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Draghi: con Trump cambia tutto, è ora che l’Ue decida

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La foto di Ursula von der Leyen con i suoi ‘cari nemici’ Charles Michel e Viktor Orban. I moniti autonomisti di Emmanuel Macron e l’ultima chiamata di Mario Draghi ad un’Europa ancora frastornata dal ritorno di Donald Trump. Cartoline dal vertice di Budapest. Il summit informale dei 27 non è stato ancora un punto di ripartenza e forse non poteva esserlo. Le divisioni interne, la debolezza politica di Berlino e la cavalcata dei sovranismi all’ombra di Trump potrebbero rendere qualsiasi decisione perfino più faticosa.

C’è, tuttavia, una base su cui lavorare che tutti hanno riconosciuto: il report dell’ex presidente della Bce. Uno studio dal quale Draghi ha voluto innanzitutto recapitare un monito: con il voto negli Usa è cambiato tutto, l’Ue non può più rinviare le sue scelte. Dalla cena di giovedì sera nel Parlamento ungherese e dal summit informale successivo, incastonato nella scintillante Puskas Arena, è emerso innanzitutto un messaggio: niente panico con Trump. Che poi la sensazione sia condivisa da tutti resta da vedere. Di certo, di fronte ai 27, Mario Draghi ha predicato calma, facendo capire che, forse, l’arrivo di The Donald potrebbe accelerare un processo che secondo l’ex presidente della Bce per l’Ue era comunque necessario. “Con Trump ci sarà una grande differenza nei rapporti con gli Usa, l’Europa non può più posporre le sue decisioni”, ha rimarcato l’ex premier italiano.

Il suo è stato un lungo intervento, al quale è seguito quello, quasi perfettamente in linea, di Christine Lagarde. “Il sistema bancario è solido, i risparmi vanno incanalati in investimenti produttivi nell’innovazione”, è stato il senso del discorso della presidente della Bce. Al tavolo con i 27, e nella stessa Dichiarazione di Budapest, i leader hanno evitato di fare alcun riferimento a risorse, finanziamenti o debiti comuni. Il concetto di eurobond, invero, è stato escluso anche dalla stessa von der Leyen che, nell’alveo degli “strumenti da esplorare” per dare spinta alla competitività, ha citato l’opzione risorse proprie, dal bilancio pluriennale, o quella di fondi nuovi, sulla stregua del Next Generation Ue. La discussione, in ogni caso, non è matura. Una prima proposta, ha annunciato von der Leyen, potrebbe vedere la luce nel giugno 2025. A Bruxelles sono convinti che, individuando prima delle priorità, sarà più facile far poi convergere tutti sugli strumenti finanziari. Ma non è detto. Sulla difesa, ad esempio, complice l’arrivo di Trump, è destinato a farsi più incalzante il pressing sui Paesi Ue per andare oltre il 2% nelle risorse da destinare alla Nato. “Farlo, rispettando il Patto di stabilità, è possibile”, ha suggerito Draghi. L’argomento, però, è esplosivo. Anche in Italia. “Sì ad investire di più nella difesa ma servono gli strumenti e nel nuovo Patto va fatto molto di più. Non sono disposta a prendermela con i cittadini italiani, i lavoratori. Come lei sa, noi spendiamo le risorse su priorità che sono reali”, è stata la frenata di Giorgia Meloni. La premier è arrivata a Bruxelles non facendo nulla per nascondere il rapporto privilegiato che ha con Elon Musk (“è un valore aggiunto e un possibile interlocutore”).

E ha osservato come, più che dal tycoon, “l’Europa debba trovare una quadra e prendere le misure di se stessa. Ricordo che il dibattito sulla competitività europea è un dibattito che è iniziato mesi fa all’indomani dell’Inflation Reduction Act”. Certo, per Meloni con l’arrivo di Trump il quadro muta drasticamente. Orban, da tempo, si presenta come l’emissario del trumpismo in Europa. Macron ha già colto l’occasione per ripresentarsi come punto di riferimento europeo. In mezzo, la premier italiana ha le chance per fare da raccordo in una complicata triangolazione che coinvolge anche von der Leyen. La Commissione si è data due mesi per pensare ad una strategia. Ma qualche idea per affrontare The Donald già c’è ed è basata sul concetto di reciproca utilità. “Importiamo ancora molto Gnl dalla Russia, perché non rimpiazzarlo con quello americano che costa meno e ci aiuterebbe sulla bilancia commerciale?”, è stata la proposta di von der Leyen mentre, al suo fianco, Orban e Michel si lanciavano sguardi interrogativi.

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Putin non vede Assad e tratta per salvare le basi

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La bandiera del deposto regime è stata sostituita da quella degli ex oppositori anche sull’ambasciata siriana a Mosca, e la sede diplomatica ha detto di essere ora in attesa di “istruzioni” da parte del nuovo governo. Non ci poteva essere segnale più chiaro di come il vento sia cambiato ma anche dell’incertezza che regna sul futuro, mentre il Cremlino cammina sul filo del rasoio cercando di non voltare completamente le spalle all’ex presidente ma anche di salvare il salvabile, a partire dalle sue basi sul Mediterraneo. E’ stato Vladimir Putin a prendere personalmente la decisione di concedere asilo “per motivi umanitari” ad Assad e alla sua famiglia, ha detto il portavoce Dmitry Peskov.

