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Economia

Nuovo balzo del gas, l’Austria teme lo stop dalla Russia

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La Russia è ancora in grado di muovere il prezzo del gas in Europa, nonostante il ruolo marginale delle sue forniture in alcuni Paesi, tra cui l’Italia. E’ bastato l’allarme dell’operatore austriaco Omv a far scattare gli acquisti sul mercato di Amsterdam, dove i future sul mese di giugno hanno aperto in calo sotto i 33 euro (-0,62% a 32,8 euro al MWh), per chiudere con un rialzo del 4,2% al 34,39 euro al MWh.

Un “messaggio urgente” , quello di Omv, che è stato diffuso nella mattinata per informare il mercato sul rischio di un blocco delle forniture da parte di Gazprom Export. Un timore – spiegano a Vienna – dovuto alla decisione di una “corte straniera” ottenuta da una “grande compagnia energetica europea” che, se applicata in Austria, costringerebbe Omv a pagare le forniture di gas a tale compagnia europea anziché a Gazprom Export, con il rischio che quest’ultima decida di chiudere i rubinetti. “Nel caso in cui scatti la restrizione della corte sui pagamenti – spiega Omv – è possibile che Gazprom Export interrompa le forniture di gas, colpendo il mercato del gas austriaco”, come già avvenuto altrove in situazioni analoghe.

L’operatore sottolinea che la propria controllata Ogmt (Omv Gas Marketing & Trading) sarà comunque in grado di “garantire le forniture di gas ai propri clienti con alternative provenienti da fonti non russe, grazie agli sforzi di diversificazione compiuti negli ultimi anni”. Già oggi Vienna si procura il gas dai giacimenti in Norvegia e in Austria e da altri produttori internazionali. Inoltre sono attivi contratti di fornitura di gas naturale liquefatto di lungo termine che viene importato attraverso il rigassificatore di Omv di Rotterdam (Olanda). L’operatore austriaco partecipa poi come “potenziale acquirente” alle aste comuni della Piattaforma Ue per l’Energia. Infine Vienna precisa di avere accesso a “tutti i principali mercati dell’Europa Centrale e del Nordovest” e di disporre della “corrispondente capacità di trasporto” del gas. Proprio l’Austria, con il 77,32% di stoccaggi a 756,52 TWh è il 4/ paese europeo per scorte di gas dopo la Germania (71,37% a 176,58 TWh), l’Italia (71,33% a 142,7 TWh) e i Paesi Bassi (60,72% a 87,45 TWh).

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Concordato parte scontato, il primo anno al 50%

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Il concordato preventivo biennale allarga le maglie nel tentativo di recuperare più contribuenti possibile. Il nuovo sistema, fiore all’occhiello della riforma fiscale di Maurizio Leo, norma su cui tutto il governo punta per reperire nuove risorse indispensabili per proseguire l’anno prossimo con il taglio dell’Irpef, sarà in due tappe. E, proprio per ampliare al massimo la platea, partirà con un maxi-sconto. Il primo anno, secondo quanto anticipato dal quotidiano il Sole 24 ore, offrirà ai contribuenti che decideranno di aderire un’agevolazione del 50% sull’imponibile richiesto dal fisco; il secondo anno salirà invece al 100%, dando quindi alle partite Iva che lo avranno scelto più tempo per adeguarsi.

In pratica, se l’aumento del reddito necessario per ottenere il massimo punteggio di affidabilità fiscale (voto 10) sarà pari a 10.000 euro, per accordarsi con l’amministrazione finanziaria sui redditi di quest’anno sarà sufficiente pagare il dovuto su un aumento dell’imponibile di 5.000 euro. Nel 2025 si terrà invece conto della cifra intera. Ad essere interessati sono potenzialmente 4,5 milioni di partite Iva. Per la maggior parte di loro sono pronti i calcoli dell’Agenzia delle Entrate per aderire al concordato in base alle richieste del fisco. Il software per sapere quanto si dovrà pagare per mettersi in regola è attivo online sul sito dell’Agenzia con tutti i relativi aggiornamenti e con una guida operativa per assistere gli interessati passo passo. Per chi invece risulta già in regime forfettario dal 2023 la piattaforma sarà avviata entro il 15 luglio. In base al decreto legislativo dello scorso febbraio, il termine ultimo per valutare il da farsi alla luce dei calcoli e aderire è il 15 ottobre, ma le Finanze hanno già previsto solo per quest’anno, il primo di applicazione, uno slittamento di due settimane, al 31 dello stesso mese.

