Morra vuole capire anche se la finalità intrinseca era quella della concessione dei domiciliari ai detenuti.
“Giulio Romano – ha raccontato la dottoressa Malagoli a Palazzo San Macuto nel corso di una audizione – mi disse che quella nota era stata redatta proprio per il problema del contagio del Covid e per sfollare gli istituti penitenziari. Che era un’esigenza anche del Comitato della salute penitenziaria che consigliava di promuovere e favorire in tempi brevi delle linee guida per sfollare le carceri”. Malagoli in sostanza conferma quanto aveva già fatto intendere il dottor Giulio Starnini, il dirigente dell’Unità Medicina Protetta dell’ospedale Belcolle (Viterbo) sentito mercoledì scorso. La nota del sabato 21 marzo non era stata pensata per effettuare un mero monitoraggio dei detenuti a rischio Covid-19 ma per propiziare quell’effetto ‘sfollacarceri‘ che avrebbe coinvolto anche carcerati più pericolosi. Cosa che poi è accaduta perchè la circolare agevolava e semplificava in maniera perfetta la richiesta di adozione di provvedimenti autonomi dei magistrati al fine di scarcerare detenuti a rischio contagio.
Detenuti sui tetti. Nel mese di marzo ci sono state decine di rivolte nelle carceri d’Italia
Chi è Giulio Romano? È stato componente del Csm tra il 2006-2010. È l’estensore della sentenza di condanna disciplinare contro l’allora pm Luigi De Magistris. Romano godeva della fiducia di Alfonso Bonafede ministro della Giustizia e Francesco Basentini, capo del Dap. Infatti è divenuto il direttore generale dell’ufficio Detenuti nell’era del Governo Pd-M5s. Il suo sponsor era Basentini. Entrambi sono “scappati” dai loro incarichi. Il Decreto Cura Italia escludeva tassativamente i mafiosi da ipotesi di scarcerazione per rischio contagio. Giulio Romano, per quel che si è ricostruito, edita materialmente la circolare sul suo computer e la invia poi per la firma materiale ad Assunta Borzacchiello, responsabile del Cerimoniale. Perché lei? Perché è la funzionaria in turno in ufficio il 21 marzo di sabato sera. Perchè tutta questa fretta? Perchè una circolare così importante e impattante sulla popolazione dei detenuti non reca la firma del capo del Dap o, al suo posto, del direttore delle carceri? Il presidente della Commissione Antimafia vuole chiarezza. E sta svolgendo con certosina cura ogni audizione per far capire meglio a tutti, non solo alla Commissione che presiede, come sono andate davvero le cose. Perchè una cosa appare certa.
Il governo (e dunque dobbiamo credere il ministro della Giustizia) avevano varato norme per alleggerire sì la pressione nelle carceri ma quel che si incentivava era la concessione dei domiciliari ai detenuti per reati minori, a quelli con meno di 18 mesi ancora da scontare. Non ai detenuti del circuito di Alta Sicurezza e a quelli addirittura al 41 bis. Le norme del Cura Italia – secondo i dati ricordati dal ministro della Giustizia in Parlamento prima del voto sulla mozione di sfiducia bocciata – avrebbero consentito uno sfollamento di circa 6mila detenuti. Ma solo quelli per reati comuni. Tutti gl altri dovevano essere esclusi. Volutamente e scientemente esclusi da quei benefici. Così aveva voluto il guardasigilli Alfonso Bonafede, così voleva il governo. Per motivi che saranno chiariti 376 detenuti in carcere per reati della categoria più grave, però, riusciranno comunque a tornare a casa, anche se per molti di loro si tratta di differimento della pena spesso fino a settembre. Poi dovrebbero rientrare in cella, se le condizioni epidemiologiche lo consentiranno. Resta un inquietante interrogativo su questa vicenda che non fa dormire la notte il presidente dell’Antimafia Morra. Perchè Romano e Basentini pur sapendo che il capo dell’Ufficio Alta Sicurezza del Dap era contrarissima a quella circolare non hanno impedito che dispiegasse poi i suoi effetti nefasti? Che circolare era pericolosa, Caterina Malagoli, magistrato antimafia prima a Palermo e poi in Dna e dal 2018 al ministero, l’aveva detto a chiare lettere ai suoi superiori. Basentini e Giuliano sapevano del rischio rappresentato da quella circolare. I superiori della Malagoli non erano due uscieri di un penitenziario bensì il direttore generale Romano e il capo del Dap, Francesco Basentini.
