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L’ex ambasciatore della Corea del Nord a Roma Jo Song-gil è sparito dall’Italia ma è sotto protezione altrove

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L’ex ambasciatore della Corea del Nord a Roma sparito lo scorso anno Jo Song-gil ha lasciato l’Italia ed è sotto protezione: lo riporta oggi l’agenzia di stampa sudcoreana Yonhap, citando lo spionaggio di Seul.

Jo ha abbandonato il suo posto di incaricato d’affari nordcoreano presso l’ambasciata di Pyongyang a Roma lo scorso novembre ed è scomparso con sua moglie in quella che è sembrata essere una ricerca di asilo politico. “Ha lasciato l’Italia ed e’ protetto da qualche parte”, ha dichiarato Lee Eun-jae del partito di opposizione sudcoreano Liberty Korea dopo un incontro a porte chiuse con il direttore del Servizio di intelligence nazionale Suh Hoon.

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La Norvegia chiude le frontiere ai turisti russi dal 29 maggio

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La Norvegia ha annunciato la chiusura delle frontiere ai turisti russi a partire dal 29 maggio, privandoli dell’ultimo punto di accesso diretto allo spazio Schengen. “La decisione di inasprire le regole di ingresso è in linea con l’approccio della Norvegia di stare al fianco dei suoi alleati e partner in risposta alla guerra illegale di aggressione della Russia contro l’Ucraina”, ha detto il ministro della Giustizia, Emilie Enger Mehl, in un comunicato stampa.

La Norvegia, membro della Nato che condivide una frontiera terrestre di 198 km con la Russia nell’Artico, ha quasi smesso di concedere visti turistici ai cittadini russi dalla primavera del 2022. Solo i titolari di un visto a lungo termine rilasciato prima di questa data o concesso da un altro paese dell’area Schengen potevano attraversare il posto di frontiera di Storskog-Boris Gleb, l’unico punto di passaggio terrestre tra i due Paesi. Ora sarà loro vietato entrare nel regno dal 29 maggio. Sono previste alcune eccezioni, ha affermato il ministero, in particolare per i cittadini russi che visitano i loro parenti stretti residenti in Norvegia e per coloro che lavorano o studiano nel Paese o in altri Stati dell’area Schengen. Sebbene non sia membro dell’Ue, la Norvegia è strettamente associata ad essa e ha adottato quasi tutte le sanzioni adottate da Bruxelles contro la Russia.

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Sfida russa: armi nello spazio e modifiche ai confini

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Il giorno dopo l’avvio di esercitazioni per l’uso di armi nucleari tattiche, da Mosca arriva un’altra notizia destinata a creare nuove tensioni con l’Occidente. Il ministero della Difesa ha avanzato una proposta per rivedere i confini sul Mar Baltico con Finlandia e Lituania. Ad una decisa smentita ufficiosa, ha fatto seguito una mezza ammissione del Cremlino, mentre Helsinki e Vilnius hanno chiesto spiegazioni a Mosca. Contemporaneamente il Pentagono ha accusato la Russia di aver lanciato il 16 maggio un satellite che “probabilmente è un’arma contro-spaziale”, posizionandolo nella stessa orbita di un satellite del governo americano.

Il vice ministro degli Esteri russo Serghei Ryabkov, responsabile delle relazioni con gli Stati Uniti, ha smentito, parlando di “fake news”. E il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha affermato che Mosca agisce “assolutamente in conformità con il diritto internazionale” e sostiene “il divieto di lanciare qualsiasi arma nello spazio”. Intanto, dopo il vertice a Pechino tra i presidenti Vladimir Putin e Xi Jinping, la Gran Bretagna afferma che la Cina sta fornendo a Mosca aiuti militari “letali” da utilizzare nel conflitto in Ucraina. Si tratta di “uno sviluppo significativo”, ha detto il ministro della Difesa di Londra, Grant Shapps, che ha parlato di prove fornite dall’intelligence britannica e americana. La proposta di rivedere le coordinate geografiche per modificare i confini marittimi nel Baltico è stata postata in un sito governativo dal ministero della Difesa, che dopo alcune ore lo ha cancellato.

La motivazione addotta è che le coordinate in vigore, stabilite dall’Unione Sovietica nel 1985, si basavano su mappe nautiche di piccola scala risalenti alla metà del XX secolo, e “non corrispondono pienamente alla moderna situazione geografica”. L’obiettivo della proposta sembra quello di dichiarare come acque interne della Russia quelle che circondano un gruppo di isole russe nel quadrante orientale del Golfo di Finlandia e quelle su cui si affacciano le località di Baltiysk e Zelenogradsk, nella exclave di Kaliningrad. Dopo che la notizia della proposta si era diffusa ieri sulle agenzie russe, una “fonte politico-militare” citata dagli stessi media ha assicurato che Mosca non ha “alcuna intenzione di rivedere la linea del confine di Stato nel Baltico”.

