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Medici, non si riducono liste di attesa tagliando cure

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Un decreto che intervenga sul problema delle liste d’attesa nella sanità pubblica per ridurne i tempi e che potrebbe contenere anche indicazioni sulle prescrizioni mediche. E’ il provvedimento per combattere i ritardi nell’erogazione di visite e cure, a cui sta lavorando il governo e che sarà presentato entro due settimane come ha annunciato giorni fa il ministro della Salute Orazio Schillaci. Ma che già solleva critiche da parte dei medici, con il Sindacato medici italiani che teme limitazioni alle prescrizioni. Per Pina Onotri, segretario generale dello Smi “siamo di fronte non tanto all’appropriatezza prescrittiva, come viene sbandierato, bensì all’ulteriore tentativo di mettere tanti lacci e laccioli alla libera determinazione del medico di poter prescrivere gli esami in scienza e coscienza, si sta puntando alla riduzione tout court delle prestazioni mediche. E’ il modo peggiore di agire: si vuole trovare la soluzione delle liste di attesa tagliando i servizi e facendo pressioni improprie sui medici. Forse si vogliono abbattere le liste di attesa non curando più i cittadini?”, si chiede Onotri.

“Si prevede una stretta sulle prescrizioni effettuate dai medici di medicina generale per sottoporli all’appropriatezza come avviene per la farmaceutica, – afferma – ma mentre si esercita una forte pressione sui medici, si concede ai farmacisti di prescrivere analisi a carico del Ssn in assenza di una qualsiasi indicazione clinica da parte di un medico”. Al momento “non abbiamo un’idea chiara su come questo decreto verrà configurato” – rileva Claudio Cricelli, presidente emerito della Società di medicina generale – Noi soprattutto come società scientifica dobbiamo perseguire l’appropriatezza, tutto quello che viene fatto a beneficio del paziente deve avere due caratteristiche ovvero essere utile per il paziente e rispondere ai criteri scientifici, una cosa senza l’altra non è possibile. Se un decreto prevede che si pongano delle regole, queste regole devono derivare da atti che il ministero governa già: raccomandazioni, linee guida, buone pratiche cliniche.

Non ci sono scorciatoie rispetto a questo”. Intanto la situazione delle liste d’attesa non mostra segni di miglioramento, secondo un sondaggio di Altroconsumo: tempi troppo lunghi, strutture ospedaliere lontane e difficoltà con Cup e agende di prenotazione bloccate. Su oltre 1.100 cittadini intervistati in 950 hanno avuto difficoltà nel prenotare una visita o un esame nell’ultimo anno. Per il sindacato Cimo-Fesmed, “affrontare, in sanità, la questione tempi di attesa è un po’ come approcciare un paziente con una patologia multiorgano che necessita di terapie specifiche, ma che invece viene curato con placebo. Le cause le conosciamo tutti: la ridotta offerta sanitaria, la carenza di risorse umane, l’inappropriatezza delle prestazioni, l’approccio demagogico verso la libera professione del medico”, afferma il presidente Guido Quici, evidenziando che “occorre una terapia molto più articolata che aggredisca contemporaneamente più cause”.

Sul fronte del Pnrr la Fondazione Gimbe rileva che sono state rispettate tutte le scadenze europee della Missione Salute al 31 marzo scorso ma segnala difficoltà nell’assistenza domiciliare per alcune regioni del Sud. “Raggiunti gli obiettivi per l’assistenza domiciliare integrata (Adi) negli over 65 – spiega il presidente Nino Cartabellotta – i ritardi attuali sulle scadenze nazionali non sono particolarmente critici. Tuttavia, il raggiungimento degli obiettivi nazionali sull’Adi è condizionato da rilevanti differenze regionali, conseguenti sia al ‘punto di partenza’ delle Regioni del Mezzogiorno, sia alle loro capacità di recuperare il gap con l’avvio del Pnrr”. Il target intermedio per raggiungere l’obiettivo al 2026 di circa 1,5 milioni di over 65 in Adi, a fronte di una media nazionale del 101% che rappresenta la percentuale di incremento al 31 dicembre 2023, vede in testa la Provincia di Trento (235%), Umbria (206%), Puglia (145%). Risultati che compensano quelli di Sardegna (77%), Campania (62%) e, soprattutto, Sicilia che rimane fanalino di coda all’1%”.

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Procura impugna l’assoluzione di Salvini per Open Arms

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Arriva alla Cassazione il caso Open Arms che vede il leader della Lega Matteo Salvini imputato dei reati di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver negato, nel 2019, lo sbarco alla nave della ong spagnola e ai 147 migranti soccorsi in mare. Dopo l’assoluzione di dicembre scorso e il deposito delle motivazioni della sentenza, la Procura di Palermo ha scelto di ricorrere direttamente davanti ai supremi giudici, ‘saltando’ il giudizio di appello. La reazione del leader del Carroccio non si è fatta attendere. “Ho fatto più di trenta udienze, il Tribunale mi ha assolto perché il fatto non sussiste riconoscendo che difendere i confini non è un reato. Evidentemente qualcuno non si rassegna, andiamo avanti: non mi preoccupo”, ha detto, non nascondendo “un po’ di sorpresa, un po’ di rabbia e di incazzatura se uno ritiene di non aver compiuto nessun reato”.

