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Per la Campania il Pd guarda a Fico o Costa, De Luca gelido pensa a ‘contrattare’ e ‘governare’

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“Stiamo calmi”, dice gelido Vincenzo De Luca sui social, nel primo discorso pubblico dopo lo stop della Consulta al terzo mandato. Traduce un fedelissimo: “Da qui devono passare”, ossia chi vuole vincere le regionali non può prescindere dal peso elettorale del governatore. Sembra questa al momento la maggiore incognita sull’ipotesi di candidare alla presidenza Roberto Fico, esponente storico del M5s molto gradito alla base pentastellata, oltre che a Gaetano Manfredi, uomo-simbolo del campo largo di governo a Napoli.

Negli equilibri delle intese nazionali il Pd ha messo in conto che la Campania vada ai Cinquestelle, e Fico sarebbe sicuramente un buon nome per il Nazareno. Non così per De Luca, che non nasconde le sue simpatie per un altro pentastellato, l’ex ministro dell’Ambiente e attuale vicepresidente della Camera Sergio Costa. “Con il presidente De Luca ci auguriamo di confrontarci, non c’è nessun pregiudizio. Vogliamo discutere e trovare una soluzione nell’esclusivo interesse della Campania, che sia la più condivisa possibile” dice il dem Igor Taruffi che con il collega della segreteria Davide Baruffi sarà lunedì a Napoli.

La strada verso il voto autunnale è ancora lunga, ma la pre-campagna elettorale è già iniziata come dimostra il susseguirsi di incontri politici: ieri Fico è stato con Manfredi e il dem Misiani a un appuntamento del Pd, Costa partecipa oggi e domani a convegni con deluchiani di ferro come Bonavitacola e Fortini. De Luca domani vede in Regione i capigruppo di maggioranza, ufficialmente per dettare il cronoprogramma delle priorità di fine consiliatura; ma dietro le quinte c’è anche il tema delle ricandidature dei centristi delle liste del presidente, che rischiano di rimanere orfani.

Manfredi è pronto a varare una civica che li accolga, ma anche De Luca potrebbe fare altrettanto, magari con il suo nome nel simbolo o scendendo in campo come capolista. Ovviamente a patto di un’intesa con il Pd. Quali sono le richieste del governatore? Anzitutto un programma in continuità. Poi il candidato presidente “dovrà essere chi ha dimostrato di saper governare, e non chi è semplicemente il prodotto della politica politicante”.

Nella diretta social del venerdì De Luca esibisce una calma olimpica dopo la sconfitta: “La pronuncia della Consulta mi fa ritornare alla vita. Il problema è che la Campania e Napoli non ritornino nella palude. Dovremo lavorare per evitare questo rischio. Tutto qui, con grande serenità e sportività, perfino con grande senso di liberazione. E dirò al momento opportuno la mia opinione ai cittadini”. Ossia, non starò in silenzio se il candidato non fosse di mio gradimento. Il Pd non ha ancora intavolato il dialogo con De Luca, arduo ma necessario. E’ evidente che il Nazareno non voglia accettare diktat sui nomi, e lo stesso Matteo Renzi oggi dice di non avere veti sull’ipotesi Fico puntualizzando però che “il nome arriva alla fine di un percorso”.

Il due volte parlamentare del M5s dovrebbe ottenere la deroga per una terza candidatura elettiva, ma per un nome storico del movimento questa appare solo una formalità. Dal canto suo Costa chiarisce: “Se si viene candidati, non si può dire di no”. E su De Luca: “Ha una storia politica, va rispettato e ascoltato”.

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Esteri

Kushner torna in Medio Oriente mentre resta fragile la fase uno del piano di pace

A un mese dal cessate il fuoco, Jared Kushner torna in Israele per spingere la fase due del piano di pace Usa. Restano aperti nodi su ostaggi, miliziani nei tunnel di Rafah e composizione della forza di stabilizzazione internazionale.

