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Cronache

Uccise moglie malata, i giudici considerano l’altruismo

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featured, Stupro di gruppo, 6 anni ,calciatore, Portanova

Il 14 aprile 2021 uccise la moglie malata terminale, Laura Amidei, dopo anni di accudimento e solitudine, premendole un cuscino sul volto mentre stava dormendo. Franco Cioni, 74 anni, a novembre è stato condannato a sei anni e due mesi, una pena lieve – considerando l’accusa di omicidio volontario – ma di cui oggi si conoscono le motivazioni: i giudici hanno concesso l’attenuante dei motivi morali e sociali tenuto conto del contesto specifico, ovvero dell'”altruismo” di Cioni, emerso da diverse testimonianze, e del fatto che un gesto come il suo “riflette un sentire sociale” che ormai lo considera “manifestazione di uno stato affettivo di amore pietoso”. Nel giudicare il caso di Franco Cioni, difeso dall’avvocato Simone Bonfante, per la Corte d’Assise di Modena non si può considerare il gesto isolatamente “rispetto a tutta la condotta anteriore osservata dall’imputato nella dedizione, nella vicinanza e nel sostegno umano assicurato alla propria consorte per tutta la sua lunga malattia”. Inoltre va tenuto conto che l’omicidio avvenne con “modalità consone allo scopo”, cioè con un cuscino e mentre la donna stava dormendo. Di qui l’attenuante dei motivi morali e sociali.

“L’altruismo” di Cioni, testimoniato dal medico che aveva in cura la donna, dalla sorella della vittima e dai conoscenti, sottolinea la Corte, “riflette un sentire sociale ormai sempre più presente in larghi settori della società civile che hanno vissuto o sono chiamati a vivere la drammaticità del fine vita di loro congiunti all’esito di malattie irreversibili, sempre più propensi a riconoscere nella condotta osservata dall’imputato la manifestazione di uno stato affettivo di amore pietoso che trova la propria legittimazione interiore nella lunga e assoluta compartecipazione emotiva per le sofferenze della vittima, ormai deprivata di ogni condizione di vita relazione per l’incedere della malattia e l’ormai prossimo esito letale”. I giudici (presidente Pasquale Liccardo) analizzano tutto il contesto in cui è maturato l’omicidio, la dinamica e le gravissime condizioni di salute della donna e ricordano che per la concessione di questa attenuante vanno valutati gli orientamenti espressi dalla collettività. “Si tratta a ben vedere – ragionano – di un contesto specifico per circostanze storiche”, come quelle ricostruite, “nel quale si riflette una diffusa coscienza sociale che si interroga sulla drammaticità di un gesto assunto in condizioni di assoluta solitudine personale dal coniuge legato da un incondizionato rapporto d’amore”.

Fin dal primo momento Cioni ha confessato di aver compiuto il gesto mosso da un sentimento di profonda compassione nei confronti della donna, agli ultimi stadi: “Non potevo più vederla così”, ha spiegato. Era stata la stessa moglie, in passato e agli esordi della malattia, a dirgli che non voleva essere portata in una casa di riposo. I due avevano vissuto insieme 45 anni e Cioni, hanno ricostruito le testimonianze raccolte, aveva assistito Amidei dal primo manifestarsi della malattia nel 2016 “con assoluta costanza e inesauribile dedizione”, con presenza giornaliera in ospedale e poi in casa, al limite delle proprie forze. La coscienza sociale citata dai giudici “ha via via interrogato la giurisprudenza su queste tematiche e sulle tematiche confinanti del fine vita”. Chi è chiamato a interpretare le pronunce, “a fronte della maturazione in ampi settori della società civile di una diversa sensibilità etico-sociale quanto all’esigibilità di condotte volte all’incondizionata accettazione di una sofferenza inesprimibile” deve essere in grado di cogliere “i profili di rilevanza e compatibilità costituzionale laddove miri alla salvaguardia di un diritto coerente con un sentimento non pregiudizialmente ancorato a apriorismi ideologici o di principio”, sul presupposto che riconoscere l’attenuante non mira a superare la condotta illecita, ma a consentire un’articolazione motivata e coerente della pena.

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Toti e gli altri: tutti i nomi e le accuse ai 10 indagati raggiunti da misure cautelari del gip di Genova

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Sono dieci gli indagati, raggiunti da provvedimenti cautelari di diverso tipo, nell’ inchiesta della Dda di Genova che ha travolto il governatore della Liguria Giovanni Toti. Si tratta di persone del suo stretto entourage, imprenditori, e anche anelli di collegamento con Cosa Nostra. Nei loro confronti, sono state emesse misure cautelari e reali dal gip del Tribunale del capoluogo ligure, eseguite dalla Guardia di Finanza, in base a diverse ipotesi di reato. A richiederle è stata la Procura di Genova, lo scorso 27 dicembre. Ecco quanto risulta dalla nota di oggi della Procura genovese.

