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Mattarella: “La sicurezza sul lavoro è un diritto inalienabile, non un costo ma un investimento sull’uomo”

Nella Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro, Mattarella richiama l’Italia a una nuova consapevolezza: “Ogni otto ore un morto sul lavoro. Serve impegno collettivo per tutelare vita e dignità dei lavoratori”.

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“La sicurezza sul lavoro è un diritto inalienabile, un investimento sul valore dell’essere umano, sul significato del lavoro e sulla qualità della vita”.
Con queste parole il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto celebrare la 75ª Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro, inviando un messaggio ad Antonio Di Bella, presidente dell’Anmil, l’Associazione nazionale lavoratori mutilati e invalidi del lavoro.

Mattarella ha ricordato i dati drammatici diffusi dall’associazione: in Italia ogni otto ore muore una persona sul lavoro.
«Il numero di decessi e infortuni resta tragicamente alto — scrive il Capo dello Stato — anche rispetto al resto dell’Unione europea. Ciascuna vittima è un volto a cui dare voce».

“Serve una nuova consapevolezza collettiva”

Il Presidente ha lanciato un appello per un impegno condiviso:
«Dal dolore deve nascere una nuova consapevolezza, una volontà comune di costruire luoghi di lavoro più sicuri, dove la vita e la dignità di ogni lavoratore siano sempre al primo posto».

Un messaggio che richiama istituzioni, imprese e cittadini a una responsabilità collettiva per fermare quella che Mattarella definisce una “strage continua”.

Le reazioni delle istituzioni

Il tema della sicurezza è stato rilanciato anche dalle più alte cariche dello Stato.
Il presidente del Senato Ignazio La Russa ha scritto su Facebook:
«Nonostante i grandi sforzi, i dati restano preoccupanti. Troppe persone continuano a morire o a subire gravi infortuni mentre lavorano. La sicurezza deve essere una priorità condivisa: prevenzione, formazione e responsabilità sono strumenti essenziali per tutelare la vita e rendere il lavoro un luogo di dignità e progresso».

Sulla stessa linea il presidente della Camera Lorenzo Fontana:
«La sicurezza è una priorità fondamentale per garantire che ogni luogo di lavoro tuteli la dignità e la vita delle persone. Un ringraziamento a chi promuove la cultura della prevenzione e sostiene le vittime di infortuni e malattie professionali».

Un nuovo decreto in arrivo

Dal governo arriva la conferma che il tema è al centro dell’agenda politica.
La viceministra del Lavoro Teresa Bellucci (FdI) ha annunciato che è in fase di completamento un nuovo decreto sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, elaborato “in un costruttivo confronto con le parti sociali”.

Il provvedimento — ha spiegato Bellucci — integra nel Testo unico sulla sicurezza anche la tutela contro violenze e molestie sul lavoro, perché «la sicurezza significa anche proteggere la dignità e il benessere psicofisico delle persone».

“Una giornata che appartiene a tutti i lavoratori”

Il presidente dell’Anmil, Antonio Di Bella, ha sottolineato il valore simbolico e civile della ricorrenza:
«Questa giornata appartiene a tutti i lavoratori — presenti, futuri e pensionati — e deve portare un grido unanime verso il cambiamento. Serve una presa in carico determinata per porre fine a una strage che continua e per costruire finalmente un vero Stato sociale che investa nella sicurezza e nella vita».

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Esteri

Afghanistan e Pakistan sull’orlo della guerra: 67 morti in una notte di combattimenti lungo il confine

Violenti scontri tra Afghanistan e Pakistan lungo il confine Durand: 67 morti in una notte. Islamabad promette una risposta “forte ed efficace”, Kabul parla di “rappresaglia”. Tensione altissima tra i due Paesi.

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Il fragile equilibrio tra Afghanistan e Pakistan è precipitato in una notte di sangue.
Secondo le autorità afghane, un blitz multiplo dei talebani ha colpito diverse postazioni militari pachistane lungo il confine Durand, provocando la morte di 58 soldati di Islamabad e di nove miliziani di Kabul.
Un’escalation che riporta la regione sull’orlo di una nuova guerra.

Il primo ministro pachistano Shehbaz Sharif ha reagito con toni durissimi, promettendo una risposta “forte ed efficace” e accusando Kabul di aver usato “elementi terroristici” per compiere un attacco “non provocato”.
Al contrario, il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid ha definito l’azione “una rappresaglia” per un presunto raid aereo pachistano su Kabul, negato da Islamabad.

