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Politica

Le ombre di FI agitano il M5S, maggioranza in fibrillazione sul Mes

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Il voto unanime allo scostamento di bilancio, nell’era della politica nell’emergenza Covid, segna uno spartiacque. E non e’ detto che gli effetti siano tutti positivi per l’esecutivo. L’avvicinarsi di maggioranza e opposizioni, infatti, alimenta le speranze di chi non ha ancora rinunciato all’idea di un governissimo, innervosisce il M5S e pone il premier Giuseppe Conte in una navigazione a vista dagli orizzonti non definiti. Non a caso il capo del governo allontana, come ha sempre fatto, qualsiasi ipotesi di rimescolamento della maggioranza tornando a benedire il confronto con l’opposizione “nel rispetto dei ruoli”. Ma i punti di svolta in Parlamento, con l’ombra di un rimpasto che torna a concretizzarsi, da qui alle prossime settimane non mancheranno. Con, in cima, il bivio del Mes. Il dossier del fondo salva-Stati, con l’Ue che attende il si’ dell’Italia alla riforma del Mes al prossimo Ecofin, e’ tornato d’attualita’. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, incontrando il suo omologo francese Bruno Le Maire, ribadisce quello che ha spiegato ai ministri e che dira’ alle commissioni parlamentari, in un’informativa che potrebbe tenere lunedi’, prima dell’Ecofin ma dopo la conclusione del negoziato ancora in corso tra i Ue. “La riforma del Mes punta a rafforzare ulteriormente quella che e’ una sorta di assicurazione per gli Stati e consentire di avere un altro pilastro dell’Unione bancaria, come il common backstop che l’Italia ha sempre visto come uno sviluppo positivo”, e’ il ragionamento del titolare del Mef. Un ragionamento che lo vede in linea con Conte. Cosa ben distinta, e’ la richiesta dell’attivazione Mes “sanitario”, di cui non si parlera’ all’Ecofin. E di cui, dice Le Maire parlando a nome di entrambi, ne’ l’Italia ne’ la Francia hanno bisogno perche’ non hanno problemi di finanze. E’ difficile che in commissione Gualtieri dica espressamente se il governo chiedera’ o meno i 37 miliardi del Mes. Significherebbe scontentare o il M5S, che e’ fermamente contrario, o il Pd, che e’ a favore. Ma non e’ detto che basti ai pentastellati, tra i quali anche parlare della riforma crea tensione. Ed e’ una tensione che si alimenta anche delle divisioni interne. Non a caso, in una nota vergata nero su bianco, cinque deputati della commissione Finanze (a partire dai “dibattistiani” Alvise Maniero e Raphael Raduzzi) respingono anche l’idea del si’ alla riforma del Mes. E, quasi contemporaneamente, sette senatori – anche quelli piu’ dialoganti, come Emanuele Dessi’ – ribadiscono la “dannosita’” del Mes sanitario. Sulla richiesta di quei fondi il M5s non arretrera’ – consapevole che con Lega e Fdi avrebbe la maggioranza per bloccare il Si’ di Dem, Iv e Fi – ma l’importanza di dare il via libera alla riforma e’ ben chiara anche ai governisti pentastellati e dunque considerato inevitabile. Ma gli effetti del voto sullo scostamento vanno ben oltre il Mes. Il Pd, a partire da Nicola Zingaretti, esulta per un risultato fortemente voluto e per il quale hanno lavorato i Dem e il ministro Gualtieri. Zingaretti nega che si tratti di un primo passo verso un allargamento della maggioranza o addirittura un governissimo (senza Conte). Ma l’allargamento e’ un progetto che Matteo Renzi persegue apertamente e che alcuni dirigenti Dem non negano. Il prossimo step dovrebbe essere, nelle intenzioni dei ‘pontieri’, il si’ di FI alla manovra: atto che sarebbe politico ma che non e’ detto Berlusconi scelga di perseguire, anche perche’ rischierebbe di spaccare i suoi gruppi,soprattutto al Senato. Il terzo step dovrebbe invece essere, nelle intenzioni di Iv ma anche di alcuni Dem, il passaggio di alcuni parlamentari centristi o azzurri alla maggioranza. Solo dopo le comunali del prossimo anno, pero’, i piu’ scommettono che possano partire “grandi manovre” che sarebbero il preludio alla partita del Quirinale: difficile che Fi molli gli alleati prima, con le grandi citta’ in ballo. Prima di allora, e’ probabile che nella maggioranza si giochi la partita del rimpasto. Auspicato apertamente da Goffredo Bettini e Andrea Marcucci, ma che sarebbe gradito a gran parte dei Pd, nonostante la freddezza di Area Dem, l’area che fa capo a Dario Franceschini. I tempi del rimpasto potrebbero maturare dopo la fine del lavoro dei tavoli di maggioranza sul programma di legislatura. Conte resta scettico sul cambio di squadra. Ma, per dirla come una fonte di maggioranza, “se comprendera’ l’ineluttabilita’ del rimpasto sara’ meglio per lui, perche’ cosi’ potra’ gestirlo”.