Ma il portavoce Peskov non ha smentito la proposta, invitando i giornalisti a rivolgersi ai suoi autori al ministero della Difesa per avere notizie in proposito. In generale, ha aggiunto, il livello delle tensioni, specie in questa regione, “richiede relativi passi” di ministeri e agenzie russe “per garantire la sicurezza nazionale”. Molto dura la risposta della Lituania. “È in corso un’altra operazione ibrida russa, questa volta nel tentativo di diffondere paura, incertezza e dubbi sulle loro intenzioni nel Mar Baltico”, ha scritto su X il ministro degli Esteri di Vilnius, Gabrielius Landsbergis. “Si tratta – ha aggiunto – di un’evidente escalation contro la Nato e l’Ue che deve essere affrontata con una risposta adeguatamente ferma”. Una fonte del governo lituano ha detto che “un rappresentante della Federazione Russa” è stato convocato “per ottenere una spiegazione completa”. Più prudente la reazione della Finlandia, che ha annunciato di voler chiedere anch’essa spiegazioni alla Russia attraverso i canali diplomatici. Il primo ministro Petteri Orpo ha affermato di “non vedere al momento motivi di maggiore preoccupazione”.

“Una volta scoperto esattamente qual è il problema si trarranno le conclusioni”, ha aggiunto il premier, sottolineando che le “autorità hanno sempre monitorato la situazione e dall’inizio sono state in contatto con la Russia attraverso i canali diplomatici”. Intanto sul terreno in Ucraina il ministero della Difesa di Mosca ha detto che le truppe russe hanno conquistato un altro villaggio, Klescheevka, nella regione di Donetsk. Mentre in quella di Kharkiv il capo dell’amministrazione politico-militare filorussa, Vitaly Ganchev, ha annunciato che 49 villaggi sono caduti finora nelle mani dei soldati di Mosca. Di questi, 13 durante l’avanzata cominciata il 10 maggio dal confine russo a nord-est e 36 in quella in corso da mesi da sud nel distretto di Kupyansk.

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Sono 9 gli Stati Ue che riconoscono la Palestina

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Dopo la decisione di Spagna e Irlanda (insieme con la Norvegia) sono saliti a 9 i Paesi dell’Unione europea a riconoscere uno Stato di Palestina. A livello Onu, secondo l’Anp, questa posizione è stata assunta dal 70% dei membri: 142 su 193. Tra loro non ci sono l’Italia e gli Stati Uniti.

* EUROPA – La Svezia è stato il primo Paese Ue a fare questo passo, nel 2014, al culmine di mesi di scontri tra israeliani e palestinesi a Gerusalemme est. Lo Stato di Palestina era già stato riconosciuto da Bulgaria, Cipro, Ungheria, Polonia, Romania, l’allora Cecoslovacchia, quando erano nell’orbita dell’Urss (ma dopo la divisione con la Slovacchia, la Repubblica Ceca ha fatto un passo indietro). Oggi, sull’onda dell’offensiva israeliana a Gaza, è arrivato il sostegno alla statualità palestinese dalla Norvegia (che non fa parte dell’Ue), dall’Irlanda e dalla Spagna. Malta riconosce il diritto dei palestinesi alla statualità ma non formalmente lo Stato di Palestina, anche se lo scorso marzo si è detta pronta a fare questo passo, così come la Slovenia, “quando le circostanze saranno giuste”.

Per Emmanuel Macron la questione del riconoscimento di uno Stato palestinese senza una pace negoziata non è più “un tabù per la Francia”, anche se Parigi al momento non è orientata a farlo. Quanto all’Italia, ritiene che questa soluzione si debba raggiungere attraverso i negoziati tra israeliani e palestinesi. Posizione condivisa con gli Stati Uniti.

* RESTO DEL MONDO – Quasi tutta l’Asia, l’Africa e l’America Latina riconoscono formalmente lo Stato palestinese. L’Algeria è stato il primo Paese, nel 1988, dopo la proclamazione unilaterale di un’entità statuale da parte dell’allora leader dell’Olp Yasser Arafat. Dopo poche settimane decine di Paesi hanno seguito l’esempio: gran parte del mondo arabo, India, Turchia, gran parte dell’Africa.

Nel biennio 2010-2011 si sono uniti una serie di Paesi sudamericani tra cui Argentina, Brasile e Cile. Nel novembre 2012 la bandiera palestinese è stata issata per la prima volta alle Nazioni Unite a New York, dopo che l’Assemblea Generale ha votato a stragrande maggioranza per elevare lo status dei palestinesi a “Stato osservatore non membro”. Il 10 maggio scorso l’Assemblea ha votato una risoluzione affermando che la Palestina è “qualificata a diventare Stato membro” con 143 voti a favore, 25 astenuti (Italia compresa) e nove contrari, tra cui gli Usa. Washington, così come Roma, mantiene comunque relazioni diplomatiche con l’Autorità Nazionale Palestinese, insieme con Canada, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda.

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