GIOVANNI TOTI – Il presidente della Regione Liguria è accusato di corruzione per l’esercizio della funzione e per atti contrari ai doveri d’ufficio, per lui la misura cautelare degli arresti domiciliari.

PAOLO EMILIO SIGNORINI – Ex presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale, è accusato di corruzione per l’esercizio della funzione e per atti contrari ai doveri d’ufficio. A suo carico è stata disposta la misura restrittiva più severa, quella della custodia cautelare in carcere.

ALDO SPINELLI – Imprenditore nel settore logistico ed immobiliare, è accusato di corruzione nei confronti di Paolo Emilio Signorini e del presidente della Regione Liguria. Arresti domiciliari anche per lui.

ROBERTO SPINELLI – Figlio di Aldo, e come lui è imprenditore nel settore logistico ed immobiliare, è accusato di corruzione nei confronti del Presidente della Regione Liguria. Gli è stata applicata la sola misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare l’attività imprenditoriale e professionale.

MAURO VIANELLO – Imprenditore operante nell’ambito del Porto di Genova, è accusato di corruzione nei confronti di Paolo Emilio Signorini, anche a lui è stata applicata la sola misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare l’attività imprenditoriale e professionale.

FRANCESCO MONCADA – Consigliere di amministrazione di Esselunga, è accusato di corruzione nei confronti del Presidente della Regione Liguria. Come per Spinelli jr e Vianello, a suo carico la sola misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare l’attività imprenditoriale e professionale.

MATTEO COZZANI – Capo di gabinetto del presidente della Regione Liguria, è accusato di corruzione elettorale, con l’aggravante mafiosa di aver agito in favore di Cosa Nostra, in particolare a vantaggio del clan Cammarata del ‘mandamento’ di Riesi (Caltanissetta) con proiezione nella città di Genova, è accusato anche di corruzione per l’esercizio della funzione. Per lui gli arresti domiciliari.

ARTURO ANGELO TESTA e ITALO MAURIZIO TESTA – I due fratelli sono accusati di corruzione elettorale, aggravata dal fine di aver agevolato Cosa Nostra, entrambi sono sottoposti all’obbligo di dimora nel Comune di Boltiere (Bergamo). Alle regionali in Liguria del 20 e 21 settembre 2020, avrebbero promesso posti di lavoro per far convogliare i voti degli elettori, appartenenti alla comunità riesina di Genova e comunque siciliani, verso la lista ‘Cambiamo con Toti Presidente’ e verso il candidato Stefano Anzalone, indagato ma non colpito da ‘misure’. Iscritti a Forza Italia, sono stati sospesi dal partito. Arturo Testa lavora al Consiglio regionale della Lombardia come collaboratore del gruppo di FI.

VENANZIO MAURICI – Ex sindacalista della Cgil in pensione, è accusato di corruzione elettorale, aggravata dal fine di aver agevolato Cosa Nostra, in particolare il clan Cammarata di Riesi con proiezione su Genova, è destinatario dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. La Cgil lo ha sospeso. SEQUESTRO – Nei confronti di Signorini e di Spinelli padre e figlio, il gip ha disposto il sequestro preventivo di disponibilità finanziarie e beni per un importo complessivo di oltre 570 mila euro, ritenuti profitto dei reati di corruzione contestati.

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Sequestrati 48 milioni di euro falsi, 7 fermi a Napoli

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Non è mai stata sfiorata dal senso di colpa che invece frenò ‘la banda degli onesti’ di Totò, la cricca guidata dall’espertissimo falsario 70enne Alfredo Muoio, in grado di stampare senza sosta banconote da 50 euro perfettamente contraffatte. Il nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli ha scoperto un vero tesoro di euro falsi: ben 48 milioni, in un capannone del quartiere Ponticelli, dove gli imponenti macchinari off-set, provenienti dall’hinterland, precisamente da Casavatore, erano stati trasferiti di recente. Il blitz delle fiamme gialle, coordinato dalla Procura di Napoli Nord, è scattato all’alba. Sette, alla fine, le persone sottoposte a fermo dai pubblici ministeri.

Oltre al capobanda, Alfredo Muoio, sono stati presi i suoi due abili falsari e il vivandiere, che si occupava dei loro bisogni e che teneva in piedi i contatti con Muoio, visto che gli instancabili Alessandro Aprea e Ciro Di Mauro da quel capannone non si spostavano quasi mai. La qualità delle banconote ha indotto il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria di Roma a ritenere che fossero riconducibili all’ormai notissimo “NapoliGroup”, cartello tra i più efficienti al mondo, che opera anche in modalità itinerante tra Caserta e Napoli. E infatti, il loro prezzo di smercio è altissimo: 20 euro veri per ogni pezzo da 50 falso, come dimostrato di recente.

