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Salute

Sta nascendo in Italia la prima cellula virtuale

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Prende forma giorno per giorno al computer, la cellula virtuale destinata a diventare il banco di prova per individuare le terapie ottimali per ciascun individuo e fare così un nuovo passo decisivo verso la medicina personalizzata. E’ un progetto, apripista nel mondo, condotto all’Università Bocconi dal gruppo di Francesca Buffa e il prototipo al momento è quello di una cellula del tumore del seno. Intelligenza artificiale e biologia sintetica sono gli strumenti che il gruppo della Bocconi utilizza per modellare la cellula virtuale e, soprattutto, per darle un corredo genetico il più possibile vicino a quello di un individuo reale. “Possiamo considerare la cellula virtuale che stiamo progettando al computer come un simulatore di volo, nel senso che permetterà di fare prove tecniche per capire quali farmaci potrebbero funzionare e quali invece hanno poca probabilità di funzionare su un determinato paziente. Ci permette di focalizzare la ricerca e l’implementazione clinica su ciò che ha più possibilità di funzionare”, dice la ricercatrice.

Comincia dalla fisica teorica la lunga strada che ha portato Francesca Buffa alla cellula virtuale. Dopo il passaggio alla fisica computazionale, “mi sono guardata intorno, dopodiché ho assistito alla prima pubblicazione del sequenziamento del genoma umano e mi sono buttata nella biologia”. Per 25 anni ha lavorato all’Università di Oxford, con la quale continua a collaborare, e adesso è in Italia, nel nuovo dipartimento di Scienze dell’Informazione dell’Università Bocconi di Milano. Con il suo gruppo sta lavorando in due direzioni: “da un lato vogliamo costruire cellule virtuali e dall’altro cerchiamo di mettere insieme dati da tecniche diverse per avere una visione più concreta della realtà biologica. In sostanza vogliamo integrare i dati di discipline come genomica, proteomica e trascrittomica per capire meglio malattie come tumori e obesità, e poi codificare queste informazioni in modelli utili”. Forte anche di un finanziamento importante da parte dell’European Research Council (Erc), il gruppo di Francesca Buffa seleziona, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, la grandissima quantità di dati frutto delle discipline ‘omiche’ per “darla in pasto ai simulatori”, fino a ottenere i più fedeli a ciascuna malattia, e in futuro, a ciascun paziente. Tutto questo lavoro sta definendo gradualmente la fisionomia della cellula virtuale. “Il prototipo c’è, ma il modello non è ancora abbastanza grande”, osserva la ricercatrice.

C’è ancora molto fa dare, con dati da selezionare e inserire per arricchire la cellula. Difficile dire quanto tempo sarà necessario per completarla: “al momento e’ un prototipo che ci consente di capire il problema, ma non è ancora utilizzabile”. L’obiettivo è introdurre “un numero di variabili realistico”, e quale sia questo numero “lo stiamo scoprendo con test di validazione del modello su dati reali”. D’altro canto, prosegue, “alcune malattie dipendono solo da un gene, ma altre no, come accade per i tumori. Al momento abbiamo un network di un centinaio di geni e in alcuni casi specifici cominciamo ad avere risposte realistiche”. Per creare un modello realistico “servono molti dati”, aggiunge Francesca Buffa. Quando i dati caricati all’interno della cellula saranno sufficienti a passare i test di validazione, allora si potra’ decidere se è il momento giusto per utilizzarla nella clinica”. Prima di questo passo sarà, naturalmente, necessaria una sperimentazione clinica per poter definire sensibilità e specificità. “Ma come un simulatore di volo – conclude – ci sarà un’evoluzione, perché la cellula potrà e dovrà essere aggiornata e arricchita con nuovi dati e nuove conoscenze acquisite per renderla sempre più utile”.

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Neonata con rara malformazione nata a Salerno e gestita con competenza dai medici

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Parto eccezionale all’ospedale di Salerno. Una donna di 38 anni è stata dimessa dal Reparto di Gravidanza a Rischio dell’Aou San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, diretto dal dottor Mario Polichetti, dopo aver dato alla luce una neonata con una rarissima malformazione. La paziente era stata trasferita dall’ospedale di Polla al Ruggi dove ha partorito sua figlia che sta bene anche se è tuttora ricoverata nel reparto di Neonatologia, diretto dalla dottoressa Graziella Corbo, per ulteriori controlli. La neonata, di quasi 3 chili, è portatrice di una condizione genetica molto rara, denominata ‘Situs Inversus’, ovvero un collocamento anomalo degli organi del torace e dell’addome con inversione di posizione, rispetto alla loro sede usuale.

La piccola paziente, ha infatti il cuore, lo stomaco e la colecisti a destra ed una malformazione della vena cava, vicariata dalla vena emiazygos. “Il parto in questione – spiega Polichetti – è un evento davvero straordinario e deve essere gestito con estrema competenza, per evitare eventuali complicazioni, ma siamo fieri ed orgogliosi che si sia concluso nel migliore dei modi”.

