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Politica

Draghi rinuncia al contributo di solidarietà che sembrava una patrimoniale mascherata

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n contributo di solidarieta’ di un anno, ottenuto congelando il taglio delle tasse sui redditi oltre i 75mila euro, per abbassare le bollette alle famiglie più in difficolta’. E’ la proposta che Mario Draghi mette sul tavolo del governo, per dare risposta alle preoccupazioni dei sindacati e agire sul fronte ora piu’ caldo, quello dei rincari di luce e gas. Cerca l’intesa finale su un intervento in manovra sulle tasse il piu’ condiviso possibile. Propone di tagliare il cuneo fiscale sotto i 35mila euro nel 2022: tutti d’accordo. Aggiunge l’idea di ‘toccare’ i redditi piu’ alti. E la maggioranza si spacca. La misura salta. FI, Lega, Iv e parte del M5s si mettono di traverso: “sa di patrimoniale”, il refrain. Pd, Leu e altri pentastellati la difendono. Ma dopo ore di braccio di ferro e contatti con i sindacati, Draghi toglie l’idea dal tavolo e mette sul piatto una mediazione che trova d’accordo gran parte dei ministri: nelle pieghe del bilancio vengono reperiti 300 milioni in piu’ per tagliare le bollette, una cifra leggermente superiore a quella che sarebbe derivata dal contributo di solidarieta’ e, sottolineano fonti di governo, non lo rende piu’ necessario. Il premier punta a una soluzione condivisa da tutti, per garantire un intervento fiscale equilibrato. “Nella ripartenza”, dice ricordando Guido Carli a un convegno, bisogna “collaborare” tutti per “l’opportunita’ straordinaria” data anche dal Pnrr “per ridurre le diseguaglianze”, evitare conflitti sociali come quelli degli anni ’70. Draghi insegue la via del dialogo con le parti sociali fino all’ultimo anche sulla manovra. E continuera’ a coltivarla facendo partire tra due settimane a Palazzo Chigi il tavolo sulle pensioni e approvando entro fine anno (la proposta e’ del ministro Pd Andrea Orlando) la norma sulle delocalizzazioni finora bloccata dai veti in maggioranza. L’intesa sulla manovra, pero’, non c’e’. Cgil e Uil sono sul piede di guerra, ipotizzano scioperi, perche’ denunciano un taglio delle tasse squilibrato in favore dei piu’ ricchi, la Cisl e’ piu’ dialogante. Anche Confindustria attacca le scelte del governo. Draghi spiega loro che non si puo’ rimettere in discussione l’accordo raggiunto a fatica al Mef tra i partiti di maggioranza, per destinare 8 miliardi al taglio strutturale di 7 miliardi di Irpef e 1 miliardo di Irap. Ma aggiunge che si possono sfruttare i 2 miliardi di “tesoretto” ancora disponibili per il 2022 per dare risposta alle preoccupazioni e agire sui redditi piu’ bassi. E cosi’ in manovra 1,5 miliardi saranno destinati a una decontribuzione dello 0,7% per i redditi fino a 35mila euro (che si sommera’ – rimarca il governo – al taglio Irpef). Altri 800 milioni (500 gia’ disponibili, 300 milioni spuntati all’ultimo) si aggiungeranno ai 2 miliardi gia’ stanziare per fronteggiare l’impennata dei prezzi di luce e gas. In cabina di regia di primo mattino, pero’, il premier e il ministro Daniele Franco dicono che fare di piu’ si potrebbe: sospendere per un anno il taglio Irpef per chi guadagna piu’ di 75mila euro, che vale circa 250 euro, vorrebbe dire poter destinare altri 270 milioni al caro bollette. Ma il giro di tavolo tra i rappresentanti dei partiti chiarisce subito che la misura spaccherebbe come mai prima la maggioranza. La cabina di regia si chiude in un’atmosfera tesa. Intanto Draghi sente Maurizio Landini (Cgil), Pierpaolo Bombardieri (Uil), Luigi Sbarra (Cisl), gli prospetta le soluzioni possibili. Nei partiti ci si consulta. Il M5s si spacca: Stefano Patuanelli aveva detto di si’ alla proposta, ma dai gruppi parlamentari cresce la pressione di chi e’ contrario (“Sarebbe il suicidio definitivo del M5s”, dice un deputato), anche tra i ministri c’e’ chi come Fabiana Dadone si mostra scettico: Giuseppe Conte, raccontano, vira su una linea piu’ prudente. In Consiglio dei ministri e’ Franco a incaricarsi di illustrare la proposta di taglio delle tasse e l’idea del contributo di solidarieta’. Alcuni ministri insorgono. “Non e’ il momento per immaginare alcun intervento che possa somigliare ad una patrimoniale”, dichiara Mariastella Gelmini ponendo Fi alla testa dei contrari. Sarebbe un errore da matita blu, dice un ministro, per chi come Draghi si e’ sempre opposto a soluzioni una tantum. Sono contrari anche i leghisti Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia e da Iv Elena Bonetti. Intervengono a favore i Dem. Draghi sospende la riunione, risente i sindacati. Poi riapre il Cdm per dire che il taglio di Irpef e Irap resta come deciso, il contributo di solidarieta’ salta. Matteo Salvini esulta, ma secondo i leghisti serviranno piu’ soldi per le bollette. Non era mai successo prima che una idea del premier venisse bocciata: “Dem e Leu, al contrario degli altri”, hanno mostrato di sostenere Draghi fino all’ultimo senza mettere a rischio la tenuta del governo, dicono da sinistra senza nascondere l’irritazione. Nessuna bocciatura – sostengono da Iv – la proposta non era del premier ma era una idea arrivata da sinistra e messa sul tavolo per fare una valutazione con i ministri. E la spaccatura in Cdm viene subito traslata sulla prossima partita del Quirinale. Dal Pd Antonio Misiani afferma che lo “stop a Draghi allontana Iv dal campo riformista”. Saranno questi due, e’ la convinzione, gli schieramenti in campo a gennaio. (ANSA). MAT-GAS 0

