“Putin in Ucraina è caduto in trappola. La sua decisione, che ha preso non perché impazzito ma perché ossessionato da Kiev, è politicamente senza senso, una follia”. Lo zar del Cremlino non ha fatto certo i salti di gioia mesi fa leggendo le bordate di una sua vecchia conoscenza, quel Gleb Pavlovsky che giocò un ruolo decisivo nella sua ascesa e fortuna politica.
Il politologo, nato a Odessa nel 1951, è morto a 71 anni in una clinica per pazienti terminali nella capitale Mosca, dove si trovava “a seguito di una grave malattia”, recita il comunicato della famiglia. Dalla città portuale ucraina Pavlovsky si era trasferito a Mosca nei primi anni ’70 dopo una laurea in storia. Alcuni suoi scritti erano stati censurati perché bollati di “anarchismo”, mentre lui si definiva un “marxista zen”, comunista sì ma contro il governo centrale del Politburo. In breve viene arrestato e nel 1982 si becca una condanna a tre anni di esilio a Komi, nel nord russo. Torna a Mosca alla vigilia del crollo del muro di Berlino e del collasso dell’impero sovietico. Negli anni successivi entra nella macchina di propaganda del Cremlino, partecipa alla campagne di rielezione di Boris Eltsin del 1994 e coglie l’importanza strategica connessa all’avvento di internet, fondando siti e media online. Nell’estate del 1998 la svolta: incontra Putin poco prima della sua nomina a capo dell’Fsb a un meeting di governo.
“Non era un tipo brillante, era facile perderlo di vista tra gli altri burocrati. Preferiva stare dietro le quinte e sempre in silenzio”, ha raccontato Pavlovsky rievocando quel momento. Il cerchio ristretto del Cremlino all’epoca ha ben altri problemi, la successione a Eltsin e le elezioni presidenziali del 2000. La scelta cade su Putin e inizia la campagna per farlo eleggere: “Lo spingevamo a essere più duro, più aspro. Lui era un uomo più educato, dicono che fosse una cortesia tipica di Leningrado. Quelli di Leningrado (San Pietroburgo, ndr) si sono sempre considerati più eloquenti, più educati rispetto alle altre città. Era uno di quei gentili abitanti di Leningrado. Non riusciva a costringersi a parlare in modo più tagliente”. L’operazione riesce, inizia l’era Putin. “Ho conosciuto gli anni migliori della presidenza”, diceva Pavlovsky, rimasto alla corte dello zar fino al 2011, un anno cruciale. Dmitri Medvedev è in pista perché sulla carta Putin non può correre nuovamente per la presidenza avendo già svolto due mandati
. “Pensai che fosse impossibile per Putin tornare al potere. E non volevo che la sua presidenza si trasformasse in una caricatura di sé stessa”, ha sostenuto ancora il politologo rivelando che la decisione di Medvedev di non candidarsi nel 2012 “è stato un atto di violenza psicologica: andarono insieme a pesca a fine estate, quando tornò Medvedev era depresso, stanco, si sarebbe addormentato ovunque, era a pezzi”. In Ucraina, è stato il suo ultimo monito, la Russia rischia di fare la fine che fece l’Urss in Afghanistan. Quello di Putin “è un gioco pericoloso che punta a fare pressioni sull’Occidente sui temi della sicurezza. Un gioco molto pericoloso che potrebbe farci assistere a un’escalation mai vista sino ad oggi”.