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Politica

Draghi, Strategia cybersicurezza per sovranità digitale

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Un piano in 82 punti per aumentare la resilienza dell’Italia contro il rischio cyber in continuo aumento e puntare alla “sovranita’ digitale”, facendo crescere professionalita’ e prodotti (software e hardware) ‘autoctoni’. E’ la Strategia nazionale di cybersicurezza 2022-2026 predisposta dall’Agenzia per la cybersicurezza nazionale e presentata oggi dall’Autorita’ delegata per la sicurezza della Repubblica, Franco Gabrielli e dal direttore dell’Agenzia, Roberto Baldoni. L’importanza del tema e’ stata sottolineata dal premier Mario Draghi nella prefazione al documento, di 32 pagine: “e’ nostra intenzione – ha scritto – intensificare i progetti di sviluppo tecnologico per arrivare a disporre di un adeguato livello di autonomia strategica nel settore e quindi garantire la nostra sovranita’ digitale”. Imponenti le risorse disponibili: l’1,2% degli investimenti nazionali lordi annui, al netto dei fondi europei e del Pnrr (623 milioni di euro). E’ un “cambio di passo”, lo ha definito Gabrielli, che mira a colmare i ritardi accumulati dal Paese in questo settore e rispondere cosi’ a sfide destinate a crescere, come indicano anche i recenti attacchi che hanno colpito siti istituzionali – dal Senato alla Polizia – e che il sottosegretario ha comunque invitato a non enfatizzare: “non serve – ha spiegato – un atteggiamento isterico. Se ogni volta che che c’e’ un attacco ‘Ddos’ (Denial of service) pensiamo che il Paese e’ alla merce’ di potenze straniere non si capisce il livello di minaccia”. Per Gabrielli e’ importante che “ciascuno faccia il suo”. E la Strategia mette in chiaro le competenze di tutti i soggetti coinvolti, dai ministeri alle forze di polizia, dalla Difesa all’intelligence che, ha ricordato, “gia’ oggi, a legislazione vigente, gode delle garanzie funzionali e puo’ svolgere attivita’ di contrattacco in campo cyber”. Mentre l’Agenzia, ha puntualizzato Baldoni, “deve diventare il faro a cui tutti si dovranno interconnettere, ma la gestione degli attacchi non si delega all’Agenzia. Noi forniamo le misure, le linee guida, ma poi ognuno deve adottarle al suo interno. Nella cybersicurezza non si delega”. E per troppo tempo l’impegno dei soggetti sia pubblici che privati sul piano delle difese cyber e’ stato basso. Ne e’ nato un deficit strutturale, infrastrutturale ed anche culturale che, hanno convenuto Gabrielli e Baldoni, “non possiamo piu’ permetterci”. La Strategia con il connesso Piano di implementazione mette cosi’ nero su bianco le misure che tutte le amministrazioni pubbliche devono attuare; al 31 dicembre l’Agenzia – che ha anche il potere di irrogare sanzioni agli inadempienti – valutera’ se gli obiettivi sono stati raggiunti. Il documento prende anche in considerazione la minaccia della disinformazione on line che mira a “condizionare/influenzare processi politici, economici e sociali del Paese” e prevede “l’implementazione di un’azione di coordinamento nazionale” per prevenirla. Ricorrendo anche ad “un programma capillare di educazione digitale – da sviluppare anche online – a beneficio della collettivita’ e diretto all’adozione di buone prassi e all’acquisizione di capacita’ di verificare i contenuti e le informazioni reperite online avendo contezza di quegli indicatori che consentono di identificare le cosiddette ‘fake news'”. C’e’ infine il capitolo dell’autonomia strategica. L’Italia ‘consuma’ prodotti digitali prodotti da altri Paesi e cio’ la rende vulnerabile, come avviene per l’energia. E’ stata quindi avviato un percorso – che non sara’ breve – per liberarsi da dipendenze ‘pericolose’: l’esempio e’ quello degli antivirus russi Kaspersky, ad esempio. “Saranno lacrime e sangue – avverte Baldoni – non si crea una fabbrica di microchip dal nulla, c’e’ un ecosistema intorno da costruire e noi cercheremo di investire sulle tecnologie piu’ promettenti”. A questo scopo sara’ creato un Parco nazionale della cybersicurezza e hub delocalizzati sull’intero territorio italiano. Si tratta, indica la Strategia, “di un incubatore di capacita’ e tecnologie, al cui interno giovani talenti e startup possano entrare in contatto con le grandi aziende e con le diverse realta’ nazionali che, a vario titolo, operano nel settore”. Sostenendo lo sviluppo e la produzione di software e hardware nazionali da impiegare nelle reti e nei sistemi di maggiore rilevanza strategica.