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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Politica

Addio a Giancarlo Gentilini, lo “Sceriffo” di Treviso simbolo della Lega Nord

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È morto a 95 anni Giancarlo Gentilini (foto Imagoeconomica in evidenza), storico sindaco e vicesindaco di Treviso, conosciuto come “lo Sceriffo” per la sua spilla simbolo di ordine, disciplina e rispetto delle leggi. Figura centrale della Lega Nord, è stato per vent’anni un riferimento assoluto per la città e per il movimento federalista e nordista. Gentilini si è spento ieri all’ospedale di Treviso, dopo un improvviso malore. Aveva appena trascorso le festività pasquali con familiari e amici.

Dal 1994 un’era politica fuori dagli schemi

Eletto per la prima volta nel 1994, in piena frattura con la Prima Repubblica, Gentilini ha rappresentato il primo grande esperimento amministrativo della Lega Nord in Veneto. La sua leadership ha ispirato generazioni di sindaci padani. Rimasto in carica fino al 2013, ha saputo imprimere un’impronta personale, carismatica e controversa al governo della città, definendosi “al servizio del mio popolo”.

Una vita di provocazioni e polemiche

Uomo fuori dagli schemi, Gentilini è stato amato e odiato. Amatissimo dal suo elettorato, detestato dalle opposizioni per uscite spesso offensive: frasi contro immigrati, rom, comunità omosessuale, disegni di teschi agli incroci pericolosi e panchine rimosse per evitare che vi si sedessero stranieri. La sua comunicazione era brutale, talvolta al limite del razzismo, ma efficace. Una figura che ha spesso messo in difficoltà anche la sua stessa Lega, incapace di contenerne la dirompenza.

L’ultimo capitolo di una vita sorprendente

Nel 2017 ha perso la moglie, e l’anno successivo, a 89 anni, si è risposato. Un uomo che non ha mai smesso di sorprendere, nel bene e nel male. Sempre fedele alla sua immagine, sempre diretto, spesso divisivo, ma instancabile e coerente con il proprio sentire.

Il cordoglio delle istituzioni

Tra i primi a ricordarlo, Luca Zaia, presidente del Veneto: «È stato un grande amministratore, ha saputo intercettare i sentimenti del popolo. Ha fatto la storia di Treviso e del Veneto». Lorenzo Fontana, presidente della Camera, ha parlato di «dedizione totale alla città». Il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha espresso il dolore dell’intera comunità: «Il nostro Leone è andato avanti. Ha scritto la storia».

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