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A un mese dall’entrata in vigore del cessate il fuoco a Gaza, l’inviato statunitense Jared Kushner è tornato in Israele per confrontarsi con il governo sullo stato di attuazione del piano di pace Usa e per premere sul passaggio alla cosiddetta fase due dell’accordo. Washington spinge per accelerare la transizione politica e di sicurezza, ma sul terreno permangono nodi sensibili che rallentano il processo.

I nodi ancora aperti: ostaggi e miliziani nei tunnel di Rafah

La prima fase resta tuttora bloccata su due questioni concrete e irrisolte: la restituzione delle salme degli ostaggi uccisi e la sorte dei circa 200 miliziani intrappolati nei tunnel di Rafah dal lato israeliano della Linea Gialla. La proposta americana sul tavolo prevede che i combattenti si arrendano, depongano le armi e ottengano amnistia o esilio all’estero, mentre i tunnel verrebbero distrutti. Soluzioni analoghe erano state avanzate anche dal Cairo, che ha offerto canali sicuri verso l’Egitto.

Posizioni di Israele e di Hamas: dialogo sotto pressione

Dal canto suo il premier Benyamin Netanyahu ha ammonito che la guerra “non è finita” e ha ribadito l’intenzione di disarmare Hamas, “nel modo più facile o nel modo più difficile”. L’esecutivo israeliano sostiene di coordinare ogni passo con l’amministrazione statunitense, ma la questione resta delicata: Hamas dichiara che i suoi uomini “non si arrenderanno”, pur affermando di essere disponibile ad “affrontare positivamente la questione”, e accusa Israele di aver fatto marcia indietro rispetto ad accordi preliminari.

Il ruolo dei paesi terzi e la composizione della forza di stabilizzazione

La definizione della forza internazionale di stabilizzazione destinata a operare nella Striscia è un altro capitolo cruciale. La Turchia avrebbe offerto un corridoio sicuro per “200 civili” intrappolati nei tunnel, secondo una fonte turca, ma il governo israeliano ha ribattuto definendoli “terroristi” e negando la presenza di forze turche nella missione. Ankara dichiara di aver reclutato 2.000 uomini per la missione; gli Stati Uniti, tuttavia, garantiscono a Israele un diritto di vetosui Paesi partecipanti. Gli Emirati Arabi Uniti hanno invece fatto sapere che probabilmente non parteciperanno con truppe, pur confermando sostegno politico e aiuti umanitari.

Verso una risoluzione internazionale: la strategia della Casa Bianca

Per superare le incertezze sui contributi da Paesi musulmani disponibili — come Indonesia e altri — la Casa Bianca sta lavorando a una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che definisca il mandato e i confini operativi della missione, fornendo alla forza un quadro giuridico internazionale. L’obiettivo è rafforzare la legittimazione della fase due e garantire un coordinamento multilaterale.

Reazioni interne: la Knesset e la proposta sulla pena di morte

Sul piano domestico, la Knesset discute l’introduzione della pena di morte per i terroristi che uccidono israeliani, proposta promossa dal partito di ultradestra del ministro Itamar Ben-Gvir. Il dibattito segna un clima interno teso e dovrà confrontarsi con implicazioni legali e politiche rilevanti, oltre alle preoccupazioni internazionali sulla tutela dei diritti umani e sulle garanzie processuali.

Stato del negoziato: pressione diplomatica e incertezze pratiche

Sul terreno diplomatico prevale la convinzione — anche tra funzionari israeliani — che, sotto la forte pressione degli Stati Uniti, la vicenda troverà una soluzione negoziata. Restano tuttavia incertezze pratiche: la resa o l’esilio di combattenti, la distruzione dei tunnel, il controllo delle aree libere e la composizione di una forza internazionale accettabile sia per Gaza sia per Tel Aviv. Fino a quando questi punti non saranno chiariti e applicati, la transizione verso la fase due rimane fragile.

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Scontro politico sull’inchiesta di Report: il caso del Garante Privacy divide governo e opposizioni

L’inchiesta di Report sul Garante per la Privacy accende lo scontro politico: le opposizioni chiedono le dimissioni del collegio, Meloni replica difendendo l’autonomia dell’Authority. Ranucci rilancia: “Abbiamo documentato fatti non smentibili”.

