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Politica

Aprile cruciale per Draghi, tra aperture e Recovery

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“Aprile sarà il mese del Recovery”. A Palazzo Chigi, a ridosso di Pasqua si delinea cosi’ la priorita’ numero per il governo Mario Draghi nelle prossime settimane. Una priorita’, quella del Piano di Ripresa e Resilienza, alla quale tuttavia si accompagna una serie di nodi. Uno su tutti, quello delle aperture sulle quali, gia’ nei prossimi giorni, se i contagi scenderanno la Lega tornera’ in pressing. E l’obiettivo, per gli “aperturisti” all’interno dell’esecutivo, e’ quello di portare il Consiglio dei ministri a deliberare le prime riaperture gia’ nell’ultima settimana di aprile. Per il premier – che per il weekend di Pasqua e’ andato con la moglie a Citta’ della Pieve per qualche giorni di relax pasquale – il primo dossier da affrontare dopo le feste sara’ di politica estera. La settimana prossima Draghi volera’ a Tripoli per un bilaterale con il Primo Ministro Abdulhamid Dabaiba, al governo da meno di un mese. E’ la prima missione all’estero per Draghi. E non e’ un caso che sia in Libia. Nel Paese nordafricano l’obiettivo del governo e’ riconquistare la leadership puntando sul business. E per l’Italia il jolly da giocare , si spiega in ambienti della maggioranza,e’ quello dell’ “autostrada della pace”, il progetto incluso nel Trattato d’amicizia siglato nel 2008 da Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi e sepolto dall’instabilita’ decennale che ha segnato la Libia. Ma ora, su quel progetto – secondo quanto spiegano fonti vicine al dossier – Tripoli ci punta eccome anche perche’ l’antica “via Balbia”, sul quale si sviluppera’ il progetto, unisce, sul versante costiero, le due grandi regioni – Tripolitania e Cirenaica – di un Paese che solo con Dabaiba ha ritrovato la formale unita’ governativa. Gli altri dossier “caldi” sono l’apertura di di un consolato a Bengasi e la grande partita energetica che l’Italia puo’ giocarsi in Libia. Una partita sulla quale, attraverso l’Eni, il governo vuole portare in Nordafrica un’intesa sulla transizione energetica, core business dell’esecutivo Draghi anche in chiave interna. Il rilancio della leadership italiana puo’ contare sul pieno sostegno degli Usa. Del resto, il primo ministro Ue ad essere ricevuto da Dabaiba e’ stato proprio Luigi Di Maio. Lo stesso che, questa mattina, ha co-firmato un editoriale con il segretario di Stato Usa Tony Blinken per rimarcare la piena sinergia tra l’Italia e la nuova amministrazione americana. E Draghi, nella sua visita, provera’ ad accelerare la manovra di avvicinamento del governo italiano alla nuova Libia. Con un occhio, anche, al tema dei migranti sul quale in Ue, nel frattempo, non si vede alcuna intesa all’orizzonte. Giovedi’ 8 aprile, invece, Draghi incontrera’ le Regioni sul dossier Recovery. Si parlera’ di governance innanzitutto, anche se il modello al quale guarda Palazzo Chigi resta quello franco-spagnolo, con il timone della cabina di regia saldamente in capo al Mef. Il Recovery, nelle prossime settimane, sara’ rimodulato rispetto al testo del governo Conte votato nei giorni scorsi alle Camere. E sul nuovo piano Draghi fara’ le sue comunicazioni in Parlamento alla fine di aprile. Non ci saranno stravolgimenti ma diverse modifiche e il governo vuole prendersi tutto il tempo necessario. Mentre i partiti premono, la Lega su tutti. Ma anche il M5S – con Stefano Patuanelli – rilancia alcuni cavalli di battaglia: dal servizio civile ambientale alla cessione del credito d’imposta anche agli istituti di credito sul modello del superbonus. E poi c’e’ il nodo cashback: c’e’ chi, come la Lega, vorrebbe toglierlo dal recovery per destinare altrove le risorse. E il 7 aprile il Senato votera’ su una mozione presentata da Fdi proprio per il ritiro – tout court – della misura. Ma aprile sara’ anche il mese del Def e del nuovo scostamento. Il governo interverra’ non prima della meta’ del mese e, con il procrastinarsi delle misure, l’extra deficit rischia di lievitare. Per M5S non puo’ essere inferiore ai 20 miliardi. Il viceministro Fi allo Sviluppo economico, Gilberto Pichetto Fratin, parla di almeno 30 miliardi. I “rigoristi” dei conti sembrano avere in mente una forbice anche al di sotto di 20 miliardi.