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Ambiente

Stop al solare nei campi ma salve le opere già previste

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Sul solare avanti tutta riguardo la norma per lo stop ai pannelli fotovoltaici sui terreni coltivati, inserita nella bozza del decreto sugli aiuti all’agricoltura atteso lunedì in Consiglio dei ministri, ma con qualche primo distinguo. “Niente macchie nere a terra”, ma sì all’agrivoltaico su grandi aree come i tetti delle stalle e delle industrie, per le quali il ministero dell’Agricoltura “ha finanziato solo quest’anno 13.500 aziende” con una prospettiva di 26mila. In più le opere a terra che già erano previste, e “che non sono in numero eccezionale, verranno realizzate” per tutelare le imprese che hanno investimenti in corso, così come ci saranno altre aree agricole ritenute “utilizzabili”, come quelle accessorie alle grandi arterie di circolazione ferroviaria e autostradale, le aree che sono agricole, ma che non vengono utilizzate e non possono essere usate come agricole, ad esempio le cave.

Il giorno dopo la querelle sollevata dalle imprese del solare e dal Mase sulla bozza del provvedimento elaborato dal ministero dell’Agricoltura, il ministro Francesco Lollobrigida ribadisce la sua posizione e difende il testo, definendo la norma “di buonsenso”. E da Torino, a margine della prima tappa del Giro E-24, rassicura anche sul rapporto con Gilberto Pichetto Fratin. “Non solo siamo colleghi, siamo amici e ci sentiamo costantemente. È uscito che ci siano divergenze tra me e lui, ma non c’è alcun tipo di fondamento. Pichetto da agricoltore sa bene quanto è rilevante la tutela del territorio”, ha detto Lollobrigida ai giornalisti. Dopo un’iniziale presa di distanze, nel tardo pomeriggio di ieri il titolare dell’Ambiente aveva precisato che sull’agrivoltaico si stava lavorando “per la migliore formula, per tutelare gli agricoltori e i target di decarbonizzazione” e una telefonata questa mattina tra i due sembra aver ammorbidito ulteriormente le posizioni nella ricerca di una mediazione. Poi riunioni tecniche tra i due ministeri avrebbero analizzato i dettagli per una “soluzione condivisa”. In vista del consiglio di lunedì, resta però alta la preoccupazione da parte degli operatori.

Con il blocco delle realizzazioni degli impianti fotovoltaici “si perdono 60 miliardi di euro” di cui almeno 45 di investimenti privati diretti, afferma Italia Solare, l’associazione delle imprese del fotovoltaico, in una lettera inviata alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e a Pichetto Fratin. Secondo l’associazione i pannelli coprirebbero solo lo 0,24% della superficie agricola nazionale, “e anche sotto questi sarebbe possibile coltivare e far pascolare”. Secondo la norma all’articolo 6 della bozza di Decreto sui sostegni all’agricoltura, le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici sono aree non idonee all’installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra. Ma per Italia Solare “vanno salvaguardate le aree già classificate idonee a questo scopo”. L’energia pulita, dice dal canto suo Lollobrigida “va prodotta bene, non riesco a immaginare la nostra Italia violentata da un modello di sviluppo senza razionalità”.

“Sottrarre terreno agricolo – aggiunge il ministro – significa speculare, per questo stiamo lavorando a un articolo che ponga limiti serissimi a questo tipo di sviluppo senza freni e garantisca produzione energetica”. Le previsioni del governo precedente sono state moltiplicate per quattro: “Siamo stati premiati con 830 milioni in più dalla Commissione per investimenti sul solare, quindi sappiamo fare le cose”, ha detto Lollobrigida. Appoggio al titolare del Masaf arriva intanto anche dalla Lega con il vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio, responsabile Agricoltura e Turismo. Mentre da parte degli agricoltori, la Cia è contraria ai pannelli a terra sui terreni coltivabili “che devono servire per produrre cibo” ma “in alcune aree marginali con terreni non coltivabili pensiamo che l’agrivoltaico possa andare”.

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Politica

Post choc su Schlein, poi il dirigente Fdi si scusa

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Si è scusato Luigi Rispoli, il dirigente di Fdi che venerdì sera in un post sui social aveva accostato il volto di Elly Schlein a quello di una donna di Neanderthal. Ma le modalità adottate non hanno affatto soddisfatto il Pd che anzi ha chiesto al ministro Sangiuliano di rimuovere Rispoli dal suo ruolo di consulente al Ministero della Cultura. “A volte la fiducia viene mal riposta e qualche collaboratore fa cose che non dovrebbe. Un post che voleva essere simpatico non lo è affatto e per questo chiedo scusa a Elly Schlein” ha scritto oggi su X il vice presidente del coordinamento cittadino di FdI Napoli, Luigi Rispoli.

Il riferimento era a un suo post nel quale erano messe una accanto all’altra l’immagine di un articolo sulla ricostruzione del volto di una donna di Neanderthal e quello della leader dem con la scritta “separate alla nascita”.