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Politica

Mattarella: Resistenza non è feticcio ma responsabilità

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Le associazioni combattentistiche “sono l’anima perenne della memoria”: la loro opera è “preziosa” perchè voi trasmettete “il senso di quello che è avvenuto, la custodia della memoria senza farne un feticcio consegnato al solo ricordo, ma facendola vivere come consapevolezza civile, come educazione alla responsabilità. Un ponte ideale tra generazioni nell’attualità dei valori”. Sergio Mattarella chiude le celebrazioni per il 25 aprile con un ennesimo appello a non dimenticare quanto accaduto con la Resistenza e la Liberazione ma soprattutto con un invito a far si che questa data non diventi uno sterile appuntamento ma una spinta ad agire nel nome di quei valori. Ricevendo al Quirinale le associazioni combattentistiche e d’arma, il cui incontro era programmato per il 23 aprile, il presidente della Repubblica è tornato a sottolineare l’importanza della festa della Liberazione.

Infatti per il capo dello Stato il 25 aprile deve essere “un’eredità vissuta nel presente e trasformata in impegno per riflettere sull’attualità di quei valori, a cominciare dal rifiuto dell’indifferenza”. Ma non solo perchè, ha ricordato ancora Mattarella, la Liberazione sprigionò “energia morale” e fu “il frutto di un moto individuale delle coscienze che divenne espressione della dignità del nostro paese, del nostro popolo che non si lasciò sopraffare dalla barbarie”. La rievocazione del presidente con le associazioni combattenti è quindi giocata tutta sul valore degli ideali che portarono al 25 aprile, sulla necessità di non perdere la spinta propulsiva che generò. Infatti ha spiegato come “minacce in forme diverse che pretendono di porre in discussione i valori di democrazia, libertà e pace che furono alla base della Resistenza sono sempre presenti. Conflitti armati sempre più frequenti vicini ai confini dell’Europa.

Tensioni nei rapporti internazionali che con oblio della memoria rischiano di provocare crisi globali dalle conseguenze catastrofiche. Ecco perché – ha ripetuto – il 25 aprile non è mera occasione di formale omaggio”. Non poteva infine mancare un raccordo tra gli ideali di quei tempi e le prime visionarie idee sulla necessità di arrivare ad un Europa unita, unico vero baluardo contro i nazionalismi aggressivi di quell’epoca: “rendiamo onore ai protagonisti della Liberazione e della Resistenza che ci hanno condotto nella nuova Italia, libera, democratica e promotrice di quella che oggi è l’Unione europea, un’Italia protagonista della cooperazione internazionale”, ha concluso il presidente.