Da aprile scorso i due falsari hanno vissuto praticamente in isolamento per non interrompere la produzione: nel capannone c’erano circa 80.000 fogli ritraenti ciascuno 12 banconote da 50 euro del tipo Europa che dovevano essere solo tagliati per apporre la banda verticale argentata. Muoio è una vecchia conoscenza delle forze dell’ordine: tipografo di professione e titolare della ‘Muoiocartedagioco’, si è sempre dedicato, fin dai tempi delle lire, alla contraffazione monetaria. Più volte ha allestito stamperie clandestine e nel 2006 venne arrestato in flagranza in un capannone di Castel Volturno (Caserta) mentre stampava banconote false da 50 euro.

Non ha mai smesso di dedicarsi alla produzione e commercializzazione di valuta contraffatta e a lui sono riconducibili le riproduzioni più insidiose sia per quanto riguarda il taglio da 100, sia per quelle da 50 euro, peraltro sequestrate in tutta Europa. Dopo il primo arresto, però, il falsario ha deciso di variare il suo modus operandi: ha deciso di non esporsi più in prima persona ma di delegare la produzione a suoi “fedelissimi”, rimanendo sempre – almeno fisicamente – distaccato e distante dal laboratorio clandestino. Espediente che però non ha impedito ai finanzieri di notificargli un fermo emesso dall’ufficio inquirente coordinato dal procuratore Maria Antonietta Troncone. Fermati dalle Fiamme gialle anche i tre autotrasportatori grazie ai quali è stato possibile trasferire i macchinari dal deposito dell’azienda di Muoio, a Casavatore, al capannone preso in affitto da una società di bonifiche a Napoli, del tutto estranea alle contestazioni.

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Più di 1 italiano su 4 a rischio povertà o esclusione

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Diminuiscono gli italiani a rischio povertà, ma aumenta la percentuale di coloro che è in grave difficoltà. In tutto si tratta di quasi 14 milioni di persone, oltre un italiano su quattro. La fotografia arriva dall’Istat che complessivamente rileva nel 2023 una diminuzione del numero di individui a rischio, grazie soprattutto ai sostegni pubblici, dall’assegno unico per i figli ai bonus energetici attivi lo scorso anno, fino alla revisione della tassazione (a partire dal taglio del cuneo). Guardando in dettaglio i dati dell’istituto emerge che il 22,8% della popolazione italiana è a rischio di povertà o esclusione sociale. Il valore è appunto in calo rispetto al 24,4% del 2022 ed è il risultato di una riduzione della quota di popolazione a rischio, che si attesta al 18,9% (dal 20,1% dell’anno precedente), pari a poco più di 11 milioni di persone, e di un contemporaneo lieve aumento della popolazione in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (4,7% rispetto al 4,5%), pari a quasi 2,8 milioni di individui. Rimane, anzi si accentua, la differenza tra Nord e Sud del Paese.

Rispetto al 2022 si osserva un aumento delle condizioni di grave deprivazione in particolare al Centro e al Sud e nelle Isole, mentre la riduzione della popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale è particolarmente marcata al Nord. Il Nord-est si conferma peraltro l’area con la minore incidenza di rischio di povertà (11%). La dicotomia è anche tra italiani e non: le famiglie con solo italiani godono infatti della riduzione del rischio, mentre i nuclei con almeno un cittadino straniero, di per sé già più esposti, soffrono un aumento (40,1% rispetto al 39,6% del 2022). Infine, con riferimento invece al 2022, l’Istat ribadisce come l’inflazione abbia di fatto ‘mangiato’ gli stipendi e le pensioni.

Il reddito medio delle famiglie italiane è stato pari due anni fa a 35.995 euro, in deciso aumento in termini nominali (+6,5%), ma con una netta flessione in termini reali (-2,1%). Sempre nel 2022, il reddito totale delle famiglie più abbienti è stato 5,3 volte quello delle famiglie più povere, in questo caso in lieve calo rispetto alle 5,6 volte del 2021. Le associazioni dei consumatori denunciano dati “non degni di un Paese civile”, come afferma Assoutenti, addirittura “da terzo mondo”, secondo l’Unc. Mentre la Cgil parla di “un’emergenza che deve essere affrontata urgentemente”.

Del resto secondo l’Ocse, se negli ultimi mesi dello scorso anno i redditi familiari dei Pasi membri sono in media aumentati dello 0,5%, l’Italia si è mossa in controtendenza con un calo nello stesso periodo dello 0,4%. Stando all’ultima indagine di Confcommercio e Censis, l’economia italiana è in salute, ma sulle famiglie pesano l’incertezza e un po’ di paura, che portano a peggiorare le aspettative future e a ridurre le intenzioni di acquisto. Secondo l’associazione dei commercianti, “non siamo affatto fuori dall’alone di rischio di tornare a tassi di variazione dell’attività economica attorno allo zero virgola niente, come nei vent’anni prepandemici, quelli del declino”.

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