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Cronache

Biblioteca dei Girolamini, il procuratore Gratteri vuole capire quanto è stato depredato il complesso monumentale

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In un’importante iniziativa per preservare il patrimonio storico-artistico della città, il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, ha firmato un protocollo d’intesa con la Biblioteca e Complesso Monumentale dei Girolamini. L’accordo mira a stabilire un costante scambio di informazioni e una collaborazione reciproca tra le due istituzioni per realizzare un accurato censimento dei beni trafugati nel corso del tempo dal Complesso Monumentale.

Lo scopo principale dell’accordo è condurre un’analisi approfondita degli atti disponibili negli archivi della Città di Napoli, compresi quelli giudiziari, documentali e fotografici. Questo approccio consentirà di effettuare una puntuale ricognizione dei beni storico-artistici ubicati nella Chiesa e nella quadreria del Complesso Monumentale, oggetto di ripetute attività di spoliazione nel corso degli ultimi decenni.

Le attività svolte nell’ambito di questo accordo permetteranno di avviare indagini finalizzate al recupero e alla restituzione dei beni trafugati, nonché all’accertamento di condotte delittuose previste dal Titolo VIII bis del codice penale. La Procura di Napoli ha lungamente evidenziato la necessità di un’analisi paziente e approfondita degli archivi documentali pubblici e privati per ricostruire l’origine dei beni culturali e il relativo percorso illegale nel mercato clandestino.

Le opere d’arte che saranno identificate come disperse o sottratte illecitamente saranno inserite nella Banca Dati dei Beni Culturali Illecitamente Sottratti, una risorsa cruciale che raccoglie tutte le informazioni relative alle opere d’arte rubate. Questo sforzo congiunto tra la Procura di Napoli e la Biblioteca dei Girolamini rappresenta un passo significativo nella tutela del patrimonio culturale della città e nella lotta contro il traffico illecito di opere d’arte.

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Arresti per alleanza mafie, Cassazione dà ragione a pm Milano

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Tre indagati, tra cui Gioacchino Amico, nella maxi inchiesta “Hydra” della Dda di Milano, con al centro un’alleanza tra presunti affiliati delle tre mafie, Cosa Nostra, camorra e ‘ndrangheta, in Lombardia, sono stati arrestati oggi dai carabinieri del Nucleo investigativo, dopo che la Cassazione ha respinto i loro ricorsi al Riesame che lo scorso ottobre aveva accolto l’impianto accusatorio della pm Alessandra Cerreti e della Procura guidata da Marcello Viola.

Una decisione del Riesame che era arrivata dopo che il gip Tommaso Perna, invece, nell’ottobre del 2023 aveva rigettato 142 istanze di misura cautelare su 153, disponendo 11 arresti e bocciando l’accusa di associazione mafiosa come “consorzio” delle tre mafie, ribattezzato dai pm “sistema mafioso lombardo”. Dopo la prima, che si è tenuta ieri, di una lunga serie di udienze in Cassazione che si svolgeranno a scaglioni fino a metà febbraio su una quarantina di posizioni, ossia sugli indagati per cui il Riesame ha disposto la custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa, oggi è stato eseguito il provvedimento di rigetto dei tre ricorsi e di carcerazione.

Ed è stato arrestato Gioacchino Amico, presunto vertice della “struttura unitaria” lombarda per conto della Camorra del clan dei Senese. Arrestato anche Pietro Mannino, presunto esponente per Cosa Nostra, e a Vincenzo Senese, già detenuto per altri fatti, l’ordinanza è stata notificata in carcere. Dal dispositivo di rigetto dei primi tre ricorsi vagliati dalla Cassazione, e in attesa delle motivazioni, si può, comunque, dire che la Suprema Corte ha accolto la linea del Riesame sull’alleanza tra esponenti delle tre mafie. E ciò dopo che il caso “Hydra” aveva anche creato uno scontro tra pm e ufficio gip, a seguito della bocciatura dei numerosi arresti richiesti.

Il Riesame, lo scorso ottobre, dopo il ricorso della Dda su 79 posizioni con richiesta di carcere per associazione mafiosa, nelle indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo, ha disposto la custodia cautelare per 41 indagati, tra cui Paolo Aurelio Errante Parrino, 77 anni e che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato il “punto di raccordo” tra il presunto “sistema mafioso” in Lombardia e il “capo dei capi” Matteo Messina Denaro, che era suo cugino da parte di madre e morto nel 2023.

Per Parrino l’udienza in Cassazione è fissata per la prossima settimana e per tutte le altre posizioni ci saranno udienze fino a metà febbraio. Nel frattempo, gli indagati restano liberi, ma questa decisione di rigetto dei primi tre ricorsi delle difese pare andare verso l’accoglimento delle motivazioni del Riesame sugli arresti da eseguire. Per i giudici, che ad ottobre hanno accolto il ricorso della Dda, in Lombardia negli ultimi anni è esistita, sia dal punto di vista ‘militare’ con le attività più classiche, come estorsioni e traffici di droga, sia con le infiltrazioni finanziarie, una nuova e unica associazione mafiosa composta da presunti affiliati alle tre mafie, con una sorta di patto per affari in comune.

