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Cronache

Mafia, la Dia confisca beni per 10 milioni di euro al boss Ercolano jr

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Beni per 10 milioni di euro sono stati definitivamente confiscati dalla Dia di Catania a Vincenzo Enrico Augusto Ercolano, 49 anni, figlio dello storico boss deceduto ‘Pippo’ e di Grazia Santapaola, sorella del capomafia ergastolano Benedetto ai vertici di ‘Cosa nostra’ etnea. Il provvedimento e’ stato emesso dal Corte d’appello di Catania dopo il pronunciamento irrevocabile della Cassazione nell’ambito delle indagini ‘Sud Pontino’ della Dia sui rapporti tra i clan camorristici dei Casalesi e dei Mallardo di Giuliano con la ‘famiglia’ mafiosa Santapaola-Ercolano. Al centro dell’inchiesta della Dda etnea la societa’ “Geotrans Srl”, di cui Vincenzo Ercolano curava l’intera attivita’, nonostante ne detenesse formalmente solo il 50%. L’indagato, inoltre, gestiva la societa’ con metodi mafiosi, imponendo le tariffe di mercato e impendendo la libera attivita’ del settore, e avrebbe anche utilizzato altre ditte per “recuperare” patrimonio aziendale e clienti della “Geotrans” dopo che era stata sequestrata.

Il provvedimento dispone anche per Vincenzo Ercolano la sorveglianza speciale, con l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza, per la durata di tre anni, oltre al versamento di una somma di 20.000 euro a titolo di cauzione. Imposta anche l’applicazione dei divieti previsti dal codice antimafia: l’impossibilita’ di conseguire licenze o autorizzazioni, concessioni di qualsiasi genere, iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi per la pubblica amministrazione e qualsiasi tipo di erogazione pubblica. Le indagini della Dia di Catania che hanno portato al provvedimento odierno sfociarono nell’operazione “Sud Pontino” del 2006 e nella “Caronte” del 2014, con dichiarazioni di collaboratori di giustizia che lo hanno accusato di estorsioni, minacce e violenze, intestazione fittizia di beni. In particolare col blitz “Sud Pontino” fu smantellato un sodalizio criminale che aveva al centro dei suoi interessi l’importante Mercato Ortofrutticolo di Fondi e fece emergere la sua figura di gestore e controllore nel settore dei trasporti, in nome e per conto della mafia. La confisca riguarda 100% delle quote, con relativo patrimonio aziendale, delle seguenti societa’: Geotrans Srl, costituita nel 1993 da Vincenzo Enrico Augusto Ercolano e dalla sorella Palma Cosima, di 56 anni, operante da anni nel settore del trasporto su gomma e della logistica, divenuta, in breve tempo, leader in tutta la Sicilia; Geotrans Logistica Frost Srl, societa’ controllata dalla Geotrans Srl per il 99% e per l’1% da Vincenzo Enrico Augusto Ercolano, costituita nel 2009 da altri soci, che, successivamente, cedevano le proprie quote agli Ercolano; R.C.L, societa’ costituita nel 2014 da alcuni dipendenti della Geotrans Srl; E.T.R. di Cosima Palma Ercolano, impresa individuale costituita nel 2001 e attiva nell’autotrasporto per conto terzi. Il valore del patrimonio confiscato e’ stimato dalla Dia in circa dieci milioni di euro.

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Ristoratrice Giovanna Pedretti morta: non ci fu istigazione al suicidio

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Si è suicidata per sua scelta Giovanna Pedretti la ristoratrice di Sant’Angelo Lodigiano trovata senza vita il 14 gennaio 2024 sulle sponde del fiume Lambro, dopo che era stata al centro di polemiche per la sua risposta di civiltà a una recensione online che criticava la presenza di gay e disabili nel suo locale, che si è scoperta fasulla. A questa conclusione è giunta la Procura della Repubblica di Lodi che, dopo 4 mesi di indagini senza indagati per istigazione al suicidio, ha chiesto l’archiviazione. Per i pm, Giovanna si è annegata, “dopo numerosi tentativi autolesivi a mezzo di uno strumento da taglio non capace di lesioni profonde”. Nessuno la ha aiutata, nessuno ha istigato la donna che da tempo appariva provata.

Questo, infatti, è emerso dall’analisi del primo telefonino di Giovanna ritrovato, mentre il secondo, rinvenuto imbevuto d’acqua accanto al cadavere, era inservibile. Nessuna colpa di giornalisti, blogger o giornalisti che hanno messo in dubbio l’autenticità del post o altri. E nessun dubbio sul fatto che la ristoratrice abbia fatto tutto da sola: il suo percorso da casa al luogo della morte è stato ripreso interamente da telecamere. E’ uscita poco dopo le 4 di notte da casa, ha fatto più tappe, inclusa una sosta nel luogo dove anni fa si era suicidato il fratello fino ad arrivare sulle rive del Lambro alle porte di Sant’Angelo dove si è suicidata. Un percorso fatto. senza che nessuno la seguisse e senza aver telefonato o aver ricevuto telefonate da qualcuno. Questo dicono le indagini eseguite dai carabinieri di Lodi che la Procura ha definito minuziose e che hanno appurato come il post con la recensione non fosse “genuino”.

“Nessuno ha indotto nessuno al suicidio. La recensione era falsa” ha scritto sui social Selvaggia Lucarelli, che con il compagno Lorenzo Biagiarelli aveva messo in dubbio l’autenticità del post, ricevendo a sua volta critiche dopo la morte di Giovanna. “La stampa ha mentito due volte. Dando una notizia falsa sulla recensione – ha aggiunto – e dando una notizia falsa sui responsabili di una morte. Una storia squallida e meschina che racconta bene il sistema”. Intanto la famiglia di Giovanna, informata immediatamente della richiesta di archiviazione del procuratore Maurizio Romanelli, si riserva di opporsi ma questa opzione appare, attualmente, molto remota. Marito e figlia, che solo lo scorso aprile hanno riaperto il locale trasformandolo in una pizzeria da asporto, continuano a richiedere a tutti il rispetto della privacy e del loro dolore.