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Meloni, 650 milioni per la sicurezza e i salari crescono

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Di fronte alle morti sul lavoro “il cordoglio, ne siamo consapevoli, non basta”. Giorgia Meloni, in maniche di camicia, si affaccia via social dalle sale di Palazzo Chigi per annunciare un nuovo intervento per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Con un video diffuso proprio mentre i suoi ministri, compresa la titolare del Lavoro Marina Calderone, in conferenza stampa raccontano il Consiglio dei ministri appena finito, la premier prende la parola con un oramai consueto videomessaggio. E’ la vigilia del primo maggio e il governo, dopo i provvedimenti degli scorsi anni, vuole dare un segnale ma stavolta si limita alle dichiarazioni di intenti. Anche perché, prima di “agire”, ci sarà un confronto con le parti sociali. Serve una “un’alleanza tra istituzioni, sindacati, associazioni datoriali per mettere la sicurezza sul lavoro in cima alle priorità dell’Italia”, dice la presidente del Consiglio, usando quasi le stesse parole che pronuncia la nuova segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, unica a commentare accogliendo positivamente l’invito (via web) di Meloni.

La mattina dell’8 maggio ci sarà l’incontro per “raccogliere anche i suggerimenti” delle parti sociali “e rafforzare le misure che abbiamo previsto”. Sul tavolo ci potrebbe essere anche la proposta elaborata dalla commissione ad hoc del ministero della Giustizia, di riconoscere un “benefit penale” alle imprese virtuose. Era stata la stessa premier a preannunciare nuovi interventi ma non sono arrivati testi in Consiglio dei ministri. “Prima serve la concertazione”, dice anche Calderone proprio mentre scorrono i contenuti del video della premier, che annuncia ulteriori “650 milioni” che sono stati trovati “con l’Inail”, che portano la dote per la sicurezza sul lavoro a circa 1,2 miliardi. Risorse che potrebbero non bastare, tanto che si sarebbe alla ricerca di qualche centinaio di milioni in più, ma che intanto serviranno “per potenziare il sistema di incentivi e disincentivi per le imprese in base alla loro condotta in materia di sicurezza con particolare attenzione al mondo agricolo”, spiega Meloni, sottolineando l’importanza della “formazione dei lavoratori”.

Si renderà anche “strutturale” l’assicurazione Inail per studenti e docenti. Di fronte alle morti sul lavoro “non sono tollerabili né indifferenza né rassegnazione”, dice ancora la premier citando Sergio Mattarella. Meloni dà ragione al presidente della Repubblica, mettendo in fila quanto fatto fin qui dall’esecutivo, a partire dalla patente a punti che ora vale per l’edilizia ma, assicura Calderone, dovrebbe essere poi estesa “ad altri settori”. Le opposizioni, scettiche, puntano il dito soprattutto sul passaggio che Meloni fa sull’aumento dei salari. Quelli “reali crescono in controtendenza rispetto al passato” e c’è una dinamica che è “migliore non peggiore rispetto al resto d’Europa” dice la premier facendo un confronto tra “2013-2022” e quello che sta accadendo, da “ottobre 2023” quando la “tendenza” è cambiata”.

“Scopre l’acqua calda” perché ci sono stati dei rinnovi contrattuali ma con “i prezzi al consumo” saliti del “19,7%” tra “2021 e 2024” e un “aumento delle retribuzioni contrattuali dell’8,6%” il divario è “spaventoso”, fa i calcoli la responsabile Lavoro dei dem Cecilia Guerra. “La realtà è che le famiglie italiane non reggono l’aumento del costo della vita, come ha sottolineato il presidente Mattarella”, va all’attacco anche il presidente dei senatori Pd Francesco Boccia mentre la segretaria, Elly Schlein accusa Meloni di raccontare “un paese che non c’è”. Basta “decreti spot” dicono i capigruppo di Camera e Senato del M5s Riccardo Ricciardi e Stefano Patuanelli, che stigmatizza l’ipotesi di “benefit penale”. Ci sono i dati Istat che mostrano stipendi ancora a “-8% sul 2021”, la incalza anche Giuseppe Conte, ricordando anche “il 9% dei lavoratori full time in povertà” rilevati da Eurostat. “Meloni – ironizza il leader M5s – è andata a vivere su Marte, forse con l’aiuto di Musk”.

