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M5s, i mandati fatti non bloccano la corsa a governatore: in Campania Fico o Costa sono candidabili

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Per chi intenda candidarsi alla presidenza di una Regione o a sindaco di un Comune non sarà di ostacolo il numero di mandati alle spalle: potrà farlo anche chi ne ha già fatti due a qualsiasi livello istituzionale. E’ una delle proposte che il presidente del M5s, Giuseppe Conte, porterà nei prossimi giorni all’attenzione del Comitato di garanzia 5s. Il tema è stato al centro del consiglio nazionale che, viene spiegato, si è svolto in un “clima proficuo”.

La regola sui governatori permetterebbe un’eventuale candidatura in Campania dell’ex presidente della Camera Roberto Fico o dell’ex ministro e attuale deputato e vice presidente della Camera Sergio Costa (foto Imagoeconomica in evidenza). Un’altra delle regole che Conte metterà sul tavolo mira comunque a impedire il “carrierismo”, cioè che un esponente del M5s possa mettere in fila una lunga scia di mandati consecutivi passando da un livello istituzionale all’altro: per esempio da parlamentare a consigliere regionale.

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Elisabetta Trenta, dalla difesa del M5S alla segreteria della Democrazia Cristiana

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Nel 2021 Elisabetta Trenta lasciava il Movimento 5 Stelle con un’uscita teatrale: «Lascio, ma non la politica; scendo qui proprio per ricominciare». Un messaggio ambiguo che oggi trova una conferma nel suo nuovo ruolo di segretaria della Democrazia Cristiana, partito con radici forti in Campania e distante anni luce dal grillismo che l’aveva portata al governo.

Un cambio di rotta netto, che però l’ex ministra della Difesa non considera un’incoerenza. «Io nasco di centro, non vedo contrasti tra il mio passato nei 5 Stelle e la DC. Credo in una politica che metta al centro i cittadini», afferma.

Dalla politica alla politica, senza mai fermarsi

Classe 1967, originaria di Velletri, Trenta ha una storia familiare legata al mondo cattolico: padre presidente dell’Azione Cattolica, madre insegnante. Dopo una laurea in Scienze Politiche con indirizzo economico e due master, si specializza in sicurezza e intelligence, fino a diventare esperta senior della Task Force Iraq a Nassiriya per la Farnesina.

Il suo primo approccio alla politica avviene proprio nell’area centrista, con il CCD, che poi si trasforma in UDC. Ma l’esperienza si interrompe bruscamente: «Mi schifai e mi allontanai dalla politica», racconta oggi.

Poi arriva l’incontro con il Movimento 5 Stelle, che le permette di raggiungere l’apice della carriera politica: ministra della Difesa nel governo Conte I, fortemente voluta da Luigi Di Maio. Tuttavia, con la caduta del governo, la sua immagine subisce un duro colpo a causa del caso dell’appartamento di servizio: accusata di aver mantenuto l’alloggio destinato ai membri dell’esecutivo, giustificò la sua permanenza spiegando che la casa era stata assegnata al marito, Claudio Passarelli, maggiore dell’Esercito.

Il ritorno al centrismo e lo scontro interno alla DC

Conclusa l’esperienza con il M5S, Trenta torna alla sua originaria vocazione centrista e nel 2023 aderisce alla Democrazia Cristiana. Ma anche qui la sua ascesa è tutt’altro che tranquilla: i contrasti con il leader del partito, Antonio Cirillo, portano a una rottura insanabile. La situazione degenera fino alla convocazione di un congresso straordinario, che si è concluso poche ore fa tra polemiche e accuse di golpe.

Nonostante le contestazioni interne, Trenta è stata eletta segretaria del partito e ha subito respinto le critiche: «Chi mi conosce sa che non è il mio stile. Finalmente si riparte».

Il futuro della nuova DC

Ora la sfida per l’ex ministra è quella di dare una nuova direzione alla Democrazia Cristiana, consolidando un progetto politico che possa rappresentare una valida alternativa ai poli tradizionali.

