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Economia

Garrone si ritira, sarà Orsini il successore di Bonomi ai vertici di Confindustria

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Alla fine anche l’ultimo concorrente rimasto ancora in gara si è ritirato e così domani Emanuele Orsini sarà eletto dal consiglio generale presidente della Confindustria per i prossimi quattro anni, formalizzando la successione a Carlo Bonomi. A gettare la spugna è stato Edoardo Garrone, esponente di punta di una delle grandi dinastie dell’imprenditoria italiana, patron della Erg, che ha avuto il coraggio di trasformare da gruppo petrolifero in grande produttore di energie pulite. Come presidente dell’editrice de Il Sole 24 Ore è molto conosciuto negli ambienti dell’associazione degli industriali. Proprio queste frequentazioni lo avevano spinto a tentare una candidatura cui finora si era sempre sottratto. La competizione però non ha avuto successo. Questa mattina con una lettera ha annunciato il ritiro. Dopo “forti fratture e forti tensioni”, a Confindustria “non serve che un candidato possa vincere per qualche voto, magari frutto di ‘impegni o scambi’ eccessivi e per me intollerabili e inaccettabili”, scrive Edoardo Garrone annunciando il passo indietro nella corsa alla presidenza.
“Solo sostenendo un unico candidato e mettendolo nella condizione ideale per forza e autonomia, si può garantire la miglior governabilità alla nostra Confindustria”, aggiunge. Ci tiene a precisare che si tratta di “una rinuncia che personalmente mi costa molto, ma che confido possa determinare una svolta comportamentale e sostanziale, rendendomi e rendendoci orgogliosi di averlo fatto e di aver contribuito ad un cambiamento storico doveroso, esprimendo un modo di essere al servizio del sistema e non un sistema al servizio di se stessi”. Toglie di mezzo un po’ di ombre che si erano allungate nelle ultime ore, frutto delle voci su trattative fra Orsini e Antonio Gozzi che, ritirandosi dalla corsa aveva messo a disposizione un consistente pacchetto di voti congressuali. Secondo Garrone un presidente deve essere libero di scegliersi la squadra, senza condizionamenti. “É infatti evidente che in Confindustria si sono determinate forti fratture e forti tensioni. Non serve all’Associazione che un candidato possa vincere per qualche voto, magari frutto di “impegni o scambi” eccessivi e per me intollerabili e inaccettabili”, scrive.
E poi un riferimento al concetto di manifatturiero. “Non esiste la gara a chi tra noi è “più manifatturiero” di altri. Perché non dobbiamo costruire caste, ma ceti responsabili che abbiano pari dignità, donne e uomini pari tra pari”. Il ritiro di Garrone segna l’arretramento del vecchio Triangolo Industriale nella geografia di Confindustria. Le vecchie capitali attraversano una fase di transizione. Torino con l’eclissi del sistema Fiat è alla ricerca di un futuro lontano dall’auto. L’Assolombarda di Milano, un tempo azionista di riferimento di tutta Confindustria, si era espressa a favore di Garrone.
Infine Genova che dopo una lunga permanenza nell’ombra per via della scomparsa dell’industria pesante soprattutto di Stato, cerca nuovi orizzonti puntando sul Porto, la logistica e le tecnologie innovative.
La candidatura Garrone era la bandiera di questa rinascita ma le divisioni interne all’associazione hanno azzoppato la corsa. Vince Emanuele Orsini, nato a Sassuolo nel 1973 amministratore delegato di Sistem Costruzioni e di Tino Prosciutti, presidente di Maranello Residence e vicepresidente di Confindustria nazionale con delega al Credito, alla Finanza e al Fisco fin dal 2020. Un’affermazione che segna il cambio di rotta in Confindustria dalla grande industria del nord al sistema delle piccole imprese e delle multinazionali tascabili che dal Nord Est si spinge lungo la costiera adriatica passando per Emilia-Romagna-fino a Marche e Abruzzo. Un’operazione guardata con interesse dal governo considerando che, come sempre nelle ultime elezioni, il voto decisivo è stato quello delle partecipate di Stato come Eni, Enel, Leonardo, Poste, Ferrovie. Il primo compito del nuovo presidente sarà proprio quello di affermare l’indipendenza di Confindustria e ricucire le fratture.

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Economia

Saipem si aggiudica tre contratti per 3,7 miliardi dollari

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Saipem

Saipem si è aggiudicata tre nuovi contratti da TotalEnergies Ep Angola Block 20, società controllata da TotalEnergies, per il progetto Kaminho relativo allo sviluppo dei giacimenti petroliferi di Cameia e Golfinho, situati a circa 100 chilometri a largo delle coste dell’Angola. L’ammontare totale dei contratti è di 3,7 miliardi di dollari.

Il primo contratto che si è aggiudicato Saipem riguarda l’ingegneria, l’approvvigionamento, la costruzione, il trasporto e il commissioning del mezzo navale Fpso Kaminho (Floating Production Storage e Offloading). Il secondo contratto comprende l’operation & maintenance dello stesso mezzo Fpso per un periodo di 12 anni con una potenziale estensione di 8 anni. Il terzo contratto prevede l’ingegneria, l’approvvigionamento, la fornitura, la costruzione, l’installazione, il pre commissioning e l’assistenza per il commissioning e la fase di start-up di un pacchetto subsea umbilicals, risers & flowlines, che include circa 30 chilometri di condotte. Le strutture associate saranno fabbricate nello stabilimento locale di Saipem ad Ambriz.