Sullo stesso X è arrivata contro Rispoli una pioggia di critiche indignate. Un utente ha fatto al dirigente di Fdi lo stesso trattamento che lui ha riservato a Schlein, postando una a fianco all’altra le facce di Rispoli e di Pacciani. Le scuse non sono state trovate soddisfacenti nemmeno dai dirigenti del Pd. “La toppa di Rispoli – ha detto la senatrice Valeria Valente – é quasi peggio del buco: scaricare la responsabilità sui propri collaboratori non é accettabile. Quel post contro Elly Schlein non era certo simpatico, ma sessista e offensivo. Per la destra senza argomenti il bersaglio é il corpo delle donne”.

“Il vergognoso post offensivo e sessista di Rispoli contro Elly Schlein – ha affermato Beatrice Lorenzin – è l’ennesimo esempio della tanto sbandierata “cultura” di destra. Le timide scuse, con lo scarico delle colpe sui collaboratori, evidenziano anche l’incapacità a prendersi le proprie responsabilità”. E poi l’invito al ministro Sangiuliano perché “rimuova immediatamente Rispoli dalla Commissione consultiva per il Teatro del ministero della Cultura”.

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Stop braccio di ferro, Emiliano il 10/5 in Antimafia

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Il braccio di ferro tra Emiliano e l’Antimafia si è concluso: il presidente della Puglia sarà ascoltato in commissione parlamentare il prossimo 10 maggio, dunque nel primo giorno in cui il governatore si era reso disponibile. “È una data che avevo indicato, nella quale sono disponibile rispetto agli impegni istituzionali. Mi auguro che l’audizione possa contribuire a rasserenare gli animi. Ho sempre dato la mia disponibilità”, spiega il presidente pugliese. Ora, anche se la polemica sulla sua convocazione sembra essere chiusa, si annuncia un dibattito che riguarderà proprio il contenuto dell’audizione di Emiliano, mentre per l’8 maggio è invece convocato il procuratore generale di Bari, Roberto Rossi. Sulla convocazione dell’ex magistrato e numero uno della Regione c’è molta attesa, soprattutto da parte dei membri del centrodestra (e non solo).

I temi dei quesiti da porgli sono stati già in parte anticipati da alcuni parlamentari durante le scintille dei giorni scorsi con la commissione: solo alcuni giorni fa erano circolate indiscrezioni, mai confermate, su una possibile connessione tra la richiesta di dimissioni dell’ex commissario straordinario dell’agenzia regionale della Puglia, Alfonso Pisicchio, ora ai domiciliari, e l’inchiesta ancora segreta che lo riguardava. Nelle settimane precedenti avevano invece sollevato perplessità le dichiarazioni del governatore, il quale aveva detto di avere accompagnato anni fa l’attuale sindaco di Bari Antonio Decaro – allora assessore dell’ex giunta comunale di Emiliano – a casa della sorella di un boss di Bari per respingere una minaccia ricevuta. L’episodio era stato poi smentito dallo stesso Decaro. Dura era stata però la reazione della presidente della commissione Chiara Colosimo: “Le parole di Emiliano, vere, false o fraintese sono profondamente sbagliate.

Tutte le volte che uno subisce una minaccia, chiunque questi sia, deve denunciare”. Un confronto serrato, seppure a distanza, che si è rinnovato in questi giorni, quando ad accendere i contrasti è stata la scelta della data dell’audizione del presidente pugliese in Antimafia, preavvisato dalla commissione. La richiesta di convocazione riguarda appunto vicende e recenti inchieste sui rischi di infiltrazioni mafiose nel territorio pugliese e in particolare a Bari, gli stessi finiti anche al centro del dibattito politico in queste settimane anche dopo una serie di indagini e arresti. In una lettera già indirizzata agli uffici della stessa commissione parlamentare lo scorso 24 aprile, Emiliano ne aveva chiesto lo slittamento, affinché quella data non coincidesse con i giorni legati alle votazioni della mozione di sfiducia nei suoi confronti in consiglio regionale, tra il 7 e il 9 maggio. Una richiesta che aveva scatenato le ire di alcuni parlamentari: “Emiliano non può esimersi dal venire in audizione”, avevano sottolineato alcuni membri della commissione, che aveva poi deciso di anticipare la data al 2 maggio

. Pronta la replica di Emiliano in una lettera indirizzata a Colosimo in cui comunicava la sua “indisponibilità” per quella data, dicendosi pronto ad essere ascoltato “in ogni momento dal 10 al 30 maggio”, dunque dopo la conclusione del dibattito sulla fiducia. E sottolineando che il 2 maggio avrebbe dovuto partecipare alla Conferenza delle Regioni. In seguito, martedì scorso e sempre in una lettera, la presidente Colosimo aveva sottolineato: “Entrambi conosciamo le liturgie politiche e sappiamo che alla Conferenza dei presidenti delle Regioni si può mandare un delegato in propria vece. Lei non è, in realtà, disponibile ad essere audito”. In tutta risposta Emiliano aveva rivendicato il suo “diritto alla partecipazione alla Conferenza delle Regioni che non è una ‘liturgia politica’ ma a un dovere istituzionale”.

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