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Nota tiktoker Om Fahad uccisa a Baghdad davanti casa

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Un uomo su una moto ha ucciso la nota influencer Om Fahad davanti casa a Baghdad, hanno riferito funzionari della sicurezza irachena, citati dal Guardian. L’aggressore, ancora non identificato ha sparato a Om Fahad che si trovava in macchina nel quartiere di Zayouna ieri, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, che ha chiesto l’anonimato perché non autorizzato a parlare con i media.

Un’altra fonte della sicurezza ha raccontato che l’aggressore avrebbe fatto finta di consegnare del cibo. Om Fahad era diventata famosa per i suoi video spensierati su TikTok in cui ballava musica irachena indossando abiti aderenti. Nel febbraio dello scorso anno, un tribunale l’aveva condannata a sei mesi di carcere per aver condiviso “video contenenti discorsi indecenti che minano il pudore e la moralità pubblica”. Il governo ha lanciato una campagna nel 2023 per ripulire i contenuti dei social media che, a suo dire, violavano “la morale e le tradizioni” irachene. È stato istituito un comitato del ministero degli Interni per setacciare TikTok, YouTube e altre piattaforme alla ricerca di filmati ritenuti offensivi. Secondo le autorità, diversi influencer sono stati arrestati. Le libertà civili rimangono tuttora limitate per le donne i Iraq. Nel 2018, la modella e influencer Tara Fares fu uccisa da alcuni uomini a Baghdad.

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Kiev, nonostante l’escalation per ora non serve evacuare Kharkiv

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“Nonostante l’escalation al confine, non ci sono motivi per evacuare la città di Kharkiv in questo momento. Sappiamo chiaramente quali forze il nemico sta utilizzando nel nord del nostro territorio regionale. Certo, gli attacchi russi possono aumentare, ma al momento non c’è alcuna minaccia per il centro regionale”. Lo ha dichiarato ai media nazionali il governatore della regione dell’Ucraina orientale Oleg Sinegubov.

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Baidu, la direttrice delle pubbliche relazioni e i suoi video choc per i dipendenti bullizzati

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Nel mondo delle pubbliche relazioni, dove il carisma e la gentilezza sono spesso percepiti come requisiti fondamentali, Qu Jing, ex direttore delle public relations di Baidu, ha scosso l’opinione pubblica con dichiarazioni che delineano un panorama lavorativo spietato. Le sue parole, trasmesse tramite una serie di video su Douyin, il TikTok cinese, hanno evidenziato un approccio impietoso alla gestione del personale: nessun fine settimana libero, lavoro fino a 50 giorni consecutivi e minacce di licenziamento permanente.

Queste dichiarazioni hanno rapidamente acceso un dibattito acceso sui social media cinesi, dove molti hanno criticato il suo stile di leadership, considerandolo inappropriato e dannoso per l’immagine aziendale. Nonostante il tentativo di ritrattare e scusarsi per le affermazioni fatte, il danno era già stato arrecato, culminando in un calo del 2% delle azioni di Baidu in borsa e nella successiva rimozione di Qu Jing dal suo ruolo.

Il caso di Qu Jing non è un’eccezione nel settore tecnologico cinese, noto per la sua “cultura del lavoro” estremamente esigente. Infatti, la famosa pratica “996” – lavorare dalle 9 del mattino alle 9 di sera, sei giorni alla settimana – è stata pubblicamente elogiata da figure di spicco come Jack Ma di Alibaba, che la descrive come una “benedizione” per il settore hi-tech.

Tuttavia, la reazione pubblica alle parole di Qu Jing sottolinea una crescente sensibilità alle questioni di equilibrio tra vita lavorativa e personale e ai diritti dei lavoratori in Cina. Mentre il settore continua a prosperare sull’innovazione e il duro lavoro, i metodi di gestione del personale e la cultura aziendale stanno diventando sempre più il centro del dibattito pubblico.

La vicenda ha evidenziato la tensione tra le aspettative tradizionali di sacrificio personale e le richieste di un ambiente di lavoro più umano e rispettoso dei diritti individuali. In un’epoca in cui l’opinione pubblica può influenzare significativamente la percezione e il successo di un’azienda, Baidu e altre compagnie tecnologiche potrebbero dover riconsiderare non solo come motivano e gestiscono il loro personale, ma anche come comunicano i loro valori al mondo esterno.