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Multa da 2,5 milioni Antitrust a Intesa Sanpaolo Rbm Salute

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L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha sanzionato per 2,5 milioni di euro Intesa Sanpaolo RBM Salute S.p.A., compagnia assicurativa specializzata nell’assicurazione sanitaria, e per 1 milione di euro Previmedical Servizi per la Sanità Integrativa S.p.A., provider di servizi cui è stata affidata la gestione e la liquidazione delle pratiche di sinistro. Le indagini – spiega una nota – sono state avviate a seguito delle segnalazioni da parte di numerosi consumatori e dei risultati dell’attività di vigilanza svolta dall’Ivass.

Nel corso del procedimento si sono poi aggiunte ulteriori richieste di intervento da parte di consumatori che lamentavano le stesse criticità. Molti reclami sono arrivati da aderenti al fondo sanitario MetaSalute, che da solo raccoglie oltre un terzo del numero di assicurati ISP Rbm. Il comportamento di Intesa Sanpaolo RBM Salute S.p.A. e di Previmedical Servizi per la Sanità Integrativa S.p.A. integra una pratica commerciale scorretta in violazione degli articoli 20, 24, 25, comma 1, lett. d), del Codice del Consumo, perché è stato accertato che hanno ostacolato l’esercizio dei diritti contrattuali dei consumatori, rendendo onerosa la fruizione delle prestazioni assicurative.

In particolare, – spiega Antitrust – sono emersi problemi presso la centrale operativa di Previmedical (verificatisi alla fine del 2022) che hanno determinato – a partire dai primi mesi del 2023 – l’accumularsi di un numero molto alto di pratiche in attesa di evasione, in notevole ritardo rispetto ai tempi di liquidazione previsti dalle rispettive polizze sanitarie. Il ritardo accumulato ha provocato difficoltà anche nella gestione corrente delle richieste di prestazione successive con rallentamenti significativi rispetto alle previsioni contrattuali.

Inoltre, i problemi presso la centrale operativa hanno reso difficile per i consumatori entrare in contatto con il servizio di assistenza clienti. Si sono rilevate, inoltre, numerose incongruenze nell’applicazione concreta delle condizioni di polizza da parte di Previmedical, anche per la difficoltà di interpretare le prassi liquidative stabilite da Intesa Sanpaolo RBM Salute, che hanno avuto come conseguenza numerosi casi di errato rifiuto di autorizzazioni o di rimborsi a soggetti che ne avevano diritto, oppure la richiesta non necessaria di ulteriore documentazione. Gli elementi emersi nel corso dell’istruttoria hanno evidenziato infine la responsabilità di Intesa Sanpaolo RBM Salute S.p.A. nella mancata implementazione di un efficace sistema di controllo sull’attività di gestione dei sinistri da parte del proprio provider, in modo da prevenire e gestire eventuali criticità nella gestione delle polizze sanitarie e garantire ai propri assicurati un adeguato livello di servizio.

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Il ceto medio teme il futuro, scala sociale bloccata

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La classe media italiana è sempre più povera, impaurita e pessimista. È la sintesi del nuovo rapporto Cida-Censis, la fotografia di una società profondamente cambiata rispetto a quando, tra dopoguerra e boom economico, era in rapida ascesa. Oggi, invece, il 48,4% del ceto medio sente di stare andando indietro nella scala sociale. Anche se che 6 italiani su 10 (il 60,5%) ritengono di appartenere alla classe di mezzo. Di questi, la maggior parte ha un reddito tra 15 e 34 mila euro (46,4%), il 26,7% tra 35 e 50mila, il 15,6% oltre i 50mila e il restante 11,3% delle persone meno di 15mila. Sono più gli anziani (65,4%) rispetto a giovani (57,7%) e adulti (58,9%).

“Preoccupa l’assenza di speranza nel futuro degli italiani. Se le aspettative calano, se non si crede più di poter migliorare la propria condizione, sarà l’intero Paese a pagarne un prezzo altissimo. Dobbiamo investire su più alto benessere economico, più alti consumi, aspettative crescenti”, sottolinea il presidente di Cida, Stefano Cuzzilla. La sensazione di pessimismo per il futuro è condivisa anche dai ceti popolari (che sono il 33,8% e sentono di indietreggiare ulteriormente nel 66,7% delle evenienze) e persino dagli abbienti (in 4 casi su 10).

Il tenore di vita sta calando per il 60% degli italiani, di cui la metà del ceto medio. E non a torto: dal 2001 al 2021 il reddito pro-capite delle famiglie è sceso del 7,7%, mentre la media europea saliva di quasi 10 punti percentuali. E sono più di di due terzi gli italiani che pensano che il cosiddetto soffitto di cristallo impedisca di migliorare la propria classe sociale. A condire il tutto c’è l’assenza di meritocrazia. Per l’81% degli italiani è giusto che chi lavora di più guadagni di più ma per il 57,9% impegno e talento non sono premiati come dovrebbero. Il 78,6% del totale (e l’80% del ceto medio), inoltre, ritiene di essere danneggiato dall’evasione fiscale.

Tra le righe del rapporto si legge però anche un po’ di speranza. L’87,1% degli italiani è convinto che un innesto massiccio di culture e pratiche manageriali farà fare il salto di qualità al sistema Paese. Le competenze organizzative sono viste positivamente anche per i dirigenti scolastici, la cui abilità per l’85,8% delle famiglie porta a buone performance didattiche, e per quelli medici, che secondo il 62,2% dei rispondenti dovrebbero essere manager. Per 8 italiani su 10 la chiave per essere un buon capo è il saper trascinare e motivare gli altri. “È nostra responsabilità, come manager e come società civile, rispondere a questo cambiamento e intercettarne i bisogni prima che sia troppo tardi”, sottolinea ancora Cuzzilla. “Significa investire per avere un sistema costruito sulla triade più alto benessere economico – più alti consumi – aspettative crescenti”.

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