L’avviso. Il Pm Maresca fu il primo a denunciare con forza i nefasti effetti che avrebbe spiegato quella nota firmata dal Dap
La direttrice dell’ufficio Alta sicurezza, la donna che ha competenza su 10mila detenuti per reati gravi, in testa gli ex detenuti all’isolamento del 41 bis e poi la criminalità organizzata e i terroristi nonché i collaboratori di giustizia, ha raccontato all’antimafia di aver avvertito per tempo i suoi superiori, prima che venisse concesso di lasciare il carcere a boss del livello di Francesco Bonura, Vincenzo Iannazzo e Pasquale Zagaria. Non solo. Se è vero come è vero che la Malagoli aveva informato Basentini e Romano, fuori dal carcere quella nota firmata dalla signora Borzacchiello è stata oggetto di una campagna di informazione martellante sui media di uno dei più importanti magistrati antimafia d’Italia, Catello Maresca. In svariate occasioni, da giurista prim’ancora che da magistrati antimafia e antiterrorismo, Maresca aveva fatto notare a Basentini, con educazione ma con nettezza, che quella nota-circolare, avrebbe avuto effetti devastanti, avrebbe fatto uscire dal carcere anche detenuti al 41 bis. Davanti a queste contestazioni in punta di diritto, Basentini mai ha prestato attenzione. Eppure Maresca di queste cose ne aveva parlato in tutte le salse, su ogni media, cominciando proprio da Juorno.it. Analoghe considerazioni furono volte, con la stessa forza, anche dal procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri. L’unico che fu degnato di una risposta da Basentini fu Maresca, quando però quasi 400 criminali era già usciti dal carcere e tra questi boss mafiosi al 41 bis. Ebbene Basentini a Maresca, in una trasmissione televisive, consigliò di studiare. Qualche giorno dopo Basentini fu costretto alle dimissioni. Ma ancora deve spiegare al ministro guardasigilli che lo scelse e oggi alla Commissione Antimafia i mille perché di quella nota fatta firmare da una funzionaria del cerimoniale.
Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.
Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.
E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.
Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.
Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.
Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.
Revocata la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, conferita invece a Giacomo Matteotti, il politico socialista ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924. Alla vigilia del 25 aprile, il Comune di San Clemente, in provincia di Rimini, ha preso queste due decisioni simboliche, approvate all’unanimità dal consiglio comunale nel tardo pomeriggio. Anche Ozzano dell’Emilia, in provincia di Bologna, proprio ieri ha revocato la cittadinanza al duce. E così hanno chiesto di fare i gruppi consiliari di centrosinistra ad Isernia, dove era stata concessa a Mussolini il 20 maggio 1924. “Revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini significa prendersi la responsabilità di giudicare con determinazione e piena maturità un passato costellato da atrocità, economia inesistente, azzeramento, in modo scientifico, quasi chirurgico, del pensiero critico”, ha detto la sindaca di San Clemente, Mirna Cecchini, nel suo discorso.
“In un’epoca in cui il coraggio delle proprie azioni e l’intransigenza verso le bestialità sembrano venir meno, l’esempio di Matteotti è pronto a ricordarci che la democrazia e la libertà non sono beni scontati e facilmente ottenibili. Bensì l’epilogo di faticose conquiste personali e collettive, la spina dorsale dei popoli capaci di rialzare la testa; traguardi che richiedono responsabilità, vigilanza continua e partecipazione convinta”, ha aggiunto, motivando il conferimento della cittadinanza post mortem. A Ozzano la cittadinanza a Mussolini fu concessa il 18 maggio 1924, “in un periodo e contesto storico totalmente diverso da quello attuale, quando tantissimi Comuni furono in un certo senso sollecitati a rendergli omaggio attraverso un atto simbolico e politico – ha spiegato il sindaco, Luca Lelli – A chiederne la revoca è stata l’Anpi locale e come Amministrazione non abbiamo esitato a rispondere all’appello, e a procedere con il ritiro attraverso un atto del Consiglio comunale. La revoca è avvenuta a ridosso del 25 aprile perché abbiamo voluto dare anche un segnale forte, puntando l’attenzione sull’impegno che da sempre abbiamo nel promuovere una società basata sui valori di democrazia e libertà”.