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L’Onu rilancia l’adesione della Palestina, ira Israele

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L’Onu rilancia la membership piena della Palestina e scatena l’ira di Israele. L’Assemblea Generale ha adottato a maggioranza dei due terzi una risoluzione che migliora lo status palestinese garantendogli diversi diritti aggiuntivi, ma non quello di voto. “La Palestina è qualificata per diventare membro a pieno titolo delle Nazioni Unite in conformità con l’articolo 4 della Carta”, si legge nel testo, che invita il Consiglio di Sicurezza a “riconsiderare favorevolmente la questione”.

Il via libera del Cds (dove gli Usa il mese scorso hanno posto il veto) è infatti condizione necessaria per un’eventuale approvazione piena da parte dell’Assemblea. Ma la risoluzione approvata prevede comunque alcuni privilegi aggiuntivi per la Palestina, ad esempio quello di essere seduti tra gli Stati membri in ordine alfabetico, oppure di presentare proposte, emendamenti e sollevare mozioni procedurali in Assemblea (non concessi all’altro Stato osservatore non membro, la Santa Sede, né all’Unione Europea).

I palestinesi non avranno invece il diritto di voto, né potranno presentare la propria candidatura per i principali organi Onu come il Consiglio di Sicurezza, il Consiglio Economico e Sociale (Ecosoc) o il Consiglio per i Diritti Umani. La risoluzione è stata approvata a larghissima maggioranza, con 143 sì, 9 no e 25 astensioni, tra cui l’Italia e altri Paesi europei come Germania, Gran Bretagna, Albania, Bulgaria, Austria, Croazia, Finlandia, Olanda e Svezia. Mentre i nove che hanno votato contro sono Stati Uniti, Israele, Ungheria, Repubblica Ceca, Argentina, Palau, Nauru, Micronesia, Papua Nuova Guinea. Il ministro degli Esteri dello Stato ebraico Israel Katz ha bollato la mossa come una “decisione assurda”: “Il messaggio che l’Onu manda alla nostra regione in sofferenza è che la violenza paga”, ha tuonato, parlando di “un premio ai terroristi di Hamas”. L’ambasciatore Gilad Erdan ha rincarato la dose sottolineando che “questo giorno rimarrà ricordato nell’infamia. Avete aperto le Nazioni Unite ai nazisti moderni”, ha denunciato, parlando di uno “Stato terrorista palestinese che sarebbe guidato dall’Hitler dei nostri tempi”.

“State facendo a pezzi la Carta Onu con le vostre mani”, ha detto ai Paesi che hanno votato a favore, passando simbolicamente alcune pagine del documento in un tritacarte. Gli Stati Uniti, invitati da Tel Aviv a fermare immediatamente i finanziamenti all’organizzazione internazionale, hanno spiegato che il loro voto contrario “non riflette l’opposizione allo Stato palestinese”. “Siamo stati molto chiari nel sostenerlo e nel cercare di portarlo avanti in modo significativo – ha affermato l’ambasciatore Robert Wood -. Si tratta invece di un riconoscimento del fatto che la statualità potrà derivare soltanto da un processo con trattative dirette tra le parti. Resta la nostra opinione che le misure unilaterali alle Nazioni Unite e sul campo non porteranno avanti questo obiettivo”.

Anche l’Italia, come ha sottolineato il rappresentante permanente, l’ambasciatore Maurizio Massari, “condivide l’obiettivo di una pace globale e duratura che potrà essere raggiunta solo sulla base di una soluzione a due Stati”, ma ritiene che “tale risultato debba essere raggiunto attraverso negoziati diretti tra le parti”. “Dubitiamo che l’approvazione della risoluzione odierna contribuirà all’obiettivo di una soluzione duratura al conflitto. Per questo motivo abbiamo deciso di astenerci”, ha aggiunto Massari spiegando la posizione italiana. Il delegato palestinese Ryad Mansour, da parte sua, ha affermato che “votare per l’esistenza della Palestina non è contro nessuno Stato, ma è un investimento nella pace”. “La nostra bandiera sventola alta e orgogliosa in tutto il mondo – ha aggiunto – ed è diventata un simbolo di chi crede nella libertà”.

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