La nuova scadenza sarà messa nero su bianco in un decreto correttivo che arriverà con ogni probabilità sul tavolo del consiglio dei ministri giovedì prossimo. Lo stesso 31 ottobre diventerà a regime la data ultima per la trasmissione telematica dei modelli Redditi e Irap. Secondo uno studio della Cgia di Mestre, la propensione all’evasione investe soprattutto le regioni del Mezzogiorno: in Calabria è al 18,4%, in Campania al 17,2, in Puglia al 16,8 e in Sicilia al 16,5, mentre i più fedeli sono la Provincia autonoma di Trento con una stima dell’evasione dell’8,6%, la Lombardia con l’8% e la Provincia autonoma di Bolzano con il 7,7%.

La media nazionale è pari all’11,2%. La Cgia ricorda che l’evasione in Italia è di 83,6 miliardi di euro (anno 2021 ultimo disponibile), secondo i dati del Mef. L’Italia conta 43,3 milioni di contribuenti dei quali poco più di 42 milioni sono persone fisiche e 1,3 milioni quelle giuridiche. Tra le 107 province monitorate dalla Cgia, Roma presenta il più alto numero di contribuenti Irpef: 2,9 milioni di persone di cui 1,7 milioni di lavoratori dipendenti, 904 mila pensionati e 64.300 soggetti con redditi da partecipazione. Seguono Milano (2,4 milioni), Torino e Napoli (1,6), Brescia (927.100), Bari (828.500), Bergamo (823 mila) e Bologna (796.700). Infine, sulle società di capitali (Spa, Sapa, Srl, Srl unipersonale, cooperative, etc.), la distribuzione territoriale disponibile è solo regionale e ad ospitarne il maggior numero è la Lombardia con 259.805. Seguono il Lazio (183.800), la Campania (129.300) e il Veneto (106.800).

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Economia

Bankitalia, il Pil si ferma a 0,6% coi tassi ancora alti

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La Banca d’Italia resta prudente sulla crescita dell’economia italiana: 0,6% è la stima per il 2024, come nello scenario pubblicato ad aprile nonostante l’Istat abbia appena indicato che il Pil, dopo il +0,3% del primo trimestre, ha già una crescita acquisita (che si verificherebbe cioè con crescita zero nel resto dell’anno) proprio dello 0,6%. Numeri che, anche non depurati dalle giornate lavorative (così facendo la crescita quest’anno si fermerebbe a 0,8%) restano meno generosi dell’1% indicato dal Def per il 2024. Per Via Nazionale, se il 2024 si ferma a poco più di mezzo punto percentuale di crescita, le previsioni per il 2025 e 2026 sono da ‘limare’ rispettivamente allo 0,9% (da 1% indicato in aprile) e 1,1% (da 1,2%). Una maggior prudenza motivata “principalmente per via delle ipotesi, desunte dai mercati, di tassi di interesse lievemente più elevati”.

Messaggio in codice con cui si accenna al fatto che la Bce (nel cui Consiglio direttivo la Banca d’Italia ha un suo rappresentante nella figura del Governatore), pur avendo appena tagliato i tassi, ha smorzato gli entusiasmi per una ‘svolta’: nei prossimi mesi potrebbero esserci delle pause. Inducendo gli investitori a quasi escludere un nuovo taglio a luglio, e concentrare le proprie aspettative per una prossima riduzione solo a settembre, e poi magari a dicembre. E’ lo scenario d’inflazione peggiore del previsto a dettare la cautela della Bce, la stessa che ieri ha manifestato la Fed anticipando un solo taglio dei tassi per un 2024 che doveva essere l’anno dei continue riduzioni del costo del denaro.

Banche centrali in assetto ancora restrittivo, dunque, che assieme alla forte turbolenza politica in Francia con le elezioni parlamentari anticipate, deprime le Borse (Milano chiude a -2,18%, Parigi e Francoforte si avvicinano a -2%) riportando oggi lo spread btp-bund poco sotto i 150 punti base (147 in chiusura) e quello Francia-Germania a 70, ai massimi dal 2017. Proprio i tassi d’interesse che faticano a scendere manderanno in negativo gli investimenti (da +0,9% di quest’anno a -0,2% del 2025 e -0,3% del 2026 nelle stime di Bankitalia), anche se il fattore chiave è la stretta ai bonus edilizi che provocherà una “marcata contrazione degli investimenti in costruzioni” attenuata solo in parte dagli investimenti pubblici del Pnrr.