Con una storia fatta di cambi di casacca e rotture improvvise, Elisabetta Trenta si prepara a un nuovo capitolo della sua carriera politica. La domanda è: questa volta resterà o cercherà ancora un’altra strada?

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Cesare Parodi nuovo presidente dell’Anm: “Difenderò la magistratura”

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Il Comitato Direttivo Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) ha eletto Cesare Parodi nuovo presidente del sindacato delle toghe. Insieme a lui, sono stati scelti Ruocco Maruotti (Area) come segretario generale e Marcello De Chiara (Unicost) come vicepresidente. La giunta eletta è unitaria e comprende rappresentanti di tutti i gruppi, eccetto Articolo 101.

Parodi, 62 anni, è procuratore aggiunto a Torino e appartiene alla corrente Magistratura Indipendente, considerata moderata e che ha ottenuto il maggior numero di voti alle recenti elezioni per il direttivo dell’ANM.

“Non possiamo rinunciare a nessuna strada per la difesa della magistratura” ha dichiarato il neo presidente, annunciando la richiesta di un incontro con il Governo per affrontare le tematiche più urgenti che riguardano la giustizia in Italia.

Chi è Cesare Parodi?

Cesare Parodi è nato a Torino il 28 maggio 1962. Dopo aver indossato la toga nel 1990, ha iniziato la sua carriera presso la procura della pretura di Torino, per poi passare nel 1999 alla procura ordinaria del tribunale.

Nel 2017 è stato nominato procuratore aggiunto, assumendo il coordinamento del pool fasce deboli, il gruppo specializzato nella trattazione dei reati previsti dal codice rosso (violenza domestica, abusi su minori, stalking e violenze di genere).

I colleghi gli hanno sempre riconosciuto grandi capacità organizzative, oltre a un rigore che si traduce in un’estrema riservatezza e terzietà nel suo operato. Questi valori sono stati sottolineati anche nelle sue precedenti campagne per incarichi nell’associazionismo giudiziario, legate alla corrente Magistratura Indipendente.

Tra gli slogan con cui ha sostenuto la sua candidatura in passato spiccano due frasi significative:

  • “Se le tue idee politiche ti sono altrettanto care della riservatezza e terzietà che il nostro ruolo ci impone”
  • “Se non sei interessato a dare lezioni di democrazia agli altri, ma non sei disposto ad accettare quelle che altri pensano di potere dispensare”

Un esperto di diritto penale

Oltre alla carriera in magistratura, Parodi è un autore prolifico, avendo scritto circa 350 articoli su temi di diritto penale e procedura penale. Ha anche curato diversi manuali di riferimento, tra cui:

  • “Il diritto penale dell’impresa” (Giuffrè, 2017)
  • “I procedimenti penali speciali” (2019)
  • “La nuova riforma delle intercettazioni” (2020)

Ha inoltre partecipato come formatore e relatore a numerosi corsi della Scuola Superiore della Magistratura, contribuendo alla crescita professionale delle nuove generazioni di magistrati.

Una nuova fase per l’Anm

Con l’elezione di Cesare Parodi alla presidenza dell’Anm, il sindacato delle toghe si prepara ad affrontare sfide cruciali, tra cui il delicato rapporto tra magistratura e politica e le riforme della giustizia in discussione.

L’annuncio di un imminente incontro con il Governo fa presagire un confronto acceso su temi come l’autonomia della magistratura e la separazione delle carriere. Parodi, forte della sua lunga esperienza e del suo approccio pragmatico, sarà chiamato a difendere con fermezza l’indipendenza della magistratura, in un contesto sempre più complesso e pieno di tensioni.

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Vandalizzata la foiba di Basovizza, l’ira di Meloni

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“Come ogni anno…”. Il tono di chi parla è rassegnato, perché atti vandalici alle Foibe in prossimità del Giorno del Ricordo, in una terra di confine ferita, “sono purtroppo episodi ricorrenti”. Alle 10 un capannello di esponenti della Lega Nazionale, storici e politici locali guarda sconsolato in direzione dell’ennesima prova di frizioni, forse ancora non del tutto sopite. Ad attirare l’attenzione sono tre scritte in vernice rossa: due in sloveno, che inneggiano ai moti titini “Trieste è nostra” e “Morte al fascismo libertà al popolo”, l’altra in italiano. Quest’ultima è stata lasciata proprio sotto il muro con l’indicazione ‘Foiba di Basovizza’: “è un pozzo”.