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Economia

Ocse, in Italia il cuneo fiscale supera il 45% nel 2023

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Per il lavoratore ‘single’ in Italia il peso delle imposte complessive sul salario è in media del 45,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (era del 45%). E’ quanto emerge dal rapporto Ocse per il 2023 ‘Taxing Waging. Il cuneo fiscale nell’Ocse è stato del 34,8% in media nel 2023 (34,7% nel 2022) e l’Italia figura al quinto posto per l’incidenza più alta tra i 38 Paesi Ocse, dopo Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%). In Italia, le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro rappresentano insieme il 90% del cuneo fiscale totale, mentre la media Ocse è del 77%. Per un lavoratore spostato con due figli il cuneo è invece inferiore e vede l’Italia all’ottavo posto con il 33,2% (era al nono posto nel 2022), rispetto a una media Ocse del 25,7%.

Tra il 2000 e il 2023 il cuneo fiscale per il lavoratore single è sceso di 2 punti percentuali (dal 47,1 al 45,1%). Nello stesso periodo nei paesi Ocse è sceso di 1,4 punti percentuali (dal 36,2 al 34,8%). Tra il 2009 e il 2023 invece il cuneo fiscale per il lavoratore medio single in Italia è sceso di 1,7 punti percentuali. Durante questo stesso periodo, il cuneo fiscale per il lavoratore single nei paesi Ocse è aumentato lentamente fino al 35,3% nel 2013 e nel 2014, scendendo al 34,8% nel 2023. L’aliquota fiscale netta del dipendente single in Italia nel 2023 è stata in media del 27,7% nel 2023, rispetto alla media Ocse del 24,9%. Tenendo conto degli assegni familiari e delle disposizioni fiscali, l’aliquota fiscale media netta del dipendente per un lavoratore sposato con due figli in Italia era del 12% nel 2023, il 26esimo valore più basso nei Paesi Ocse, e si confronta con il 14,2% della media Ocse.

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Politica

Mattarella: sull’antifascismo unità del popolo è doverosa

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Un regime “disumano” che “negava l’innegabile” attraverso una strettissima censura dei giornali, che “non conosceva la pietà”, che educava i bambini “all’obbedienza cieca ed assoluta”. Un regime, quello fascista, “totalmente sottomesso” a quello hitleriano nonostante le velleità di grandezza, inginocchiato ai nazisti che “ci consideravano un popolo inferiore”. Sergio Mattarella si spende il suo 25 aprile per una contundente lezione di storia che non lascia alcuno spazio ai revisionismi. Il presidente della repubblica ha scelto la cittadina toscana di Civitella Val di Chiana, dove i nazisti uccisero a freddo quasi 250 civili per ritorsione compiendo così un “gravissimo crimine di guerra”.

Mentre le piazze italiane ospitavano tra le tensioni una serie di manifestazioni nelle quali il ricordo del nazifascismo si sbiadiva nella contestazione ad Israele per i suoi sanguinosi attacchi sulla striscia di Gaza, il capo dello Stato almanaccava gli orrori compiuti dal fascismo, le sue codardie, il collaborazionismo con i nazisti fino all’ultimo tragico errore della repubblica di Salò, “il regime fantoccio instaurato da Mussolini sotto il controllo totale di Hitler”. Una serie potente di ricordi e citazioni per chiudere la porta, evidentemente Mattarella ne sentiva la necessità anche in questo turbolento 2024, a quei venticelli che soffiano distinguo e giustificazioni da e verso i palazzi della politica, quasi a voler mettere sullo stesso piano chi combattè per la libertà e chi quella libertà l’aveva svenduta ai nazisti. Un discorso tutto teso quindi alla “memoria” senza la quale, ha sottolineato, “non c’è futuro”.

Al presidente della Repubblica è stato necessario ripercorrere con crudezza la realtà storica per arrivare al cuore del messaggio di questo suo intervento per la Festa della “liberazione” che non è una festa della “libertà” genericamente intesa. C’è stato chi ha liberato e chi ha collaborato con i nazisti. “L’antifascismo” dovrebbe far parte del dna degli italiani, sembra dire Mattarella, ed è forse frustrante doverlo ripetere ad ogni 25 aprile. La costituzione nasce dalla Liberazione, da quanti la resero possibile, e non ci dovrebbero essere divisioni sulla giustezza dei valori che compongono e strutturano la parola “antifascista”, peraltro “fondanti” della stessa Costituzione. “Intorno all’antifascismo – ha spiegato il presidente – è possibile e doverosa l’unità popolare, senza compromettere d’altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico”.

