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Vivi nella selva grazie alle tradizioni della nonna

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Grandi felini e serpenti, ma anche ragni, scorpioni e insetti velenosi. Animali pericolosi che si nascondono tra alberi alti fino a 45 metri nella foresta amazzonica colombiana, considerata dalla popolazione locale una delle più fitte al mondo. Un ambiente ostile, impensabile per quattro bambini rimasti soli dopo lo schianto dell’aereo in cui è morta anche la mamma. Se la loro sopravvivenza agli occhi di tutti appare come un miracolo, meno sorpresi sono stati gli indigeni e le comunità locali, sicuri che avrebbero saputo cavarsela da soli grazie anche a tutti i racconti e gli insegnamenti della nonna Fatima.

“I bambini sono cresciuti dalla nonna, che è esperta di vita delle tribù indigene di Araracuara. Sono riusciti a sopravvivere grazie alle conoscenze delle tradizioni e delle cose che gli ha insegnato”, ha spiegato John Moreno, leader indigeno guanano del Vaupés. Ma per Sandra Vilardy, viceministro della politica e della normalizzazione ambientale, fondamentale è stata anche la vicinanza della comunità. E i loro rituali. Stando a quanto riferito dal quotidiano La Semana, alla fine di ogni giornata gli indigeni impegnati nelle ricerche si dedicavano a riti propiziatori per la riuscita della missione, masticando peperoncino e pregando i loro morti. L’impegno più faticoso, però, l’hanno compiuto durante il giorno, arrivando a percorrere – insieme alle forze militari – più di due mila chilometri di selva, spesso anche sotto la pioggia battente.

Che sia stato grazie agli insegnamenti della nonna o meno, nella giungla i bambini si sono arrangiati da soli come meglio hanno potuto, dimostrando un incredibile spirito di adattamento. Per non restare scalzi hanno improvvisato delle bende da avvolgere ai piedi – anche se questo non ha impedito l’insorgere di ferite -, nutrendosi solamente con i frutti selvatici offerti dalla natura, scelti però con sapienza evitando quelli non commestibili. Proprio i resti di un frutto della passione con tracce di morsi hanno dato la speranza ai soccorritori di ritrovarli vivi. Così come il ritrovamento di altri oggetti, persi nel loro vagabondare come le briciole di Pollicino: un piccolo elastico, un biberon, delle forbicine. Tutte tracce che hanno incoraggiato i soccorsi a proseguire le ricerche e trovate durante una delle prime ispezioni nella foresta, a tre chilometri dal punto dove si è schiantato l’aereo. Nonostante l’area fosse stata già perlustrata, è lì che i bambini, alla fine di una vicenda che ha dell’incredibile, sono stati individuati.

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Blinken in visita a sorpresa in Ucraina

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Il segretario di Stato americano Antony Blinken è arrivato in visita a sorpresa in Ucraina. Il capo della diplomazia Usa è giunto stamattina a Kiev con un treno notturno dalla Polonia. E’ previsto un incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, secondo i giornalisti al seguito di Blinken. Si tratta del quarto viaggio in Ucraina del segretario di stato americano dall’inizio dell’invasione russa nel febbraio 2022. La visita è intesa a rassicurare Kiev sul continuo sostegno degli Stati Uniti e a promettere un flusso di armi in un momento in cui Mosca sta conducendo una pesante offensiva nella regione nordorientale ucraina di Kharkiv.

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‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Kiev, più di 30 località sotto il fuoco russo nel Kharkiv

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Sono ancora in corso i combattimenti nella regione di Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina, dove più di 30 località sono sotto il fuoco russo e quasi 6.000 residenti sono stati evacuati, secondo il governatore regionale. “Più di 30 località nella regione di Kharkiv sono state colpite dall’artiglieria nemica e dai colpi di mortaio”, ha scritto Oleg Synegoubov sui social network.

Il governatore ha aggiunto che dall’inizio dei combattimenti sono stati evacuati da queste zone un totale di 5.762 residenti. Le forze russe hanno attraversato il confine da venerdì per condurre un’offensiva in direzione di Lyptsi e Vovchansk, due città situate rispettivamente a circa venti e cinquanta chilometri a nord-est di Kharkiv, la seconda città del Paese.

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