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Cronache

La banda del buco scoperta a Napoli, passava dalle fogne

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Capi di abbigliamento, cellulari, attrezzi da lavoro. Anche opere d’arte e catalizzatori d’auto: tutto faceva brodo per la “banda del buco” napoletana sgominata dai carabinieri che oggi hanno notificato cinque arresti in carcere e quattro ai domiciliari. Passando dalle fogne sbucavano da pavimenti e mura mettendo a segno furti di ingente valore nel cuore della città. A farne parte sarebbero state 14 persone, ma solo per nove sono state notificate misure cautelari. Due i furti, piuttosto eclatanti, contestati agli indagati, anche se la Procura si sta concentrando su altri episodi che sembrano avere la stessa paternità. Il primo in noto negozio di abbigliamento nel quale sono stati trafugati – e poi recuperati dalle forze di polizia – scarpe e abbigliamento per 173mila euro; il secondo alla biblioteca storica dell’ex complesso ospedaliero Gesù e Maria dove sono stati trafugati oggetti d’interesse storico-culturale, tra cui una statua, cimeli e testi antichi. Il gip di Napoli Giovanni Vinciguerra ha sottolineato, nella sua ordinanza, l’impressionante “scaltrezza, l’elevata professionalità e la spregiudicatezza degli appartenenti all’associazione”.

E le indagini giustificano gli aggettivi del giudice, visto cosa è stato recuperato dagli investigatori: gruppi elettrogeni silenziosi, jammer per silenziare gli allarmi, sega taglia cemento, martelli pneumatici e lampade a lunga durata. L’occorrente per scavare per mesi. E i bottini, ricettati, hanno fruttato sempre ingenti guadagni. A dare avvio alle indagini sono stati i condomini di un palazzo storico: attraverso un tombino che si trova nell’androne, i ladri si introducevano nel sottosuolo spacciandosi per operai. La banda stava anche progettando un clamoroso furto in un Apple Store di Napoli che si trova in piazza Carità, a pochi passi dalla caserma che ospita il Comando Provinciale dei carabinieri.

I militari li tengono sotto controllo mentre i ladri, a loro volta, controllano i movimenti delle forze dell’ordine, anche camuffandosi da semplici cittadini che portano a spasso i cani. “Abbiamo quasi fatto là… un magazzino enorme, 5-600 telefoni”, dice uno dei ladri in una intercettazione. Il negozio preso di mira è piuttosto piccolo, ma i depositi sotterranei – cui la banda voleva accedere scavando nel sottosuolo – sono capienti. Il furto all’Apple Store, però, sfuma. Uno degli arrestati, che svolgeva la mansione di scavatore e basista, lavorava, saltuariamente, anche in un bar vicino alla caserma. E’ lui a mettere in guardia i complici indicando la fitta presenza dei militari in zona. In questo frangente la banda non si perde d’animo e decide di dedicarsi anche ai furti dei catalizzatori d’auto: contengono metalli preziosi come platino, palladio e rodio, che valgono 10 volte più dell’oro e che fruttano anche mille euro a pezzo. Vengono organizzate missioni anche fuori regione e compiono una decina di furti, in varie città del centro nord, tra le province di Roma, Ancona, Firenze e Bologna.

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Costretta a nozze combinate, il Pm: trattata da principessa

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Ha chiesto aiuto per evitare un matrimonio imposto, con un uomo scelto dai suoi genitori, ma quando il suo caso è arrivato sul tavolo del magistrato, questi ha ritenuto che “il fattore culturale” e l’idea di darle una vita da “principessa” avessero spinto l’agire dei familiari e che non vi fosse alcuna costrizione alle nozze. Il gip di Monza ha però ordinato l’imputazione coatta e oggi il padre e la madre di Zain (nome di fantasia), diciottenne pakistana cresciuta a Seregno (Monza), insieme al fratello maggiore dovranno rispondere di tentata induzione a contrarre matrimonio. Zain aveva 13 anni quando sentì parlare per la prima volta delle sue future nozze con un cugino scelto dalla famiglia. Lei voleva studiare, scegliere la sua professione, e soprattutto vivere un amore vero, libero.