Se l’anno scorso da Cuneo Mattarella chiuse il suo discorso con una frase ad effetto ed altamente simbolica, “ora e sempre Resistenza!”, dalla Toscana ha articolato il ragionamento parlando del “riscatto morale” che rimise in piedi l’Italia: “L’8 settembre, con i vertici del Regno in fuga, fece precipitare il Paese nello sconforto e nel caos assoluto. Ma molti italiani non si piegarono al disonore. Scelsero la via del riscatto. Un riscatto morale, prima ancora che politico, che recuperava i valori occultati e calpestati dalla dittatura. La libertà, al posto dell’imposizione. La fraternità, al posto dell’odio razzista. La democrazia, al posto della sopraffazione. L’umanità, al posto della brutalità.

La giustizia, al posto dell’arbitrio. La speranza, al posto della paura”. Ed anche, è il non detto, il coraggio di prendere le armi per ritrovare una dignità che si era perduta sin dal lontano 1924. L’anno dell’omicidio di Giacomo Matteotti voluto da Mussolini, eseguito dai suoi sgherri, coperto proprio da quel fascismo nascente che con l’uso compiacente dei media di allora, coprì, depistò ed insabbiò. Il coraggioso politico socialista ed antifascista del quale si celebrano i 100 anni dell’omicidio e la cui figura il presidente ha voluto ricordare perchè già allora il fascismo svelò “i suoi veri tratti brutali e disumani”.

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Politica

Vannacci, il parà sospeso si lancia in politica

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Per la Difesa ha mostrato “carenza del senso di responsabilità” e compromesso “il prestigio e la reputazione dell’Amministrazione di appartenenza”. Secondo Matteo Salvini è invece il nome buono da spendere alle Elezioni europee di giugno. Roberto Vannacci fa il suo 25 aprile e si libera dagli indugi, accettando la candidatura della Lega. Si apre così la prospettiva di una terza vita per il generale – sospeso dal servizio dallo scorso 28 febbraio – dopo quella in divisa e la carriera da scrittore: lotterà per affermare “i valori di Patria, tradizioni, famiglia, sovranità e identità” nelle aule di Strasburgo e Bruxelles.

Con l’annuncio di oggi si chiude quindi la lunga telenovela – “mi candido/non mi candido” – durata svariati mesi. Vannacci, toscano, 56 anni, 37 passati in divisa con il basco amaranto dei parà, al suo attivo missioni in teatri ad alto rischio come la Somalia, l’Afghanistan, l’Iraq, è diventato un personaggio appetibile per la politica nell’agosto scorso, con la pubblicazione del suo libro autoprodotto, ‘Il mondo al contrario’, caso letterario da oltre 200mila copie sull’onda delle polemiche per alcuni controversi passaggi: “Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione!”, i gay pride sono dominati da “sconcezze, stravaganze, blasfemie e turpitudini”, “se pianto la matita che ho nel taschino nella giugulare del ceffo che mi aggredisce – ammazzandolo – perché dovrei rischiare di essere condannato per eccesso colposo di legittima difesa visto che il povero malcapitato tentava solo di rubarmi l’orologio da polso?”. E ancora, il ricordo della sua curiosità nel 1975 a Parigi per le persone di colore: “nel metrò, fingevo di perdere l’equilibrio per poggiare accidentalmente la mia mano sopra la loro, per capire se la loro pelle fosse al tatto più o meno dura e rugosa della nostra”.

Concetti che hanno scatenato l’ostilità da parte del centrosinistra, ma anche stima e apprezzamento da parte di Salvini. Il best seller ha anche attirato l’attenzione del ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ha convocato il generale per contestargli le “farneticazioni personali” che “screditano l’Esercito, la Difesa e la Costituzione”. E’ partita quindi un’inchiesta disciplinare che si è conclusa nel febbraio scorso con la sospensione in servizio per 11 mesi. Da militare può candidarsi dopo aver chiesto una licenza, ma al momento è sospeso, dunque può evitarlo. Se sarà eletto dovrà chiedere l’aspettativa.

Per Vannacci – molto attivo sui social, nel suo profilo Facebook un’immagine di Corto Maltese sdraiato a guardare il cielo – ci sono anche guai giudiziari: deve rispondere infatti delle accuse di peculato e truffa, in relazione alle spese sostenute nel suo periodo da addetto militare italiano a Mosca, tra il 2021 ed il 2022. Tutti ‘contrattempi’ che non hanno impedito all’ufficiale di lavorare alacremente alla sua seconda fatica letteraria, ‘Il coraggio vince’, uscita a marzo e promossa con un lungo tour che ha toccato diverse regioni. L’ultima polemica, durante una delle sue ultime uscite promozionali, proprio sul 25 aprile: “non scendo in piazza, me ne vado al mare con le mie figlie. Non mi dichiaro antifascista perché sono cose successe ottanta anni fa”. Per il generale è comunque una data da ricordare: quella della sua discesa in campo da politico.

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