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Auto in una scarpata dopo sorpasso azzardato, un morto

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Sarebbe stato un sorpasso azzardato a causare il grave incidente avvenuto nel pomeriggio di sabato a Luino (Varese) lungo la strada provinciale 61 che conduce verso Cremenaga, e poi al confine svizzero, che ha portato al bilancio di un morto e sei feriti, di cui tre gravi. A perdere la vita un uomo di 43 anni, Francesco Ferrazzo, seduto sul sedile anteriore del passeggero della Golf Volkswagen che, secondo una prima ricostruzione, avrebbe tentato il sorpasso, urtando un’altra vettura e finendo poi in fondo a una scarpata che costeggia la diga di Creva dopo un salto di oltre tre metri. Nello schianto sono rimaste coinvolte quattro auto: sei i feriti di cui tre in gravi condizioni. Ferrazzo è morto all’istante.

La dinamica è comunque ancora al vaglio degli agenti del comando di Polizia Locale di Luino. Dopo il primo impatto tra la Golf e una seconda vettura sono state coinvolte anche le altre due vetture. Le verifiche sono complicate dal numero di mezzi coinvolti e dal fatto di non aver potuto verbalizzare immediatamente le testimonianze delle altre sei persone coinvolte nell’incidente tutte rimaste ferite e trasportate in ospedale. L’autorità giudiziaria procede per omicidio stradale. Al momento, vista la complessità della ricostruzione, il fascicolo è contro ignoti.

Alla guida della Golf c’era un coetaneo e compaesano della vittima, entrambi risultano residenti a Cremenaga (Varese). L’automobilista al volante è rimasto incastrato nelle lamiere dell’abitacolo deformate dall’urto. E’ lui il ferito più grave trasportato all’ospedale di Circolo di Varese in codice rosso. Per liberarlo e consentire al personale sanitario di soccorrerlo sono intervenuti i vigili del fuoco del distaccamento di Luino che hanno utilizzato delle cesoie pneumatiche per tagliare il metallo. Il 118 in posto ha inviato cinque ambulanze, un’automedica e due elicotteri del soccorso alzatisi in volo da Milano e da Como. L’autorità giudiziaria ha disposto il sequestro della salma del 43enne e dei quattro mezzi coinvolti.

Nelle prossime ore sarà affidato l’incarico per l’autopsia sul corpo di Ferrazzo e non è escluso che, vista la complessità della ricostruzione della dinamica, possa essere affidato anche l’incarico per una perizia cinematica mirata ad accertare con esattezza fatti e responsabilità. L’incidente ha avuto pesanti ripercussioni sul traffico, la Provinciale è infatti rimasta chiusa al traffico in entrambe le direzioni per oltre tre ore per consentire il soccorso dei feriti e il recupero dei mezzi.

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Torture al carcere minorile Beccaria, altre presunte vittime dai pm

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Con la prossima settimana comincerà un periodo cruciale per l’indagine della Procura di Milano sulle presunte torture al carcere minorile Beccaria che ha portato in cella e alla sospensione 21 agenti di polizia penitenziaria, tre dei quali, come ha disposto ieri il gip Stefania Donadeo, ai domiciliari e altri cinque rientrati in servizio ma destinati ad altre mansioni e in altri uffici. Infatti martedì prossimo, oltre all’udienza davanti al Tribunale del Riesame chiamato a decidere sulla revoca della misura cautelare avanzata da due guardie carcerarie, il pm Rosaria Stagnaro, titolare del fascicolo assieme alla collega Cecilia Vassena e all’aggiunto Letizia Mannella, sentirà i primi tre dei dieci ragazzi che si ritiene siano stati vittime di ulteriori episodi rispetto a quelli contestati nell’ordinanza di custodia cautelare.

Si tratta di altre sospette aggressioni su cui inquirenti e investigatori stanno lavorando da qualche settimana grazie non solo a nuove denunce, ma anche a una serie di elementi raccolti e ad approfondimenti sulle immagini di videosorveglianza all’interno dell’istituto penitenziario. Istituto che fino a qualche anno fa era ritenuto all’avanguardia per il lavoro di formazione professionale e recupero e che, come testimoniano gli atti dell’indagine, ora si è trasformato in un girone “infernale”.

E proprio l’incrocio tra le testimonianze che i pm raccoglieranno, secondo la tabella di marcia, in un paio di settimane, i filmati e gli esiti delle analisi delle cartelle mediche dei giovani passati in infermeria e acquisite nei giorni scorsi, potrebbe aggravare il quadro, Dalla nuova attività istruttoria infatti da un lato potrebbero essere individuati nuovi pestaggi ed episodi di violenza e dall’altro ulteriori manipolazioni di referti e relazioni di servizio al fine, come si ipotizza, di cancellare le botte e quelle che sono ritenute torture.

Gli accertamenti infatti proseguono anche per accertare eventuali presunte omissioni e coperture da parte del personale medico, educativo e dei vertici della struttura, tra cui le due ex direttrici Maria Vittoria Menenti e Cosima Buccoliero, che sono a loro volta indagate. Insomma l’inchiesta potrebbe estendersi con l’aggiunta di altri nomi ai 25 indagati, tra i quali le due ex direttrici che avrebbero avuto un comportamento omissivo.

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