“Su Open Arms non c’è alcuno scontro tra politica e magistratura, e infatti ringrazio il tribunale di Palermo e sottoscrivo tutte le 268 pagine che motivano la mia totale assoluzione, arrivata dopo decine di udienze e anni di approfondimenti”, ha rilevato il ministro. E’ un processo, ha aggiunto, “che nasce in Parlamento, è un processo politico perché le Sinistre che erano in maggioranza ai tempi del Conte 2 decisero che bloccare gli sbarchi era un reato mentre non lo era né prima né dopo”. Ma cosa ha spinto i pm di Palermo alla prassi inusuale del ricorso diretto in Cassazione? Secondo la Procura, in ballo non c’è la ricostruzione dei fatti contestati a Salvini, tutti riconosciuti dal tribunale che l’ha scagionato, ma il ragionamento giuridico sostenuto dal collegio che, interpretando erroneamente leggi e convenzioni internazionali, per i pm, ha negato che in capo all’Italia gravasse l’onere di assegnare alla nave della ong spagnola il porto sicuro (Pos).

Un assunto che si basava su una sbagliata lettura delle norme, a dire della Procura, che ha fatto venir meno prima il reato di rifiuto di atti d’ufficio, poi, a cascata, quello di sequestro di persona. La questione, dunque, sarebbe tutta di diritto, per cui una valutazione nel merito, fatta in appello, sarebbe superflua. Da qui l’impugnazione davanti agli Ermellini chiamati a decidere sulle eventuali violazioni di legge. Nel ricorso (tecnicamente si chiama ‘per saltum’) i pm sostengono dunque che l’assoluzione sarebbe viziata da violazioni di leggi. “Il Tribunale di Palermo, – si legge nell’impugnazione – ha accolto pienamente le prospettazioni del Pubblico Ministero sulla complessiva ricostruzione dei fatti, divergendo dalla tesi accusatoria solo con riguardo all’individuazione e interpretazione della normativa applicabile alla fattispecie”.

Nell’impugnazione i pm citano poi la decisione delle Sezioni Unite Civili della Cassazione del 18 febbraio 2025 che ha condannato il ministero dell’Interno per un caso analogo, quello della nave Diciotti, a cui pure fu negato lo sbarco. Anche allora, a causa del mancato rilascio del Pos che il ministero dell’Interno riteneva dovuto da altri Stati, l’imbarcazione rimase in acque territoriali, nei pressi di Catania, e i naufraghi non poterono raggiungere, per più giorni, la terraferma. “Nella pronuncia – scrive la Procura – si è sostanzialmente affermato che il negato sbarco, lungi dall’essere giustificabile alla luce delle procedure previste in tema di search and rescuе, non solo si pone in contrasto con la chiara normativa internazionale sul soccorso in mare che, comunque, si fonda sul generale e cogente obbligo di soccorso e sul dovere di collaborazione solidarietà tra Stati, ma soprattutto viola l’art. 13 della Costituzione e le altre norme sovranazionali che tutelano il medesimo bene giuridico”.

“Di conseguenza, si è affermato – continuano – che i migranti subirono indubbiamente un’arbitraria privazione della libertà personale e che, anzi, la decisione di merito, che non si era confrontata con tali disposizioni di rango superiore, doveva ritenersi priva di una vera e propria motivazione”.

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Il caso Osimhen esaspera i tifosi, striscione della Curva A: ignorante e pezzente, qui ha giocato Maradona

Osimhen non si trasferisce, il Galatasaray tentenna e Napoli esplode: durissimo striscione della Curva A contro il nigeriano. La trattativa è ferma.

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Victor Osimhen non è più un calciatore del Napoli solo sulla carta. Ma finché quella carta non sarà firmata, continuerà a pesare — e non poco — sulle spalle della società azzurra. Il suo passaggio al Galatasaray, ormai da settimane dato per imminente, è ancora bloccato. E intanto a Napoli è esplosa la rabbia. Perché nel frattempo il club non può reinvestire i 75 milioni richiesti per il suo cartellino, e la piazza è stanca, esasperata.

Una telenovela infinita

Il trasferimento dell’attaccante nigeriano, reduce da una stagione mostruosa in Turchia (35 gol in 39 partite, miglior marcatore straniero di sempre, campione nazionale e vincitore della Coppa di Turchia), è diventato una telenovela estiva che Napoli non vuole più vedere. Il nodo, come sempre, è economico. Il Napoli attende che il Galatasaray formalizzi l’offerta e trovi la quadra finanziaria, ma i continui rinvii e le incertezze stanno esasperando ambiente e tifoseria.

Curva A durissima: “Pezzente, qui ha giocato Maradona”

Il livello dello scontro ha ormai superato il punto di non ritorno. Nelle ultime ore la Curva A, cuore pulsante del tifo partenopeo, ha esposto uno striscione durissimo proprio all’esterno del Maschio Angioino, simbolo della città:
“Osimhen, l’ignoranza nella tua vita la farà sempre da padrona… pezzente, ricorda che qui ha giocato Maradona!”
Parole taglienti, che certificano una rottura insanabile tra il giocatore e la tifoseria. Un epilogo amaro per uno dei protagonisti dello scudetto più atteso della storia recente azzurra.