A Isernia il capogruppo del Pd, Stefano Di Lollo, ha spiegato che “la cittadinanza onoraria, attribuita all’epoca come atto di adesione ideologica al regime fascista nascente, è oggi ritenuta incompatibile con i valori della Costituzione repubblicana e con il sentimento democratico che deve appartenere a uno Stato civile. Benito Mussolini è stato il principale responsabile dell’instaurazione della dittatura fascista, delle persecuzioni razziali e politiche, e dell’alleanza con il nazismo, che ha condotto l’Italia in una delle fasi più oscure della sua storia. Restituire alla storia il suo giusto significato è fondamentale per costruire un presente consapevole e un futuro libero”.
Il cardinale Angelo Becciu conferma di ritenere che lo si debba ammettere al Conclave. Il porporato sardo, ex sostituto della Segreteria di Stato ed ex prefetto per le Cause dei santi – che in una drammatica udienza del 24 settembre 2020 papa Francesco privò della carica in Curia e dei diritti del cardinalato -, afferma in una conversazione con la Reuters che il suo ruolo è cambiato da quella sera di oltre quattro anni e mezzo fa, quando il Pontefice lo degradò perché si sentiva tradito nella sua fiducia. Oltre a confermare quanto già dichiarato all’Unione Sarda – che le sue prerogative sono “intatte, che non c’è stata “alcuna esplicita volontà” di escluderlo dal Conclave e che non gli è mai stato chiesto di rinunciare al privilegio per iscritto -, Becciu aggiunge che papa Bergoglio sarebbe stato vicino a prendere una decisione sul suo status.
Dice infatti di aver incontrato il Pontefice a gennaio, prima del ricovero al Gemelli a febbraio, e cita le sue parole: “Penso di aver trovato una soluzione”, gli avrebbe detto Francesco. Becciu dichiara inoltre di non sapere se il Papa gli abbia lasciato istruzioni scritte su questo aspetto. “Saranno i miei confratelli cardinali a decidere”, conclude in attesa della discussione nelle congregazioni pre-Conclave del Sacro Collegio, già iniziate e a cui lui stesso è invitato.
La questione-Becciu, che rischia di condizionare gravemente il prossimo Conclave e anche il dopo, si complica quindi sempre di più. Tra l’altro nel prossimo autunno – prima udienza il 22 settembre – si aprirà il processo d’appello sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e la compravendita del Palazzo di Londra, per le quali Becciu ha sempre proclamato la sua innocenza ma è stato in primo grado condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di peculato e truffa aggravata ai danni della Santa Sede. Intanto, spuntano due lettere scritte dal Papa che sancirebbero l’esclusione di Becciu dal voto per il nuovo Pontefice. Ne scrive il quotidiano Domani riportando che il cardinale Pietro Parolin, già segretario di Stato, avrebbe mostrato ieri sera a Becciu due lettere dattiloscritte e siglate dal Pontefice con la F che lo escluderebbero dall’ingresso in Sistina: una del 2023 e l’altra dello scorso mese di marzo, quando Francesco affrontava l’ultima, gravissima malattia.
Il porporato sardo avrebbe preso atto, ma al momento non risulta abbia rinunciato al suo proposito. Sempre secondo ricostruzioni su Domani dell’ex direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian, il cardinale decano Giovanni Battista Re, che domani celebrerà i funerali di Francesco, avrebbe detto a Becciu di essere favorevole al suo ingresso in Conclave, non avendo disposizioni contrarie scritte dal Pontefice scomparso. Nel riferire ciò al cardinale camerlengo Kevin Joseph Farrell, però, quest’ultimo avrebbe comunicato a Re la volontà di papa Bergoglio, espressagli tempo fa soltanto a voce, che Becciu fosse tenuto fuori. Da indiscrezioni che trapelano dalle prime congregazioni generali, poi, per sbrogliare il caso-Becciu che sta diventando un vero e proprio ‘giallo’, potrebbe essere costituita una commissione, composta da cinque cardinali tra cui lo stesso porporato sardo.
Questa, secondo il Fatto Quotidiano, la proposta avanzata dal cardinale Claudio Gugerotti, già prefetto per le Cause orientali e considerato molto vicino al card. Parolin. Gugerotti, dal canto suo, avrebbe espresso un parere contrario all’ingresso di Becciu in Sistina. Lo stesso avrebbe fatto un altro fedelissimo di Bergoglio, il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski. Su tutta la questione non ci sono commenti da fonte ufficiale. Alle domande dei giornalisti il portavoce vaticano Matteo Bruni continua a ripetere che “per ora parliamo dei funerali del Papa. Del Conclave si parlerà poi”.