“Potrai fare ciò che vorrai, continuare gli studi, ma solo se sposerai lui”, le hanno detto i genitori. Con il passare degli anni la giovanissima ha vissuto con la paura nell’anima, sentendosi braccata e finendo per farsi del maie da sola. I segni del suo malessere, visibili sul suo corpo, sono stati notati dagli insegnanti della scuola superiore che frequentava che hanno allertato i servizi sociali. Nonostante ciò, il piano della sua famiglia, supportata anche da un’intera comunità nella quale Zain non aveva alcun punto di riferimento che la spalleggiasse, è proseguito fino a poco prima che diventasse maggiorenne. Quando a casa sua è arrivato il suo abito da sposa, la giovane ha compreso di non avere scampo.

“Io non sarei riuscita a sottrarmi, avevo tutti contro”, ha raccontato agli assistenti sociali e al suo avvocato, per chiedere di essere trasferita in una comunità protetta e dando il via all’inchiesta sui suoi familiari. All’esito delle indagini, il pm di Monza Alessio Rinaldi ha però deciso di archiviare il caso, spiegando che “la scelta della famiglia di organizzare il suo matrimonio” non fosse “mai stata caratterizzata da metodi costrittivi o minatori”, nonostante la ragazza abbia “sempre sentito le scelte familiari frutto della loro appartenenza culturale come lesive della sua libertà”, perché dai suoi racconti sarebbe invece emerso che i suoi genitori volessero “trattarla come una ‘principessa’ e darle un futuro migliore”.

Il gip di Monza ha invece respinto la richiesta di archiviazione e disposto per i familiari della ragazza l’imputazione coatta. “Sono contenta che il giudice abbia manifestato sensibilità per questi temi – ha detto il suo avvocato Lucilla Tassi – lei ora è in una località protetta, dopo aver ricevuto ampio sostegno dai servizi sociali, ora si merita il futuro che desidera”. Ora Zain continua a studiare, lontana da una famiglia che non desidera più rivedere, libera.

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Rischio Fentanyl in Italia, ai poliziotti l’antidoto

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E’ stato trovato in una dose di eroina a Perugia. In una farmacia abusiva a Gioia Tauro. Nella disponibilità di un trafficante arrestato a Piacenza. Nel 2023 in quattro corpi sottoposti ad autopsia: solo in uno come causa principale del decesso. Tracce limitate per ora. Di rilevanza apparentemente modesta se si confronta la situazione dell’Italia con quella degli Stati Uniti, dove il Fentanyl è una vera e propria piaga sociale che lo scorso anno ha fatto più di 100mila morti. Ma il governo intende prestare la massima attenzione ai rischi di diffusione dell’oppiaceo sintetico 80 volte più potente della morfina. Con un impegno sinergico di intelligence, forze di polizia, magistratura e diversi ministeri, come ha spiegato oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, in una conferenza stampa a Palazzo Chigi insieme al vicepremier Antonio Tajani. Ed ai poliziotti che intervengono su questo fronte si stanno assegnando spray al Naloxone, farmaco che blocca gli effetti del Fentanyl.

La presidenza italiana del G7 ha promosso una dichiarazione congiunta sul contrasto al potente analgesico. Un focus è stato dedicato nella riunione del 7 ministri degli Esteri ed in quella della Giustizia. “Abbiamo stabilito – ha informato Tajani – una collaborazione operativa contro la produzione e la diffusione. Stiamo lavorando anche con gli Usa ci sono state più di una riunione con Blinken che ringrazia l’Italia per il suo impegno. E il tema sarà al centro dei miei incontri con i Paesi asiatici”. Sul fronte interno è attivo un Piano nazionale di prevenzione che coinvolge tutte le amministrazioni interessate. E’ il dark web, in particolare, la porta d’ingresso del Fentanyl in Italia. Il traffico, ha spiegato Mantovano, passa “su siti cinesi soprattutto, con pagamenti in criptovalute che significa non tracciabilità e ciò rende le indagini difficili e complesse”.