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L’onda d’urto dell’inchiesta di Report sul Garante per la Privacy, che solleva ombre su conflitti di interesse, opacità di gestione e contiguità con la politica, ha aperto un nuovo fronte di scontro tra maggioranza e opposizione.
Pd, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra chiedono l’azzeramento totale del collegio. “Penso che non ci sia alternativa alle dimissioni dell’intero consiglio”, ha dichiarato la segretaria dem Elly Schlein, parlando di un “quadro grave e desolante sulle modalità di gestione” che richiede “un segnale forte di discontinuità”.

Meloni difende l’autonomia dell’Autorità

La premier Giorgia Meloni ha respinto le accuse, chiarendo che “non abbiamo competenza sulla possibilità di azzerare l’autorità. È una decisione che spetta al collegio”. Poi ha aggiunto: “Questo Garante è stato eletto durante il governo giallorosso, quota Pd e 5S, con un presidente in quota Pd. Dire che sia pressato da un governo di centrodestra mi pare ridicolo. Se Pd e 5S non si fidano di chi hanno nominato, forse potevano scegliere meglio”.

In serata è intervenuto anche Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia, che ha ricordato: “All’epoca delle nomine FdI rappresentava appena il 4% dei parlamentari. O Pd e M5S sono stati sprovveduti nel nominare un’Autorità che oggi definiscono vicina a noi, oppure si lasciano dettare la linea da Report e da Ranucci. In ogni caso, la coerenza di Fratelli d’Italia resta la stessa: favorevoli allo scioglimento di qualsiasi ente nominato dalla sinistra”.

Conte accusa, Ranucci replica

Le parole di Meloni sono “figlie dell’ipocrisia”, ha ribattuto in Aula alla Camera il leader M5S Giuseppe Conte, che ha ricordato come la premier, “da leader di FdI, si scambiasse messaggini con Ghiglia” ai tempi del green pass.

È intervenuto anche Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, sottolineando che nel collegio del Garante “ci sono anche un rappresentante della Lega e uno di Fratelli d’Italia, e l’unico organico a FdI è proprio Ghiglia, ex Fronte della Gioventù”. Ranucci ha comunque riconosciuto che “la frase della premier è corretta dal punto di vista istituzionale, spetta a loro dimettersi”.

Il giornalista ha aggiunto: “Abbiamo documentato fatti non smentibili, mostrando come l’Autorità sia diventata nel tempo una sorta di tribunale politico, dove si decide in base alle sensibilità politiche, ai conflitti d’interesse e ai giochi clientelari”.

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“Affari Tuoi”, sfortuna ma cuore grande per Sebastiano dal Veneto: vince solo 100 euro ma il suo gesto commuove tutti

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Serata di emozioni e solidarietà ad Affari Tuoi, il popolare game show di Rai 1 condotto da Stefano De Martino. Protagonista della puntata è stato Sebastiano, concorrente del Veneto, accompagnato dalla sua compagna Aurora. La loro partita, iniziata con entusiasmo e speranza, ha però preso subito una piega sfortunata.

Il pacco scelto inizialmente da Sebastiano, il numero 17, è stato infatti scambiato con il 9: una decisione che si è rivelata fatale, perché proprio nel 17 si nascondevano i tanto ambiti 300 mila euro. Da quel momento la sorte non è più stata dalla loro parte: anche il pacco nero non ha portato fortuna.

Alla fine della partita, Sebastiano è rimasto con il pacco numero 9, che conteneva soltanto 100 euro. Una vincita simbolica, ma che non ha tolto il sorriso alla coppia.

Il momento più toccante è arrivato quando Sebastiano e Aurora hanno spiegato che, in caso di vincita significativa, avrebbero voluto devolvere tutto a un’associazione che si occupa di malattie oncologiche. Un gesto di grande umanità che ha commosso il pubblico in studio e i telespettatori a casa.

Una puntata amara dal punto di vista del gioco, ma ricca di valori e solidarietà: Sebastiano e Aurora, pur senza premio, hanno conquistato tutti con la loro generosità e il loro spirito altruista.

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