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Devastante terremoto in Marocco, più di mille morti e centinaia di feriti: un Paese in ginocchio

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Il Marocco sta vivendo momenti di orrore e dolore a seguito del terremoto di magnitudo 7 che ha colpito il paese alle 23.15 dell’8 settembre. L’epicentro del sisma è stato localizzato nel comune di Ighil, nella provincia di Al Haouz, a sud di Marrakech. Una catastrofe naturale di proporzioni devastanti che ha già inghiottito oltre mille vite umane, e purtroppo il bilancio delle vittime è destinato a salire.

I corpi delle vittime vengono disposti con cura, avvolti nelle tradizionali stoffe colorate acquistate nei mercati della medina, i souk. Questi tessuti sembrano quasi voler celare l’orrore dietro di sé, ma la devastazione causata dal terremoto è innegabile. La provincia di Chichaoua è stata una delle aree più colpite, e in particolare la città di Marrakech ha subito danni significativi.

Borjaliya Bouhsin, una residente locale, ha condiviso con il quotidiano online Hespress la terribile esperienza di aver cercato disperatamente di salvare la sua famiglia dall’edificio in cui viveva. “La mia piccola figlia di 8 anni e mio padre di 102 anni sono rimasti intrappolati all’interno. Ho cercato di tornare indietro per tirarli fuori, ma è stato inutile. Sono morti,” ha raccontato Borjaliya con le lacrime agli occhi.

Il terremoto ha provocato la distruzione di numerosi edifici storici, compresi quelli del quartiere ebraico della medina di Marrakech, noto come il mellah. Gli edifici, che contribuivano al carattere unico di questa zona, sono crollati come castelli di carte. Le storiche mura della medina stessa sono state abbattute, lasciando la popolazione sgomenta.

La piazza principale di Jamaa el Fna, celebre per gli spettacoli degli artisti di strada e la gastronomia di strada, è diventata un rifugio all’aperto per gli sfollati. Qui, molte persone cercano riparo e assistenza dopo essere fuggite dalle loro case durante la notte del terremoto. Mentre alcuni cercano disperatamente una coperta per ripararsi dal freddo notturno, altri si affidano ai soccorritori arrivati da ogni parte per ricevere aiuto.

Le immagini della devastazione e della sofferenza umana sono cupe e commoventi. Ma in mezzo al terrore e al dolore, emergono segni di solidarietà e compassione. Gli abitanti del Marocco si uniscono per aiutare coloro che sono stati colpiti duramente da questa tragedia, dimostrando che la forza della comunità può offrire un raggio di speranza anche nei momenti più bui.

La notte può calare sulle ferite del Marocco, ma non spegnerà mai il coraggio e la resilienza del suo popolo. La nostra solidarietà è rivolta alle vittime e alle loro famiglie in questo momento di crisi. Speriamo che l’assistenza internazionale possa contribuire a lenire le sofferenze e a ripristinare la normalità in questa terra colpita dal terremoto.

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Narendra Modi giura come primo ministro dell’India per la terza volta

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Il primo ministro indiano Narendra Modi ha prestato giuramento per il suo terzo mandato dopo che i risultati elettorali peggiori del previsto lo hanno indebolito, costringendolo a dipendere dai voti dell’Alleanza nazionale democratica, formata da 15 partiti, perche’ il suo Bjp per la prima volta in 10 anni non ha conquistato la maggioranza assoluta.

Affiancato dai funzionari del partito nazionalista indu’ e dai leader della coalizione, Modi ha promesso durante la cerimonia che consacra l’assunzione formale dell’incarico, di essere “genuinamente fedele alla costituzione dell’India”. Le guardie d’onore erano schierate sui gradini del palazzo presidenziale e una banda di ottoni militare suonava mentre il leader pronunciava il giuramento.

Poiche’ i ministri del nuovo esecutivo non sono ancora stati annunciati, gli osservatori hanno seguito la cerimonia per individuarli fra coloro che prestano giuramento dopo Modi, pur non potendo attribuire i rispettivi portafogli. L’ex ministro degli Interni, Amit Shah, l’ultimo ministro degli Esteri, Subrahmanyam Jaishankar, o l’ex ministro delle Finanze, Nirmala Sitharaman, saranno alcuni dei volti anche del nuovo governo.

Modi e’ salito al potere per la prima volta nel 2014 ed e’ stato rieletto nel 2019. In entrambe le occasioni il presidente ha governato da solo grazie alle maggioranze che il suo partito, il Bharatiya Janata Party (BJP) ha ottenuto nella Camera bassa del Parlamento o Lok Sabha. All’ultima tornata elettorale, conclusasi la scorsa settimana, il partito ha invece ottenuto solo 240 seggi, non sufficienti per la maggioranza fissata a 272.

Mercoledi’ scorso gli eletti dei partiti alleati, che arrivano a 290 seggi, hanno eletto Modi leader della nuova legislatura. In cambio, secondo il quotidiano Indian Express, il BJP ha concesso piu’ di una dozzina di ministeri agli altri partiti della NDA. Alla cerimonia hanno partecipato sette leader politici dei paesi alleati dell’India: i presidenti dello Sri Lanka, Ranil Wickremesinghe, e delle Maldive, Mohamed Muizzu; il vicepresidente delle Seychelles, Ahmed Afif; i primi ministri del Bangladesh, Sheikh Hasina, del Nepal, Pushpa Kamal Dahal, del Bhutan, Tshering Tobgay e delle Mauritius, Pravind Kumar Jugnauth. Con il suo terzo mandato consecutivo, Modi eguaglia il record di Jawaharlal Nehru, il primo presidente dell’India dopo l’indipendenza dall’Impero britannico nel 1947, e che governo’ il Paese per tre mandati ininterrotti fino alla sua morte nel 1964.

