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Cronache

Medici e infermieri per battere l‘epidemia? Bene, speriamo il Governo si muova

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Come cittadino italiano, sono grato a Cuba che manda i suoi ottimi medici in questo difficile momento. Ringrazio la Cina per l’invio di tonnellate di materiale sanitario e, a sua volta, squadre di dottori. Con questo, non insinuo affatto che il comunismo serve (ancora) a qualcosa. Né penserò che, in questo scorcio d’inverno, dovremo tirar fuori l’eskimo dalla soffitta e riesumare le antiche icone del Che, di Castro, del Presidente Mao. Metto le mani avanti, vedete, perché non salti in mente a qualcuno di buttare in caciara ideologica un segno di solidarietà. Del resto, stanno arrivando in soccorso anche i russi, a quanto pare: ben vengano, si capisce, Putin o non Putin. Ma la faccenda vera sta da un’altra parte, temo. Sono lieto e sorpreso che qualcosa come 8.000 medici, delle più varie specialità, abbiano risposto da ogni parte d’Italia al bando della Protezione Civile che, per vero, ne cercava “solo” 300. E non si sa bene perché, così pochi, visto che i nostri dottori sono allo stremo e visto quello che qualcuno paventa ci aspetti: tra persistenza del contagio al Nord e, Dio non voglia, possibile diffusione dell’epidemia a Sud. Ora, vedete, io accolgo per una volta l’invito del Papa e sto con il Governo che opera con molta buona volontà per il bene mio e del mio Paese.  Non sparo sul pianista e dico: avanti, dunque!

Il fatto è, tuttavia, che nell’arte del governo, la buona volontà non basta: non basta in tempi ordinari, figuriamoci in quelli di emergenza o, addirittura, nel pieno di una crisi pandemica.

E allora, nel rallegrarmi di questo enorme giacimento di risorse umane e professionali che abbiamo scoperto di avere in seno –io non ne avrei mai sospettato l’esistenza- mi chiedo: perché abbiamo atteso tanto tempo per avviare questo reclutamento, che doveva e poteva essere realizzato almeno dieci giorni fa? Qui non è questione di dispute su terapie cliniche alternative. Non si tratta di teorie epidemiologiche rivali. Che pure ci sono, le une e le altre, ed è bene che esistano: è la logica intellettualmente competitiva con cui funziona la scienza. No, questo è il livello elementare delle cognizioni che deve possedere un emergency officer: costruire scenari plausibili, rapidi, fungibili, sulla base dei trend in atto, e agire di conseguenza. Abbiamo sentito tutti, nelle scorse settimane, che il punto fragile della macchina sanitaria erano i posti in rianimazione. E tutti abbiamo sentito che l’anello critico del trattamento era il personale sanitario, drammaticamente carente. Inutile, ci dicevano, avere strutture di ricovero, e perfino rianimazioni attrezzate, se non c’è chi le fa funzionare. Per questo abbiamo fermato, o rallentato, l’approntamento dell’ospedale alla vecchia fiera di Milano, dove si progettavano 500 posti, appunto, di rianimazione. Per questo abbiamo rallentato anche l’ospedale degli alpini della martoriata Bergamo. E ciò, prima che a qualcuno venisse in mente di fare il bando.

Ora sentiamo il pur meritevole ministro Boccia, dichiarare che “si sta pensando” di fare una cosa analoga per gli infermieri.

Si sta pensando? Ma se perfino io, che capisco men che poco di management ospedaliero, tuttavia so che nulla, ma proprio nulla funziona in un ospedale senza il personale infermieristico. E dunque mi chiedo: come mai non s’è fatto un bando contestuale: per medici e infermieri? E, visto che non s’è fatto, quanto tempo dovremo aspettare perché il “pensiero” del Governo e dei suoi organi deputati, in primis la Protezione Civile, si trasformi in un concreto bando che nel giro di tre giorni ci faccia scoprire il prezioso giacimento umano e professionale degli infermieri e delle infermiere d’Italia? E integri con forze nuove una sanità generosa, stremata, decimata?   

