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Cronache

Magliette, gadget e locali: il re dei narcos “El Chapo” sarà un marchio registrato che farà arricchire Emma Coronel

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Donald Trump non dorme la notte. Ha chiesto all’Fbi di scovare il tesoro di El Chapo. Si narra di 15 miliardi di dollari o anche molto di più. Se le autorità federali dovessero mai trovare quei soldi fatti da Joaquín Guzmán spedendo milioni di tonnellate di coca negli Usa, The Donald  li vuole confiscare e usare per costruire il muro al confine con il Messico. Anche per impedire che i cartelli messicani (padroni assoluti oramai del mercato mondiale della cocaina) esportino droga in quantità industriale negli Usa via terra. Per ora gli Usa sono riusciti solo (si fa per dire, non era scontato) a portarsi El Chapo a casa loro, a  condannarlo all’ergastolo, da scontare in futuro – salvo sorprese – nella prigione di massima sicurezza, Supermax, in Colorado. Una tomba per El Capo Joaquín Guzmán.
L’ex capo del cartello di Sinaloa ha firmato i documenti che autorizzano la moglie a creare una società nel Delaware (non è un caso, qui è tax free), una compagnia che si lancerà nel campo dei gadget e della moda con logo unico: El Chapo Guzmán. È come se un italiano lanciasse il marchio MAFIA. Il progetto di Emma Coronel, già miss e oggi mamma di due gemelline di 7 anni avute con il bandito, è di vendere magliette, pantaloni, cappellini, accendini, abiti marchiati da un brand famoso: El Chapo.

Insomma la reginetta di Sinaloa, la moglie di El Chapo che marcirà in carcere si mette in affari e sfrutta il nome del marito assassino e narcotrafficante. Lui, El Chapo, ha firmato tutto i documenti per concedere alla moglie Emma Coronel tutti i diritti.

Non è, ovviamente, un gesto di generosità. I federali si metterebbero di traverso e confischerebbero tutto se fosse intestato a lui. Così El Chapo aggira la legge.
Non esiste negli Usa una legge che vieta di trarre guadagni dallo sfruttamento pubblicitario delle imprese criminali di un assassino. Regola introdotta dopo che truci assassini hanno provato a far soldi vendendo memorie o altro una volta finiti in galera.  E purtroppo intorno a El Chapo Guzmán non è l’unica impresa che si è formata. Ci sono dei precedenti  sempre con donne che hanno sfruttato la popolarità del trafficante di cocaina. Nella sua lunga e dorata latitanza ci sono state sempre miss, attrici, cantanti e belle  presenze femminili richiamate non già dalle doti amatorie o dalla bellezza di El Chapo ma dal profumo dei soldi.
Kate de Castillo, l’attrice che ha accompagnato Sean Penn nella rocambolesca intervista a Guzmán, aveva  una liason con il padrino. O forse un’attrazione ricambiata che poteva andare oltre il rapporto personale. Kate, dicevano, era in cerca di sponsor per la marca della sua tequila poi lanciata sul mercato.
L’attrice ha smentito qualsiasi collaborazione ed ha sempre respinto illazioni sul suo ruolo nella cattura del boss. Tra le ipotesi su come i messicani, aiutati dalla Dea, fossero riusciti a scoprire il ricercato c’era quella delle tracce lasciate nei contatti per l’intervista.


Ancora più spregiudicata e decisa, Alejandra, una delle sette figlie del bandito. Ha creato  jeans, T-shirt e maglioni con un etichetta dedicata al papà: “El Chapo 701”. Quel 701 non è il numero della cella ma il numero dei miliardi di dollari che il papà possedeva secondo la rivista dei Paperoni Usa Forbes nel 2009. Se qualcuno deve sfruttare il nome – avrà pensato – meglio che sia una cosa pensata nella grande famiglia, dove ognuno si è ritagliato un ruolo.
Dopo l’estradizione negli Usa del capostipite, nel clan sono sorti contrasti su chi dovesse ereditarne le redini. Figli, fratelli, parenti si sono fatti la guerra, i rivali di Jalisco-Nueva Generación hanno provato a impadronirsi di fette di territorio, la vecchia guardia si è arroccata attorno a Ismael Mayo Zambada, per molti il nuovo comandante. La condanna di Guzmán ha trasmesso l’ immagine di debolezza di un uomo una volta potente. I suoi hanno reagito con la forza bruta e la propaganda, diffondendo un video per dire “ci siamo ancora”, il team di avvocati ha impugnato le carte per denunciare vizi di forma nel procedimento.
Emma Coronel, da buona moglie, si è preoccupata dei soldi.

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Cronache

Taxi, Urso non rassicura: sciopero nazionale il 21 maggio

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Nessuna rassicurazione dal ministro Urso dopo l’incontro odierno sull’emanazione dei decreti attuativi, tra cui la regolametazione delle piattaforme digitali. Per questo i tassisti hanno indetto uno sciopero nazionale per il 21 maggio e una grande manifestazione a Roma. Lo annunciano Unica Cgil, Fast, Ugl, Uti, Tam, Claai Unione artigiani, Satam, Or.s.a. taxi, Uritaxi, Atlt, Ati taxi, Sitan/Atn, Usb taxi, Unimpresa, Federtaxi cisal.