Le accuse reciproche e la diplomazia in bilico

Il governo afghano sostiene che le ostilità si siano fermate “a mezzanotte”, grazie alla mediazione di Arabia Saudita e Qatar, ma denuncia nuovi attacchi pachistani all’alba di domenica.
Nel frattempo, Al Jazeera riporta che Kabul starebbe schierando carri armati e armi pesanti nella provincia di Kunar, al confine orientale.

A Islamabad si sospetta che l’attacco afghano non sia casuale: sarebbe avvenuto, sottolineano fonti governative, proprio mentre il ministro degli Esteri afghano era in visita in India, da dove sono arrivate dichiarazioni “anti-pachistane congiunte”.

Un conflitto che cova da anni

Le relazioni tra i due Paesi non sono mai state stabili.
Da quando i talebani hanno ripreso il potere a Kabul nel 2021, le tensioni si sono moltiplicate, con scontri periodicilungo il confine e reciproche accuse di sostenere milizie ostili.

Islamabad accusa il governo talebano di dare rifugio ai Tehrik-e-Taliban Pakistan (Ttp), la fazione talebana pachistana responsabile di numerosi attentati.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, il Ttp “riceve un sostanziale supporto logistico e operativo dalle autorità de facto di Kabul”.

Nei primi nove mesi del 2025, in Pakistan sono già morte oltre 500 persone, tra cui 311 soldati e 73 poliziotti, in attacchi attribuiti ai Ttp.

La scintilla: gli attacchi nel Khyber Pakhtunkhwa

L’ultimo picco di tensione è scoppiato all’inizio della settimana, con una serie di assalti del Ttp nella provincia pachistana di Khyber Pakhtunkhwa, che hanno ucciso circa 30 militari e agenti.
Per Islamabad, la reazione afghana è stata una risposta militare coordinata a questi eventi.
Kabul, invece, accusa il Pakistan di aver “alzato il tiro” con raid aerei su Kabul e su un mercato nella provincia di Paktika, che avrebbero causato diverse vittime civili.

Una crisi che rischia di incendiare l’Asia centrale

L’Afghanistan dei talebani e il Pakistan si trovano così sull’orlo di un conflitto aperto, con due eserciti pronti a muoveree un fragile equilibrio regionale messo in crisi.
La comunità internazionale guarda con preoccupazione agli sviluppi lungo il confine Durand: una linea tracciata oltre un secolo fa, ma che oggi, come allora, continua a dividere popoli, interessi e potenze.

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Esteri

Zelensky chiede più armi a Trump e Macron: “La Russia sfrutta il caos in Medio Oriente per colpire”

Zelensky sollecita Trump e Macron a inviare nuovi sistemi di difesa e missili a lungo raggio. Washington valuta l’invio dei Tomahawk, mentre Mosca avverte: “Non cambieranno la guerra”.

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Con gli occhi del mondo puntati sul Medio Oriente, Volodymyr Zelensky tenta di riportare al centro dell’attenzione internazionale la guerra in Ucraina.
Il presidente ucraino ha parlato due volte in due giorni con Donald Trump e ha avuto un colloquio con Emmanuel Macron, chiedendo un sostegno immediato in armi e sistemi di difesa.

«Ho appena parlato con il presidente degli Stati Uniti — ha scritto Zelensky sui social — anche questa conversazione è stata molto produttiva».
Tra i temi affrontati: il rafforzamento delle capacità antimissilistiche, la resilienza interna e la possibilità di ricevere armi a lungo raggio.

L’ipotesi dei missili Tomahawk

Secondo fonti diplomatiche, Washington starebbe valutando la fornitura all’Ucraina dei missili Tomahawk, con una gittata di circa 2.500 chilometri, in grado di ampliare notevolmente la capacità offensiva di Kiev.
Una prospettiva che il Cremlino osserva con preoccupazione.

«È un’arma importante, anche in configurazione nucleare, ma non cambierà la situazione sul terreno», ha commentato Dmitry Peskov, portavoce di Vladimir Putin, che ha ribadito la “disponibilità russa a una soluzione pacifica” e accusato Kiev e l’Europa di “riluttanza al dialogo”.

Macron: “La Russia approfitta della distrazione del mondo”

Anche il colloquio tra Zelensky e Macron ha avuto come fulcro la richiesta di nuovi sistemi di difesa aerea.
«La Russia sfrutta il momento, dal Medio Oriente alle crisi interne dei Paesi europei, per intensificare i suoi attacchi contro l’Ucraina», ha dichiarato Zelensky, riferendosi anche alla crisi politica che scuote l’Eliseo.

Con Parigi, Kiev lavora per espandere l’iniziativa Purl, un programma che consente ai Paesi della Nato di acquistare armi americane da destinare direttamente all’Ucraina.