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

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Fassino denunciato per tentato furto di un profumo al duty free dell’aeroporto di Fiumicino, informativa in Procura

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Arriverà nelle prossime ore in Procura una prima informativa su Piero Fassino, denunciato per tentato furto di un profumo al duty free dell’aeroporto di Fiumicino. Gli investigatori della Polaria hanno raccolto tutti gli elementi – comprese le immagini registrate dalle telecamere del sistema di videosorveglianza – e le trasmetteranno all’autorità giudiziaria competente, quella di Civitavecchia, che valuterà come procedere. Fassino, in quanto parlamentare, non è stato ascoltato ma – spiegano fonti investigative – se vorrà potrà rilasciare dichiarazioni spontanee.

Già ieri il deputato del Pd – parlamentare per 7 legislature, ex ministro della Giustizia dal 2000 al 2001, poi segretario dem fino al 2007 e sindaco di Torino per cinque anni dal 2011 al 2016 – ha fornito la sua versione sostenendo di aver già chiarito con i responsabili del duty free la questione: “volevo comprare il profumo per mia moglie, ma avendo il trolley in mano e il cellulare nell’altra, non avendo ancora tre mani, ho semplicemente appoggiato la confezione di profumo nella tasca del giaccone, in attesa di andare alle casse”. In quel momento, ha aggiunto, “si è avvicinato un funzionario della vigilanza che mi ha contestato quell’atto segnalandolo ad un agente di polizia.

Certo non intendevo appropriarmi indebitamente di una boccettina di profumo”. Fassino ha anche sostenuto che si era offerto subito di pagarla e di comprarne non una ma due, proprio per dimostrare la sua buona fede, ma i responsabili hanno comunque deciso di sporgere denuncia. Al parlamentare del Pd, dopo quella espressa ieri dal deputato di Forza Italia Ugo Cappellacci, è arrivata la solidarietà del coordinatore di Fratelli d’Italia in Piemonte Fabrizio Comba. “Conosco l’uomo e il politico integerrimo, il tritacarne mediatico in cui è stato infilato è indecoroso per la sua storia personale e, quindi, anche per la storia del nostro paese. E’ un avversario politico – ha concluso Comba – ma non per questo mi permetto di dubitare della sua integrità, convinto delle sue straordinarie qualità morali”.

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Nozze d’argento boss in chiesa con le spoglie di Falcone

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Lui abito scuro, con gilet, pochette e cravatta color madreperla, lei abito bianco scollato lavorato con tessuto di pizzo e bouquet di rose rosse. La coppia d’oro delle famiglie mafiose palermitane, Tommaso Lo Presti, detto “il grosso”, per distinguerlo dall’omonimo detto “il lungo”, e la moglie Teresa Marino, ha festeggiato in grande stile, con amici e familiari l’anniversario dei 25 anni di matrimonio il 15 aprile scorso.

La coppia, lui è stato scarcerato da poco dopo anni di detenzione per mafia ed estorsioni, lei pure condannata per mafia, ha scelto per la cerimonia religiosa in cui rinnovare la promessa d’amore un luogo simbolico, la chiesa di San Domenico, che si trova in una delle piazze più belle di Palermo e che è nel cuore del mandamento mafioso di cui Lo Presti era al vertice. Nel complesso in cui è inserita la chiesa c’è anche il pantheon dei siciliani illustri, da Giuseppe Pitrè a Giacomo Serpotta, in cui sorge anche la tomba monumentale che ha accolto, dal 2015, le spoglie di Giovanni Falcone. I mafiosi quindi sono stati accolti dai frati, che gestiscono il complesso, per celebrare la benedizione delle nozze d’argento.

Padre Sergio Catalano, frate priore della chiesa, afferma di aver saputo chi fosse l’elegante coppia solo leggendo le notizie del sito d’informazione Palermotoday che ha pubblicato la notizia alcuni giorni dopo la cerimonia. “Le verifiche non spettano a noi – aggiunge – ci sono organi istituzionali che devono farlo”. Ma la coppia della cosca di Portanuova, lui è sorvegliato speciale e deve rientrare in casa entro una certa ora, poteva tranquillamente far celebrare la cerimonia in qualsiasi posto. La valutazione dell’opportunità di ospitare due mafiosi di questo calibro nel complesso dove ci sono le spoglie del magistrato ucciso dalla mafia spetterebbe a chi ha la responsabilità di quei luoghi.