La Procura nazionale antimafia, ha proseguito il sottosegretario, “ha costituito un gruppo di lavoro composto da alcuni procuratori distrettuali per elaborare protocolli d’intervento. Sono state sensibilizzate tutte le procure, anche quelle ordinarie”. E visto che la sostanza comincia a circolare, ha fatto sapere, “il ministero dell’Interno e della Salute stanno lavorando per dotare il personale delle forze di polizia che opera in questo ambito di flaconi di Naloxone, uno spray nasale che fa da antidoto, per far sì che quando un agente effettua un intervento che fa emergere il Fentanyl non siano colpiti”. Ma l’attenzione del governo non è dedicata solo al Fentanyl.

A giugno, ha informato Mantovano, il Dipartimento per le politiche antidroga “produrrà spot che descriveranno gli effetti reali di cannabis, eroina, cocaina. Nel 2025, poi, “organizzeremo la Conferenza nazionale sulle dipendenze. La precedente è stata nel 2021, ma in modalità Covid. Sarà l’occasione di un aggiornamento dello stato delle dipendenze in Italia, non soltanto da stupefacenti, ma anche da alcol, fumo, gioco d’azzardo, prodotti web. Vogliamo un confronto libero che permetta di conseguire i risultati che ci siamo posti in termini di prevenzione e recupero”.

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L’ex consigliere regionale del M5s Giovanni Favia assolto dall’accusa di violenza sessuale

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E’ stato assolto dall’accusa di violenza sessuale Giovanni Favia, ex esponente del Movimento 5 stelle e ora gestore di alcuni locali a Bologna. Lo ha deciso il Gup del Tribunale di Bologna Roberta Malavasi, al termine del processo col rito abbreviato ordinario (o ‘secco’) – quindi solo sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, senza possibilità di ulteriori acquisizioni probatorie – che si è svolto questa mattina. All’origine del processo, la denuncia di una ragazza, assistita dall’avvocato Barbara Iannuccelli, con cui Favia aveva avuto una relazione. Il fatto contestato risaliva alla notte tra il 5 e il 6 novembre 2021. A chiedere il rinvio a giudizio dell’ex esponente M5s era stato, a gennaio, il pm Tommaso Pierini, dopo che a giugno il gip Domenico Truppa aveva ordinato l’imputazione coatta. Inizialmente il pm aveva chiesto l’archiviazione, ma la legale della donna si era opposta, così Truppa aveva ordinato l’imputazione coatta per il reato di violenza sessuale, disponendo invece l’archiviazione per le contestazioni di stalking e lesioni. Favia, assistito dall’avvocato Francesco Antonio Maisano, si è sempre difeso sostenendo di essere stato denunciato pretestuosamente dalla donna a seguito della fine della loro relazione. Oggi è arrivata l’assoluzione. Le motivazioni saranno disponibili entro 90 giorni.

“Finalmente – dice il suo legale Francesco Antonio Maisano – l’innocenza di Giovanni Favia, accusato ingiustamente di un crimine odioso, è stata scritta a lettere indelebili e con la più ampia delle formule assolutorie. Dopo anni di calvario giudiziario, accompagnato da una vera e propria ‘macelleria mediatica’ oggi è stata finalmente scritta la parola fine. In un tempo in cui troppo spesso di parla di ‘presunzione di innocenza’ senza però praticarla in concreto, mi auguro che almeno questo caso rimanga emblematico di quanto possa accadere anche ad un innocente. Al mio assistito auguro solo di riprendersi per tutto quanto ha dovuto perdere, ingiustamente, in questi anni, dalla salute alla considerazione sociale. Sarà difficile ma glielo auguro di tutto cuore”. Per l’avvocata Barbara Iannuccelli, che assiste la donna che denunciò Favia, “in questo complesso e tortuoso iter giudiziario abbiamo una Procura che chiede l’archiviazione, un giudice che all’esito della nostra opposizione impone la formulazione della imputazione per violenza sessuale, ritenendo sussistenti gli elementi probatori, e un giudice che poi assolve. Siamo destabilizzati. Attendiamo le motivazioni tra 90 giorni”.

 

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