Il cambio di linea di Trump

Negli ultimi giorni Trump sembra aver preso le distanze da Putin, mostrando maggiore fermezza nei confronti di Mosca.
Secondo il Financial Times, il sostegno di intelligence statunitense alle operazioni ucraine si è intensificato dalla scorsa estate, con l’obiettivo di colpire raffinerie e risorse energetiche russe.

Gli attacchi hanno fatto aumentare i prezzi dell’energia in Russia e costretto il Cremlino a tagliare le esportazioni di gasolio, mentre Mosca è stata costretta a importare carburante da altri Paesi.

La controffensiva russa nel Donbass

In risposta, l’esercito russo ha intensificato le operazioni di terra nel Donbass, avanzando verso Kramatorsk, città simbolo della resistenza ucraina.
Le autorità locali hanno ordinato l’evacuazione dei civili in alcune aree, mentre le truppe d’invasione si trovano a meno di 20 chilometri dal centro abitato.

Kramatorsk, con i suoi 150.000 abitanti prima della guerra, resta uno dei baluardi strategici dell’est ucraino, e la sua caduta rappresenterebbe un duro colpo per Kiev.

Una guerra che non può essere dimenticata

Mentre il mondo guarda a Gaza, Zelensky tenta di evitare che l’Ucraina scivoli nell’ombra geopolitica.
La sua strategia è chiara: sfruttare la nuova determinazione di Trump, la sensibilità europea e il sostegno militare occidentale per impedire che Mosca approfitti della distrazione internazionale e riconquisti terreno in un conflitto che, dopo quasi tre anni, resta ancora lontano da una soluzione.

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Cronache

In 200 mila da Perugia ad Assisi: un fiume di pace per la giustizia e la fraternità

Oltre 200 mila persone hanno marciato da Perugia ad Assisi per chiedere pace e giustizia. Bandiere palestinesi e israeliane unite, il messaggio del Papa e la partecipazione di Schlein, Conte, Landini e Fratoianni.

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Un fiume umano ha invaso la strada che unisce Perugia ad Assisi, sotto lo slogan “Imagine all the people”.
Più di 200 mila persone hanno partecipato alla marcia della pace 2025, la più affollata dal 2001.
Un corteo colorato, pacifico e pieno di speranza: bandiere della pace, della Palestina, di Israele, ma anche il tricolore italiano e i vessilli delle associazioni, dei sindacati e dei comuni italiani.

«Non chiamatela marcia per la pace — ha detto dal palco della Rocca di Assisi Flavio Lotti, promotore storico dell’iniziativa — ma una marcia per la giustizia, la legalità e il diritto».

Il messaggio di Papa Francesco

Nel cuore della manifestazione, tra le bandiere di Russia e Ucraina annodate insieme, è arrivato il messaggio e la benedizione di Papa Francesco, che ha auspicato che la marcia «sostenga l’impegno delle istituzioni internazionali per soluzioni rispettose dei diritti di ciascuno, affinché all’odio subentri l’amore e all’offesa il perdono».

La partecipazione dei leader politici

Quest’anno la marcia ha visto il ritorno dei leader politici nazionali.
A guidare il corteo, insieme alla presidente della Regione Umbria Stefania Proietti, i sindaci di Perugia, Assisi e BetlemmeVittoria Ferdinandi, Walter Stoppini e Maher Nicola Canawati — simbolo di un’alleanza tra popoli e territori.

Accanto a loro, la segretaria del Pd Elly Schlein, il presidente del M5s Giuseppe Conte, e i co-portavoce di Alleanza Verdi e Sinistra, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Nel corteo erano presenti anche i parlamentari che avevano preso parte alla Global Sumud Flotilla.

Il popolo della pace

Ma i veri protagonisti sono stati i cittadini: studenti, lavoratori, famiglie e bambini.
Dagli zaini delle scuole ai cartelli artigianali, un solo messaggio univa tutti: “Siamo umanità”, “Non c’è via per la pace, la pace è la via”, “Fa’ silenzio quando i bambini dormono, non quando muoiono”.

Molti sono arrivati all’alba da ogni parte d’Italia per marciare insieme, in una giornata segnata da fraternità e impegno civile, senza cori d’odio né gesti di protesta.

“Più di 200 mila, come nel 2001”

«Il 14 ottobre 2001, subito dopo l’invasione americana dell’Afghanistan, eravamo 200 mila — ha ricordato Lotti —. Oggi siamo ancora di più».
Ventiquattro anni dopo, la marcia di Perugia-Assisi resta un simbolo universale di pace, un grido collettivo che attraversa generazioni e confini, per ricordare che, come scrivevano i ragazzi del liceo Marconi di Foligno, “la pace non si prepara: si fa, camminando insieme”.

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