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Salute

Una vita più lunga di 5 anni con le giuste abitudini

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Quando si tratta di longevità, il patrimonio genetico è importante. Lo stile di vita, però, lo è altrettanto, ed è in grado di compensare gli svantaggi derivanti da una cattiva predisposizione genetica. Anche le persone che hanno un profilo genetico che le espone a un maggior rischio di morte prematura, infatti, possono ribaltare la sorte e guadagnare oltre 5 anni di vita aderendo a stili di vita sani: non fumare, evitare l’alcol, avere una corretta alimentazione, svolgere attività fisica. A questo risultato è giunto uno studio internazionale pubblicato sulla rivista BMJ Evidence- Based Medicine. La ricerca ha coinvolto oltre 350 mila persone, classificandole sulla base del loro profilo genetico e dello stile di vita.

La prima scoperta a cui sono giunti i ricercatori è che le abitudini hanno un peso maggiore della genetica sull’aspettativa di vita: le persone con stili di vita dannosi avevano un rischio di morte prematura (prima dei 75 anni) del 78% più alto rispetto a quelli con stili di vita sani. La genetica, invece, aumenta solo del 21% le probabilità di morte precoce. Le cose si complicano notevolmente quando una persona con profilo genetico negativo ha stili di vita non sani: il tal caso il rischio di morire prima di compiere i 75 è più che doppio. Ciò che è più importante, però, è che quando una persona con una cattiva genetica aderisce a stili di vita sani il suo rischio si riduce del 54%.

Tradotto in anni, ciò equivale a 5,2 anni di vita guadagnati. “Le politiche di sanità pubblica per favorire stili di vita sani potrebbero costituire un potente complemento all’assistenza sanitaria e diminuire l’impatto dei fattori genetici sulla durata della vita umana”, scrivono i ricercatori. Nelle stesse ore in cui veniva pubblicato lo studio, un’altra ricerca – in tal caso condotta dall’Ufficio europeo dell’Oms – ha confermato che, per quel che riguarda gli stili di vita, la pandemia ha avuto un effetto distruttivo, soprattutto nei bambini.

La ricerca ha mostrato che, durante la pandemia, per il 35% dei piccoli tra 7-9 anni è aumentato il tempo trascorso a guardare la Tv, a usare videogiochi o social media; per il 28% si è ridotto il tempo trascorso nelle attività all’aperto. È inoltre raddoppiata, passando dall’8 al 16%, la percentuale di bambini percepiti in sovrappeso dai genitori. Per alcuni aspetti, le cose sono andate anche peggio in Italia, che è stato uno dei Paesi in cui si è più ridotto il tempo trascorso fuori (-40%) e si è registrato un più ampio aumento del sovrappeso percepito dai genitori, passato dal 10 al 25%. È anche calato il consumo di frutta e verdura e aumentato quello di snack dolci e salati. “Non possiamo permetterci di ignorare queste tendenze: nella nostra Regione, 1 bambino su 3 è in sovrappeso o obeso e già il consumo di frutta e verdura è basso”, ha detto Kremlin Wickramasinghe, esperto dell’Oms Europa. “Spero che questo rapporto faccia scattare l’allarme”.

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Salute

Borotalco al cancro, J&J propone 6,5 mld di dollari per chiudere le cause sul cancro

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Il colosso farmaceutico americano Johnson & Johnson ha presentato un piano per porre fine alle cause civili sul talco accusato di provocare il cancro in base al quale è disposto a pagare circa 6,5 ;;miliardi di dollari. “Questo piano è il culmine della nostra strategia di risoluzione consensuale annunciata in ottobre”, ha spiegato Erik Haas, vicepresidente degli affari legali di J&J, citato in un comunicato stampa. “Da quella data, il gruppo ha lavorato con gli avvocati che rappresentano la stragrande maggioranza dei ricorrenti per trovare una soluzione a questa controversia, che anticipiamo con questo piano”, ha detto. Secondo il piano, J&J ha accettato di pagare circa 6,475 miliardi di dollari in venticinque anni per reclami relativi a problemi ovarici (99,75% dei reclami attuali).

Gli altri disturbi riguardano il mesotelioma, soprannominato ‘cancro da amianto’, e vengono trattati separatamente. Il piano proposto prevede un periodo di tre mesi durante il quale i ricorrenti saranno informati della sua esistenza. Sarà convalidato se il 75% lo accetterà. Il gruppo precisa che gli avvocati dei ricorrenti che hanno collaborato al suo sviluppo “lo appoggiano”. Il talco è accusato di contenere amianto e di provocare il cancro alle ovaie. Cosa che l’azienda continua a smentire, anche se l’ha ritirato dal mercato nordamericano. Haas ha denunciato in questo senso la “distorsione degli studi scientifici”. Una sintesi degli studi pubblicati nel gennaio 2020 e riguardanti 250.000 donne negli Stati Uniti non ha trovato un legame statistico tra l’uso del talco sui genitali e il rischio di cancro alle ovaie.

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