Il generale Vannacci si considera “un erede di Giulio Cesare” e ritiene che “da 8-9mila anni a questa parte lo stereotipo di italiano è bianco”, ma per Elena Giusti, professoressa di Latino all’università di Warwick ed esperta delle intersezioni letterarie e storiche tra antica Roma e Africa, “nell’antichità non esiste l’idea di bianco e i Romani non si ritenevano tali”: questa visione ‘razzializzata’ della Romanità è stata costruita in età moderna e sostenuta dal fascismo ed è un’idea distorta del mondo antico da cui “non ci siamo ancora del tutto liberati”. “Ci sono riferimenti a pelle bianca o nera nella letteratura antica – spiega Giusti – ma non nel senso che intendiamo noi. La pelle scura è indicativa di lavoro all’esterno, al sole.
Anche di Odisseo si dice che aveva la pelle nera. In Virgilio c’è un riferimento a uno schiavo ‘nero’ appunto perché lavora in campagna e uno ‘bianco’ che invece lavora in casa. Così pure in ambito pittorico, le donne negli affreschi pompeiani vengono raffigurate con un colore più chiaro perché il loro ambito è quello dello spazio interno”. Giusti, un dottorato conseguito a Cambridge e anni di studio sulle intersezioni tra la poesia latina e l’Africa, si sta occupando di tutto ciò anche nella sua veste di editor di un manuale che sta preparando per Cambridge University Press su Race Studies e il mondo classico. “Non è che i Romani non notassero le diverse fisionomie – continua Giusti -, ma non le legavano così strettamente alla provenienza”.
I libri di testo fascisti invece, spiega Giusti, “avevano inserito dei miti che parlavano della continuità razziale dell’etnia romana con gli italiani dell’epoca con rimandi espliciti al razzismo pseudoscientifico, e riportavano informazioni non presenti nelle fonti antiche su visioni primitivistiche dell’Africa da parte dei Romani”. Questi stereotipi sull’Africa “compaiono anche in libri popolari come la ‘Storia di Roma’ di Montanelli”, precisa. Inoltre, afferma Giusti, anche sulla figura di Giulio Cesare c’è l’ombra lunga del fascismo: “C’è una storia di appropriazione dei Cesari e di Giulio Cesare, non solo in Italia ma anche in America, come figure patriarcali, machiste che non corrisponde alla figura che emerge dalle fonti antiche e non è corretta nei termini della sessualità vissuta dei Romani”. Questa deriva da “una scelta selettiva della storia: Augusto ha promulgato delle leggi ferree sulla ‘famiglia tradizionale’ in cui il fascismo si è rivisto e che ha amplificato mettendo a tacere altri aspetti”, spiega Giusti. Un lascito non cancellato del tutto: d’altronde, a scuola “non si parla delle poesie di Catullo in cui si attacca la sessualità di Cesare e si mette spesso a confronto la bisessualità dei Greci con l’atteggiamento augusteo alla sessualità”, conclude.