Infine una serie di numeri “161”. “Oltraggiare Basovizza non vuol dire solo calpestare la memoria dei martiri delle foibe ma significa oltraggiare la nazione intera. Ciò che è accaduto è un atto di gravità inaudita, che non può restare impunito”, è l’ira della premier Giorgia Meloni. Al monumento nazionale sul Carso triestino oggi c’è fermento. Ci sono gli operai che dalle 6 stanno allestendo i palchi per la cerimonia solenne di lunedì (sono stati loro a dare l’allarme) e una scolaresca dalla provincia di Catania, accompagnata dalla sottosegretaria all’Istruzione, Paola Frassinetti. E’ una giornata che doveva essere di memoria, ma anche di festa perché a 50 km di distanza, sempre lungo la linea di confine, oggi si celebra l’inaugurazione di Go!2025, la prima capitale europea della cultura borderless. Un’occasione per celebrare e riconfermare l’amicizia tra Italia e Slovenia.

Nel pomeriggio, sul palco, interviene il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Nulla può far tornare indietro la storia che Slovenia e Italia hanno costruito e costruiscono insieme”, sottolinea con quello che appare come un riferimento alla vandalizzazione della foiba. Sull’accaduto indaga la Digos, dopo che alle 13 le scritte sono state cancellate, con il sindaco di Trieste Roberto di Piazza che ha tinteggiato assieme agli operai. Le indagini sono a tutto campo e le immagini della videosorveglianza dell’area sono state acquisite. Non si esclude possa trattarsi di qualche nostalgico titino, come anche di un gruppo organizzato. L’attenzione è anche rivolta all’interpretazione di quel “161”, che potrebbe anche riferirsi, secondo qualche esponente della cultura slovena, a un richiamo a un gruppo antifascista estremista. E anche a in un liceo di Vicenza la tragedia delle Foibe ha riacceso gli animi: alcuni militanti di FdI sono stati aggrediti mentre volantinavano “in ricordo dei martiri”.

La notizia dell’imbrattamento di uno dei simboli dei drammi del dopoguerra, il dramma degli italiani uccisi e gettati in quelle cavità naturali dai partigiani jugoslavi titini durante e subito dopo la seconda guerra mondiale, in un periodo difficile per rivendicazioni da parte delle distinte fazioni, si diffonde in pochi minuti. Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, è già a Trieste, poi andrà a Gorizia. Ma prima raggiunge la foiba. “Nessuno potrà mai vandalizzare la verità”, scrive sull’album delle presenze. La condanna è bipartisan. “Un atto ignobile”, per il presidente della Camera, Lorenzo Fontana. “Inaccettabile”, per il presidente del Senato, Ignazio Larussa. “Un gesto vile”, lo definisce il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

“Uno schiaffo alla nostra memoria”, le parole del ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini. I ‘responsabili saranno perseguiti con la massima severità’, avverte il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Per il governatore del Fvg, Massimiliano Fedriga, si tratta di “rigurgiti negazionisti che dobbiamo condannare con forza”. Ma la condanna arriva anche dall’opposizione. Il leader di Iv, Matteo Renzi, parla di “insulto alle vittime e alle famiglie”. “Basta con questi atti brutali, provocatori e intolleranti”, commenta la deputata dem Debora Serracchiani. Un “atto di vandalismo che oltraggia la memoria”, dichiara il vicesegretario di Azione, Ettore Rosato. “Non so quale era il vero intento – osserva l’Anpi di Trieste – ma sicuramente l’effetto reale della stolta esibizione grafica si ripercuote negativamente sia sulla comunità slovena che sugli antifascisti tutti”.

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