Il Napoli vuole chiudere

In questo scenario, Aurelio De Laurentiis attende solo l’occasione per liberarsi di un ingaggio pesantissimo e di un giocatore che non fa più parte del progetto. Il club ha già definito la strategia per reinvestire il ricavato della cessione: nuovi innesti, un attacco rifondato, e un Napoli che possa tornare a correre. Ma finché Osimhen resta un tesserato, tutto è fermo. E la città non ne può più.

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Nuova stretta dell’Ue contro Mosca, ‘colpita al cuore’

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Un colpo durissimo al Cremlino, un passo che segna un prima e un dopo nel percorso delle sanzioni contro la Russia. L’Ue, dopo un lungo negoziato, ha dato il via libera al diciottesimo pacchetto di misure contro Mosca. Lo ha fatto di prima mattina, ad una manciata di minuti dall’inizio del Consiglio Affari Generali, ultima riunione formale dei ministri dei 27 prima della pausa estiva. Nella notte il veto del leader sovranista della Slovacchia, Robert Fico, è caduto. La Commissione ha trovato la quadra per accontentare Bratislava sui potenziali effetti negativi delle sanzioni, che si abbattono potentemente su tutto il settore energetico nelle mani di Vladimir Putin. “Abbiamo colpito al cuore la macchina da guerra russa”, ha sottolineato Ursula von der Leyen.

Il diciottesimo pacchetto è tra i più pesanti messi in campo dall’Ue e segna un importante novità: coinvolge in maniera diretta anche i Paesi terzi. Il price cap messo al petrolio russo, infatti, colpisce le casse del Cremlino rendendo meno vantaggioso, per Stati come India e Cina, importarlo per poi rivenderlo agli Occidentali. A dispetto del passato, quando l’input sulle misure energetiche è partito dal G7, questa volta è stata Bruxelles a fare strada al Club dei Grandi. Il tetto al prezzo del petrolio “è una decisione autonoma presa al di fuori della coalizione del price cap. Ci aspettiamo che i partner del G7 si allineino per rendere la misura più efficace”, hanno spiegato fonti Ue.

L’obiettivo è portare a bordo anche gli Stati Uniti, con i quali tra l’altro le misure sull’energia sono state pensate. Il primo passo è stato della Gran Bretagna, che ha immediatamente annunciato l’allineamento al price cap europeo assieme a sanzioni contro gli 007 russi “per attività maligne di minacce e interferenze recenti contro il Regno e i suoi alleati”. Un dossier, quest’ultimo, sul quale la Nato e l’Ue sono intervenuti con nettezza, promettendo che gli attacchi ibridi non resteranno senza risposta. Con il cosiddetto tetto mobile, il prezzo del petrolio russo passa da 60 a 47,6 dollari a barile, ma è soggetto comunque a un meccanismo dinamico: è fissato in linea generale un prezzo del 15% in meno rispetto a quello medio di mercato del greggio dello zar. La nuova stretta europea smonta inoltre uno dei simboli della dipendenza energetica dell’Ue da Mosca, il Nord Stream 1 e 2. Con il bando totale al transito di gas i due mega-condotti sono destinati presto a diventare archeologia industriale. Parallelamente l’Ue ha prorogato l’obbligo di stoccaggio del gas al 90% delle capacità – ma con potenziali eccezioni – anche per il prossimo inverno. Duro il colpo alle banche russe: il divieto di transazione con gli istituti europei diventa totale, mentre la blacklist si arricchisce di 22 nuove entità per un totale di 45.

Il nuovo pacchetto aggiunge oltre cento imbarcazioni alla lista nera costruita appositamente per la flotta ombra grazie alla quale Putin ha mantenuto attivo il commercio di energia. La mossa di Bruxelles ha fatto andare su tutte le furie il Cremlino. “Le sanzioni sono illegali e ricadranno contro i loro promotori”, ha il portavoce Dmitry Peskov, assicurando che la Russia ha ormai acquisito una “certa immunità” dalle misure europee. Il diciottesimo pacchetto, tuttavia, potrebbe essere davvero incisivo. Per ottenere la luce verde dei 27 la presidente della Commissione ha sottoscritto un impegno scritto con la Slovacchia. Innanzitutto Bruxelles ha assicurato un paracadute legale a Bratislava in caso di ricorsi – e conseguenti, salatissime penali – delle aziende energetiche russe per la risoluzione anticipata dei contratti. Le garanzie Ue, ha spiegato il premier Fico, concerno anche “il prezzo del gas e la sua quantità, oltre alle tariffe di trasporto, nonché l’uso di fondi europei per compensare prezzi del gas eventualmente troppo elevati”. Le sanzioni sono state accolte dal plauso di tutti, Italia compresa. “Manteniamo alta la pressione affinché Mosca si impegni seriamente al tavolo negoziale”, ha sottolineato il ministro per gli Affari Ue Tommaso Foti.

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