La crescita, dunque, verrebbe ad essere trainata dai consumi che, dopo la caduta nel 2022 e 2023 a causa dell’inflazione alle stelle, tornerebbero a crescere nel corso del 2024 (0,2%) e oltre l’1% nel 2025 e 2026 grazie alla bassa disoccupazione (rivista in meglio per il biennio 2024-2025 a 7,3% da 7,5% di aprile). E poi c’è l’impulso dell’export, che Bankitalia migliora a +2,3%, +3% e +3,2% nel triennio 2024-2026 ma con un caveat: “i rischi per la crescita sono orientati al ribasso e derivano dalla possibilità che l’accelerazione degli scambi internazionali sia più contenuta e graduale di quanto atteso e che la dinamica degli investimenti si indebolisca in misura maggiore”.

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Economia

Il lavoro cresce, ma si cerca ancora tra parenti e amici

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Il mercato del lavoro continua a viaggiare con il segno positivo, trainato ancora dall’aumento dei dipendenti stabili e dal recupero degli autonomi, a fronte del calo degli occupati a termine. E dei disoccupati. Un mercato, dunque, che si conferma in ripresa, mentre cambiano di poco le dinamiche per l’ingresso. Nella ricerca di un posto per la stragrande maggioranza dei casi continua a prevalere l’uso del cosiddetto canale informale: ovvero rivolgersi a parenti, amici e conoscenti. A certificarlo sono gli ultimi dati dell’Istat, che rilevano quasi 400mila occupati in più nel primo trimestre dell’anno, rispetto ad un anno prima.

Le tabelle mostrano nello specifico una crescita annua di 394mila occupati (+1,7%), che coinvolge innanzitutto i dipendenti a tempo indeterminato (+478mila, +3,1%) e poi gli indipendenti (+48 mila, +1,0%), mentre quelli a termine diminuiscono (-132mila, -4,6%). Dinamica positiva anche rispetto al trimestre precedente: gli occupati aumentano di 75mila unità (+0,3%), con la crescita dei dipendenti permanenti (+92mila, +0,6%) e degli autonomi (+32mila, +0,6%), che compensano il calo dei dipendenti a termine (-49mila, -1,7%). Il tasso di occupazione raggiunge il 62,0%, il tasso di disoccupazione scende al 7,2% e quello di inattività sale al 33,1%. Dati anche migliori in quelli provvisori di aprile scorso, con il tasso di occupazione record al 62,3% e quello di disoccupazione in discesa al 6,9%.

Plaude la ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Calderone: “Aumento del lavoro stabile, del lavoro autonomo, delle ore lavorate. Chi sostiene che in Italia aumenta il lavoro precario viene smentito dai dati Istat e da tutte le proiezioni che dimostrano invece quanto sia efficace l’azione del governo”, commenta. Un punto su cui insiste anche la Cisl, dicendo basta “all’enfasi sulla precarietà”, perché – sostiene – distoglie dagli altri problemi che riguardano l’occupazione di donne e giovani, per i quali “nonostante i progressi, restiamo agli ultimi posti in Europa”.

E, dice il segretario confederale Mattia Pirulli, questa situazione “non si contrasta cambiando le leggi sul lavoro” bensì insistendo sull’orientamento scolastico e universitario, sulle politiche attive, sulla formazione e sulla conciliazione vita-lavoro. Nessuno la cita, ma il riferimento sembra essere in primis alla Cgil che ormai da tempo porta avanti la sua battaglia contro la precarietà e per i quattro referendum sul lavoro (e contro il Jobs act), sui quali ha già raggiunto le 500mila firme. Per Confesercenti, l’aumento degli occupati sta trainando la crescita, grazie anche alla spinta di turismo e ristorazione, che tra gennaio e marzo – sottolinea – registrano una crescita di dipendenti del 6,9%.

E per cercare di entrare nel mondo del lavoro continuano a prevalere le vie informali. La pratica di rivolgersi a parenti, amici e conoscenti resta la più diffusa: la quota di chi lo fa rimane al 75,7%, come indicano sempre i dati Istat sul primo trimestre dell’anno, confrontati con il primo trimestre 2023. Seguono l’invio di domande e curriculum (65,4%, +1,3 punti) e la consultazione di offerte di lavoro (49,2%, +1,8 punti). In maggiore aumento, tra i disoccupati, risulta la quota di chi si rivolge al Centro pubblico per l’impiego (27,3%, +3,3 punti) e, seppur meno intensamente, cresce anche quella di chi si rivolge alle agenzie private di intermediazione o somministrazione (20,0%, +0,8 punti). Nei primi tre mesi dell’anno crescono anche le ore lavorate (+0,6% rispetto al trimestre precedente e +1,5% sul primo trimestre 2023), più del Pil (+0,3% congiunturale e +0,7% annuo). E sale anche il costo del lavoro: +1,6% in un anno, spinto dalle retribuzioni (+1,8%), più dei contributi sociali (+0,9%).

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