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Gantz si dimette, ‘Netanyahu impedisce la vittoria’

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Benny Gantz e il suo partito Unità nazionale lasciano il governo israeliano, con accuse pesanti al premier Benyamin Netanyahu che per convenienze politiche, a suo avviso, “impedisce la vera vittoria” nella guerra a Gaza, né ha un piano per cosa avverrà dopo la fine del conflitto, condizione per lui essenziale per restare nell’esecutivo. E chiede nuove elezioni. Parlando in diretta tv, l’ex generale ha detto di aver preso questa decisione “con il cuore pesante”. “Netanyahu ci impedisce di avanzare verso la vera vittoria”, ha attaccato. “Le decisioni strategiche vengono affrontate con procrastinazione ed esitazione a causa di considerazioni politiche”. “Dopo il 7 ottobre, come hanno fatto centinaia di migliaia di israeliani patriottici, ci siamo messi a disposizione. Lo abbiamo fatto anche se sapevamo che si trattava di un cattivo governo. Proprio perché sapevamo che era un cattivo governo”. Ma ora, dice, le cose sono cambiate.

“Lo Stato di Israele ha bisogno e può ottenere una vera vittoria – ha spiegato – Una vera vittoria mette il ritorno a casa dei rapiti al di sopra della sopravvivenza al potere. Una vera vittoria unisce il successo militare con un’iniziativa politica e civile. Una vera vittoria porterà al collasso di Hamas e alla sua sostituzione. Una vera vittoria consiste nel riportare a casa sani e salvi gli abitanti del nord. Una vera vittoria consiste nello stabilire un’alleanza regionale contro l’Iran guidata dagli Stati Uniti con tutto il mondo occidentale”. La decisione di Gantz – doveva essere annunciata ieri, ma è stata rinviata dopo la liberazione dei 4 ostaggi tenuti a Nuseirat – indebolisce ma non provoca la fine del governo Netanyahu, che alla Knesset ha ancora i numeri per proseguire.

Il leader centrista, subito dopo l’annuncio, ha chiesto elezioni il prima possibile, affermando che a Gaza occorre attuare il piano offerto dal presidente Usa Joe Biden. Su X il primo ministro gli ha invece chiesto di “non abbandonare la battaglia”. Ma il ministro superfalco Itamar Ben-Gvir ha già chiesto di rimpiazzare lui Gantz nel gabinetto di guerra. Intanto, Israele ha oggi celebrato la liberazione dei 4 prigionieri, anche se nel raid, secondo Hamas, sono stati uccisi 274 palestinesi, tra cui molti civili (circostanza confermata dagli Stati Uniti), donne e bambini.

Lo stesso movimento islamico ha detto che nel blitz sono rimasti uccisi altri tre ostaggi, ma su questo non c’è stata alcuna conferma indipendente. Per l’Idf, tre dei quattro liberati erano tenuti prigionieri nella casa di un giornalista palestinese che lavorava per Al Jazeera, Abdullah Jamal, un operativo di Hamas. Le attività dell’emittente in Israele sono intanto state vietate per altri 45 giorni. E doveva essere un giorno di gioia per Almog Meir Jan, uno dei 4 ostaggi israeliani liberati ma si è trasformato in un ennesimo dramma: suo padre, che dal giorno del suo rapimento si era andato progressivamente spegnendo per lo strazio, è morto poche ore prima che suo figlio fosse portato in salvo.

E la famiglia non ha dubbi: “E’ morto di dolore”. La zia dell’ostaggio liberato, Dina, ha raccontato alla tv pubblica Kan di essere corsa a casa del fratello per dargli la buona notizia, solo per trovarlo morto. Yossi Jan, 57 anni, nei lunghi mesi della prigionia del figlio si era chiuso in sé stesso, perdendo ben 20 chili. L’Idf continua comunque a operare a Gaza. In particolare, si legge in una nota, truppe della 198ma Divisione stanno combattendo nella città di Deir al Balah e nel campo profughi di Bureij, dopo aver preso parte alla liberazione di quattro ostaggi. Nell’area meridionale di Rafah, invece, è in azione la 162ma Divisione, che conduce operazioni basate su informazioni d’intelligence e ha localizzato diversi tunnel e condotti verticali e grandi quantità di armi, esplosivi ed equipaggiamento militare. Nel centro di Gaza opera la 99ma Divisione, con il compito di smantellare le infrastrutture dei terroristi. Nel sud di Gaza City sono stati sparati diversi colpi di mortaio alle truppe israeliane dall’Università islamica della città capoluogo, senza ferire nessuno.

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Ostaggi liberati erano imprigionati nella casa del reporter di Al Jazeera Abdullah Jamal

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Tre dei quattro ostaggi israeliani liberati sabato si trovavano nella casa di giornalista palestinese, hanno detto le forze armate israeliane, citate dai media locali. L’esercito israeliano ha riferito che il reporter di Al Jazeera Abdullah Jamal era un operativo di Hamas e teneva in ostaggio, insieme alla sua famiglia, Almog Meir, Andrey Kozlov e Shlomi Ziv nella sua casa a Nuseirat.

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