Alla chiesa Lo Presti ha lasciato anche un’offerta che padre Catalano dice “servirà a fare del bene a chi ne ha bisogno”. Dopo la cerimonia a san Domenico la coppia ha festeggiato, nei limiti temporali concessi al sorvegliato speciale, in una villetta allietata anche dalle canzoni di due noti neomelodici. Dopo l’arresto di Lo Presti, 48 anni, nell’operazione Iago nel 2014, gli investigatori scoprirono il ruolo della moglie che il giudice che l’ha condannata descrive così: “Teresa Marino durante il periodo della sua detenzione domiciliare (in concomitanza con quella carceraria del marito), riceveva presso la sua abitazione tutti gli esponenti di spicco del mandamento mafioso di Porta Nuova e impartiva loro indicazioni e direttive proprie e del marito, condividendone le strategie criminali. I sodali mafiosi dell’organizzazione, inoltre, si rivolgevano alla donna anche per dirimere questioni e tensioni interne al sodalizio”.

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Sindaci Ue rivendicano diritto a imporre limiti velocità

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Imporre i limiti di velocità sia una prerogativa di città e regioni. A chiederlo sono i 13 firmatari tra sindaci e vicesindaci di città europee che dalle colonne del Financial Times criticano alcune iniziative promosse in Italia, con la riforma del codice della strada, e nel Regno Unito che potrebbero impedire a città e comuni di attuare misure per la sicurezza stradale, come l’introduzione di limiti di velocità più bassi e telecamere per il controllo del traffico. Da Bologna a Firenze e Milano, passando anche da Amsterdam, Bruxelles e Helsinki. Tra i firmatari italiani Matteo Lepore e Dario Nardella, sindaci di Bologna e Firenze e la vice sindaca e assessora alla mobilità di Milano, Arianna Censi.

La lettera fa esplicito riferimento al disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso settembre per riformare il codice della strada, criticato anche in Italia da varie associazioni perché ritenuto svantaggioso per i pedoni. Per sindaci e vice le nuove norme ostacolerebbero “gravemente” la capacità delle autorità locali di creare zone a traffico limitato, installare autovelox e fissare limiti di velocità inferiori che invece sono fondamentali per abbattere le emissioni e rendere anche le strade più sicure. Nella missiva non si fa riferimento solo all’Italia. I firmatari prendono di mira anche il “piano per i conducenti” nel Regno Unito che punta a introdurre misure altrettanto restrittive e alle resistenze in Germania, dove il governo ha finora resistito agli sforzi di oltre 1.000 comuni che vogliono un maggiore controllo sui limiti di velocità locali.

“Politiche nazionali come queste, basate non sulla scienza ma sull’opportunità politica, danneggiano la capacità delle autorità locali di prendere decisioni sul miglioramento della sicurezza e della salute dei propri cittadini”, accusano i rappresentanti locali. Sottolineando l’importanza di limiti di velocità più bassi nelle aree urbane – si legge ancora nel testo – che “stanno prevenendo le morti e migliorando la vita oggi nelle città di tutta Europa”. Non “si tratta di limitare la libertà degli automobilisti, ma di rendere le strade più sicure per tutti, ridurre il rumore e l’inquinamento e rendere la città più invitante per coloro che scelgono forme di trasporto più salutari come camminare e andare in bicicletta”. Insieme ai tre rappresentanti italiani la lettera è siglata anche da Alison Lowe, vicesindaco di West Yorkshire; Thomas Dienberg, vicesindaco di Lipsia; Frauke Burgdorff responsabile della pianificazione di Aquisgrana; Philippe Close, sindaco di Bruxelles; Mathias De Clerq, sindaco di Gand; Melanie Van der Horst, vicesindaco, di Amsterdam; Vincent Karremans, vicesindaco di Rotterdam; Karin Pleijel vicesindaco di Göteborg; Andréas Schönström vicesindaco di Malmö; Juhana Vartiainen, sindaco di Helsinki.

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