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Economia

A 15 anni in azienda, l’opposizione insorge

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Alla vigilia del primo maggio e nelle ore in cui anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella torna a puntare il dito contro la mancata sicurezza nei luoghi di lavoro, spunta una norma al decreto Pnrr-Scuola, ora all’esame della Commissione Cultura del Senato, in cui si anticipa l’alternanza scuola – lavoro al primo biennio degli istituti tecnici. “Cioè quando si hanno 15 anni e si è ancora in età di obbligo formativo”, spiega la senatrice del M5S Barbara Floridia, la prima a denunciare questa misura messa a punto dal governo.

Nel decreto, esattamente nell’allegato B del provvedimento, si dice testualmente che “nel primo biennio, oltre alle attività orientative collegate al mondo del lavoro e delle professioni, è possibile realizzare, a partire dalla seconda classe, i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento”, cioè i Pcto che è l’acronimo usato per definire l’alternanza Scuola-Lavoro. Il che significa, insiste Floridia, che si potranno “spedire adolescenti sui luoghi di lavoro”, potenzialmente anche “in cantieri o ambienti ad alto rischio”, quando “dovrebbero essere protetti, formati, tutelati”. Significa, insomma che l’Esecutivo intende “mettere la logica dell’impresa prima di quella dell’ istruzione, della sicurezza e dei diritti”.

E nel dir questo, cita “tragedie” come quelle che “hanno colpito proprio studenti in alternanza come Giuseppe Lenoci e Lorenzo Parelli”. Anche i sindacati, nelle varie audizioni in Commissione, hanno espresso forti perplessità nei confronti del decreto e della misura che anticipa i tirocini a 15 anni. La più dura è stata la Flc Cgil secondo la quale in questo modo “si privilegiano i raccordi con il mondo del lavoro e i contesti produttivi, mentre le attività didattiche risultano culturalmente impoverite, subordinate e funzionalizzate alle istanze formative avanzate dal contesto socioeconomico di appartenenza”. Ma non basta. Oltre a considerare gli studenti “solo in termini di braccia per lavorare” e non di persone alle quali va trasmessa una cultura e una formazione di base, come afferma il senatore di Avs, Tino Magni, la norma “esprime tutta la visione classista del governo e in primis del ministro della Scuola Valditara”, sottolinea il già ministro del Lavoro Andrea Orlando. “Anticipare il momento della scelta alla fase in cui un ragazzino è molto giovane – osserva Orlando – significa schiacciarlo nella sua dimensione di provenienza, alla sua origine sociale”.

Con buona pace della discussione sulla riforma della scuola, continua l’esponente Dem, che puntava proprio “a posticipare la scelta per evitare automatismi sociali”, cioè che il figlio dell’operaio fosse costretto a fare per forza l’operaio. Dice no ad una “professionalizzazione precoce di ragazze e ragazzi” anche la capogruppo Pd in Commissione, Cecilia D’Elia, che chiede, come Floridia, il ritiro della norma, mentre invita a investire di più “sul capitale umano, cioè su cultura e scuola”. “A 15 anni, ancora in età da obbligo formativo – insiste Magni – si deve stare a scuola e non in fabbrica o nelle aziende”. Un “ritorno” alla “scuola di classe” dove “c’era chi poteva studiare, mentre gli altri erano braccia per lavorare”, non è accettabile. “In vista del primo maggio”, è l’appello del capogruppo M5S in Commissione, Luca Pirondini, “Meloni trovi il coraggio” e “chieda al suo ministro Valditara il ritiro immediato di questa norma indecente”, perché “la scuola non è un serbatoio di forza lavoro gratuita. È il luogo in cui si formano i cittadini”.

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