Una decisione fatta filtrare nella serata di domenica da “una fonte” all’agenzia Tass. Nessun annuncio ufficiale, insomma, e nessun incontro previsto, almeno pubblico, tra Putin e il suo ex protetto. “Non c’è alcun colloquio del genere nell’agenda ufficiale del presidente”, ha sottolineato Peskov, rifiutando anche di precisare quando sia stato l’ultimo incontro tra i due, anche se i media siriani avevano parlato di una visita segreta di Assad a Mosca alla fine di novembre. Il copione rispecchia la necessità della leadership russa di cercare di creare o mantenere contatti con i nuovi padroni a Damasco, con l’obiettivo primario di salvare la base navale di Tartus – l’unica di Mosca sul Mediterraneo – e quella aerea di Hmeimim, nella vicina Latakia. “E’ troppo presto per parlarne, in ogni caso questo sarà argomento di discussione con coloro che saranno al potere in Siria”, ha osservato il portavoce.

Ma per capire chi saranno costoro anche Mosca dovrà aspettare la formazione del governo, soppesare il ruolo e l’importanza delle varie figure e le influenze esercitate da potenze regionali e mondiali. Per questo, ha affermato Peskov, mentre la Siria si avvia ad attraversare “un periodo molto difficile a causa dell’instabilità”, è “molto importante mantenere il dialogo con tutti i Paesi della regione”. Compresa la Turchia, il principale sostenitore dei ribelli e jihadisti che hanno rovesciato Assad. La Russia cerca dunque di riprendersi dallo shock per lo smacco subito. “Quello che è successo probabilmente ha sorpreso il mondo intero, e noi non facciamo eccezione”, ha ammesso Peskov.

Mentre il segretario generale della Nato, Mark Rutte, non ha resistito alla tentazione di punzecchiare Mosca, insieme con Teheran, accusandole di essersi dimostrate “partner inaffidabili” di Assad. I media e i blogger militari russi si sono mostrati quasi altrettanto impietosi nell’analisi di quanto successo, e dei costi che Mosca potrebbe essere chiamata a pagare. Emblematico il titolo dell’autorevole giornale del mondo imprenditoriale Kommersant: ‘La Russia ha perso il principale alleato in Medio Oriente’. Mentre il canale Telegram Rybar, che vanta legami con il ministero della Difesa, mette in guardia dalle conseguenze di una possibile perdita delle due basi. Sia quella di Tartus sia quella di Hmeimim “hanno svolto un ruolo logistico importante per le operazioni della Russia in Libia e nel Sahel”, sottolinea il blog. Un rimedio efficace potrebbe essere l’apertura di una nuova base a Port Sudan, sul Mar Rosso. “Ma la guerra civile in Sudan non è ancora finita, il che complica i negoziati in corso”, valuta Rybar. Mentre un porto sulla costa libica della Cirenaica, di cui si parla da tempo, sarebbe troppo lontano per garantire i rifornimenti regolari con aerei da trasporto a pieno carico.

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Tv, Jolani sceglie premier di Hts per governo transitorio

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Sarà Muhammad Bashir, e non l’esiliato ex premier siriano Riad Hijab o l’attuale primo ministro Muhammad Jalali, il capo del governo di transizione a Damasco. Lo riferisce la tv al Jazira nella capitale siriana secondo cui Muhammad Bashir è il premier del “governo di salvezza”, che da anni amministra nel nord-ovest siriano le aree sotto controllo di Hayat Tahrir ash Sham (Hts), guidata da Abu Muhammad Jolani (Ahmad Sharaa). La scelta di Muhammad Bashir sarebbe stata imposta, afferma la tv, dallo stesso Jolani.

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Siria, Russia: prematuro parlare mantenimento presenza militare

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È prematuro parlare del mantenimento della presenza militare russa in Siria, sarà un argomento da discutere con le autorità. Lo ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov (foto Imagoeconomica in evidenza). “È prematuro parlare di questo. In ogni caso, è un argomento da discutere con coloro che saranno al potere in Siria”, ha dichiarato Peskov ai giornalisti, aggiungendo che il governo siriano sta attraversando un periodo di trasformazione ed è ancora instabile. L’esercito russo in Siria sta facendo tutto il necessario per garantire la sicurezza delle basi militari, ha dichiarato il funzionario, aggiungendo che la sicurezza di queste basi è una questione molto importante.

Le autorità russe stanno facendo tutto il necessario per entrare in contatto in Siria con quanti possono garantire la sicurezza delle basi militari, ha aggiunto. Ieri i gruppi armati dell’opposizione siriana hanno conquistato la capitale Damasco. Il primo ministro siriano Mohammad Ghazi al-Jalali ha dichiarato che lui e altri 18 ministri hanno deciso di restare nella capitale. Al-Jalali ha inoltre dichiarato di essere in contatto con i leader dei gruppi militanti entrati in città. Il ministero degli Esteri russo ha dichiarato che Bashar al-Assad si è dimesso da presidente e ha lasciato la Siria dopo i negoziati con alcuni partecipanti al conflitto siriano.

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