Avrebbero “trasferito nel sodalizio orizzontale tutti i tratti genetici delle associazioni di appartenenza”. Per il Riesame devono andare in carcere anche Giuseppe Fidanzati, presunto vertice per conto di Cosa Nostra, e Massimo Rosi, presunto esponente di vertice per la ‘ndrangheta. Per sei posizioni le misure cautelari erano state respinte anche dal Riesame per assenza di gravi indizi, mentre le restanti, ossia 32 in tutto, non sono state accolte solo per mancanza delle esigenze cautelari, con conferma, comunque, dei gravi indizi.

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Ucciso dopo una lite a Castel Volturno, padre e figlio condannati

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Pene elevate sono stati inflitte dalla Corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere per l’omicidio del 38enne Luigi Izzo, ucciso a coltellate nella notte tra il 5 ed il 6 novembre 2022 a Castel Volturno (Caserta) nel vialetto di casa, sotto gli occhi della moglie. I giudici hanno condannato all’ergastolo Alessandro Moniello e a 24 anni il figlio di quest’ultimo, Roberto, al quale sono state concesse le attenuanti generiche; per entrambi è stata riconosciuta l’aggravante dei futili motivi mentre è caduta la premeditazione.

Durante l’udienza, alla quale era presente anche il sindaco di Castel Volturno Pasquale Marrandino, ci sono stati momenti di tensione tra i parenti della vittima e gli imputati e i loro difensori, con quest’ultimi “scortati” fuori dall’aula dai carabinieri. La sentenza ha dunque riconosciuto la futilità del movente che portò all’omicidio di Izzo, barbiere di professione e padre di tre figli; il delitto sconvolse Castel Volturno, con tanta gente che partecipò ai funerali del 38enne. All’origine del delitto una lite avvenuta all’esterno di un bar della Domiziana tra il fratello di Izzo e Roberto Moniello; il 38enne barbiere avrebbe fatto da paciere, offrendosi di ripagare gli occhiali di Moniello che si erano rotti, ma ciò non è bastato e Izzo è stato raggiunto mentre tornava a casa con la moglie e la suocera, aggredito da Moniello e dal padre.

Questi ultimi durante il processo hanno sostenuto che l’aggressione a Luigi Izzo sarebbe stata frutto di un errore, visto loro volevano raggiungere il fratello di Izzo. Ad accoltellare il barbiere, appena sceso dall’auto per aprire il cancello di casa, è stato Alessandro Moniello, con il figlio Roberto che teneva ferma la vittima e incitava il padre, e che avrebbe poi partecipato attivamente, come sostenuto dalla Procura sulla base di una perizia, che parla di due coltelli usati (ma ne è stato trovato solo uno); il tutto sotto gli occhi della moglie di Izzo, Federica Sautto, che in aula, quando venne a testimoniare, raccontò che le ultime parole che avrebbe sentito pronunciare al marito furono: “Cosa volete da me?”. Oggi, la moglie di Izzo era presente. “Luigi non tornerà ma abbiamo vinto” ha detto dopo la lettura del dispositivo. Ad incastrare padre e figlio imputati anche un video estrapolato dalle telecamere di sorveglianza dei vicini di Izzo.

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Guerriglia urbana a Napoli, il Prefetto parla di “atti senza unica regia”. Borrelli: attacco allo Stato

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Quanto accaduto la scorsa notte sono fatti “ingiustificabili e condannabili senza se e senza ma”. Lo ha detto il prefetto di Napoli, Michele di Bari, che oggi ha convocato un comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica per fare il punto sul danneggiamento di tre auto dei carabinieri, avvenuto a Napoli, da parte di alcuni ragazzi che avevano accesso i falò per ricorrenza di Sant’Antonio Abate. Ai carabinieri e ai vigili del fuoco il prefetto ha espresso “piena solidarietà”.

I falò sono stati accesi anche con un giorno di anticipo rispetto a quanto avviene di consueto. Nel corso del comitato è stato anche sentito il deputato dei Verdi, Francesco Emilio Borrelli, che sui social ha segnalato quanto avvenuto ed ha parlato invece di regia criminale comune, di attacco frontale allo Stato e di presenza tra le baby gang di figli di camorristi ben conosciuti.

Da un’analisi attenta, fanno sapere invece dalla Prefettura di Napoli, si è evidenziato che si tratterebbe di singoli episodi, non per nulla collegati tra loro. Insomma che non avrebbero un’unica regia nè definibili come atti di guerriglia urbana. Al tavolo è stato evidenziato anche il notevole lavoro svolto dalle forze dell’ordine – polizia di stato, carabinieri, Gdf e polizia locale – che ha portato al sequestro di oltre trenta tonnellate di legname che era stato messo da parte per accendere i falò nella notte di Sant’Antonio, secondo una antica tradizione popolare. Gli agenti della polizia locale stanno in queste ore monitorando, in particolar modo, alcune aree della città.

 

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