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Inchiesta Genova e arresto Toti, le mosse di Cozzani per la fornitura al Salone Nautico

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C’è da un lato la Regione Liguria che vara una legge per portare i finanziamenti al Salone Nautico di Genova da 350mila a 780mila euro. E c’è dall’altro Filippo Cozzani, il fratello di Matteo, il capo di Gabinetto di quella Regione, che ottiene poco dopo una fornitura da 10mila euro proprio dal Salone. A raccontare come funzionava, secondo i magistrati, il ‘sistema Toti’, è un episodio che vede coinvolto il capo di gabinetto del governatore e il presidente del Salone nautico, Saverio Cecchi, ricostruito nelle carte dell’inchiesta della Spezia che ha portato agli arresti domiciliari per corruzione proprio il braccio destro di Toti e dato il via all’inchiesta genovese perché, nel corso delle intercettazioni, è saltato fuori il voto di scambio con esponenti del clan nisseno di Riesi impiantati in Liguria.

I due parlano al telefono e Cozzani illustra a Cecchi – indagato e destinatario di una misura inderdittiva – quella che lui chiama la ‘leggina’, vale a dire una norma che moltiplicava i finanziamenti al Salone, di fatto raddoppiandoli. “Scusa eh, io sono arrivato che al Nautico gli venivano riconosciuti 350mila euro, ora Campagna (Alessandro Campagna, il direttore commerciale del Salone Nautico, anche lui indagato, ndr) esce con 780mila euro – dice Cozzani – C’è qualcosa che non funziona, te lo dico eh! Saverio, la vostra in Regione è una rapina a mano armata con scasso”. I magistrati spezzini notano l’aumento esponenziale di fondi pubblici per il Nautico, a partire dall’edizione del 2022: dai 400 mila euro di fondi regionali alla delibera di giunta che, pochi mesi prima delle elezioni, attinge a finanziamenti europei per arrivare a 730 mila euro. Eccola qua, la ‘leggina’ sulla strategicità del Salone Nautico di cui Cozzani vanta la paternità.

“Ma ti rendi conto quanti soldi…?” E Cecchi se ne rende conto, tanto che lo ringrazia: “Meno male che ci sei tu, grazie caro”. Ma dir grazie evidentemente non basta e così, poco dopo questo colloquio, Cozzani dà al fratello imprenditore Filippo il telefono di Alessandro Campagna. Filippo lo contatta e offre al Salone la fornitura di cartoni d’acqua con il logo del Nautico per un evento, al prezzo di 10mila euro. L’affare va a buon fine e appena chiuso il Salone Cecchi ringrazia Matteo Cozzani, “per tutto quello che hai fatto…é stato un grandissimo successo, hanno chiuso contratti, stanno vendendo… siamo una squadra veramente dove spacchiamo il mondo”.

Quella ‘leggina’ porterà nel 2023 i contributi al Salone Nautico a 1,2 milioni di euro: 150mila euro a carico della Regione e oltre un milione a valere sul Fondo europeo di sviluppo regionale. Un grandissimo successo anche per i tetrapack di Filippo Cozzani, che da quel palcoscenico voleranno anche alla kermesse dell’Ocean race ma che, per il giudice, sono il “corrispettivo dell’attività corruttiva da parte di Cecchi e Campagna per ottenere da Matteo Cozzani l’interessamento necessario per la percezione di maggiori contributi economici regionali”.

Per tutti gli indagati in questa inchiesta, come in ogni inchiesta, vige nel nostro Paese il principio costituzionale della innocenza. Principio che noi rispettiamo e tuteliamo anche in questo racconto di una vicenda che al momento vede protagonista mediatica solo l’accusa.

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Comune di Napoli, dal bradisismo nessun problema per il Maradona

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“Lo stadio Maradona non ha evidenziato alcun problema sismico. Ha una struttura concepita in modo molto robusto negli anni ’50 e ’60, ha resistito perfettamente al terremoto dell’Irpinia del 1980 e la copertura è stata progettata per Italia ’90 dopo che Napoli era stata classificata in zona sismica. Nessuna delle scosse collegate al bradisismo ha provocato danni e d’altra parte lo stadio è fuori dalla zona di interesse definita dal DL 140 sul rischio sismico collegato al bradisismo convertito in legge”. E’ quanto precisa l’assessorato alle Infrastrutture del Comune di Napoli in relazione a notizie di stampa secondo cui il bradisismo avrebbe arrecato danni ad una curva dello stadio.

“Il problema riscontrato nella parte inferiore della curva B – si legge in una nota – non è in alcun modo collegabile agli eventi sismici che si registrano con il bradisismo. Non c’è una struttura di sostegno significativa, ma solo una sovrapposizione dell’anello inferiore costruito per Italia ’90 rispetto al precedente originale sottostante. Al massimo un problema di vecchiaia, su una struttura molto sollecitata dal movimento dei tifosi. In ogni caso a breve si interverrà per il completo ripristino. Tutte le prove effettuate in altri settori hanno dimostrato l’integrità strutturale degli altri settori dell’anello inferiore”.

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