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Vergogna Mazzoleni, il Napoli costretto a perdere in uno stadio zeppo di razzisti. Espulso Koulibaly perchè era il migliore in campo: missione compiuta dall’arbitro che De Laurentiis non voleva

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Il Napoli al Meazza ha l’opportunità di chiudere definitivamente la strada all’Inter nella corsa scudetto e proporsi come unica antagonista della Juventus. Carlo Ancelotti fa riposare Ghoulam, rientra Mario Rui. In campo Fabian Ruiz. In attacco riposa Mertens ed entra Milik. Alcuni centro del campo torna Allan dopo un turno di riposo. Nemmeno si parte e dalla lunetta di centrocampo Mauro Icardi tira dritto in porta e per poco non sorprende Alex Meret.

Inter vs Napoli, quattro accoltellati prima del match

Il match è bello, le due squadre giocano a viso aperto. Non serve a nessuno il pareggio. Meno che meno al Napoli che col pareggio della Juventus potrebbe recuperare due punti un caso di vittoria.

Gennaro Mazzoleni. Non un arbitro ma una vergogna

L’inter nei primi minuti è molto aggressiva, costringe spesso il Napoli nella sua  metacampo, ma gli azzurri difendo con ordine e ripartono spesso con pericolosità. Quella dell’Inter è però una partita molto dispendiosa. E al 15 minuto su un rovesciamento di fronte, Insigne da destra tira a giro, Handanovic vede il pallone solo all’ultimo secondo e para. Alla mezz’ora, dopo l’ennesimo “buu buu” razzista all’indirizzo di Kalidou Koulibaly che arriva dagli spalti, l’arbitro Mazzoleni finalmente si ricorda del razzismo e delle discriminazioni razziali e fa annunciare ai razzisti del Meazza che al prossimo coro razzista ci sarà lo stop del match. Prendono di mira il campione senegalese perché è il migliore in campo. Sia in fase di copertura che in costruzione del gioco. Al 43 minuto, Koulibaly ha tolto dalla porta un tiro che era destinato ad insaccarsi di Mauro Icardi. Nonostante l’intervento di Mazzoleni, dentro il Meazza, dalla Curva Nord dell’Inter finiscono i buu buu razzisti ma cominciano i soliti cori di discriminazione territoriale indirizzati ai partenopei, da “Napoli colera” fino a “Vesuvio lavali col fuoco”. Mazzoleni finge di non sentire e non ha mai il coraggio di fermare la partita, nonostante l’abbia minacciato. Il primo tempio finisce in questa maniera vergognosa. La partita invece è stata bella, con due squadre che si sono affrontate a viso aperto. Secondo tempo cambia lo schema. Col Napoli  più offensivo e l’Inter più a corto di forze che resta più coperto. Al 65 esimo grande tiro da fuori di Callejon, Handanovic riesce a fermare la palla con una grande parata. Al 70 minuto Ancelotti si gioca la mossa Mertens per Milik.  Il napoli vuole vincerla la partita. Ma deve evitare l’arrembaggio per non incorrere in una beffa. Il finale l’Inter lo fa tutto in difesa. In dieci davanti la porta di Handanovic. Al 80 minuto, però, Mazzoleni espelle Koulibaly perchè innervosito dall’ennesimo buu razzista del pubblico di Milano commette un fallo veniale che è da ammonizione. Scandaloso Mazzoleni. Aveva ragione Aurelio De Laurentiis. La scelta di quell’arbitro era una provocazione. Non è un arbitro,  ma uno che ubbidisce a chissà quali logiche. Ha espulso il migliore in campo del Napoli che per 80 minuti è stato bersagliato da cori razzisti. E non ha mai fermato la gara in quel catino razzista. Mazzoleni ha falsato il campionato. Andrebbe dismesso subito. Non può arbitrare in serie A. Al minuto 88 un Napoli bellissimo non riesce a mettere dentro la palla con due tiri, prima di Insigne e poi di Zielinsky per due interventi di Handanovic e Asamoah sulla linea. Martinez fa gol al 91 minuto. A fine gara purtroppo c’è rissa. Keita insulta Maksimovic, l’arbitro espelle solo Insigne.

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Addio a Neeskens, l’altro simbolo del calcio totale

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Il Profeta del gol ha perso il suo più fedele scudiero. Dopo Johan Cruijff, se ne va anche l’altro Johan simbolo del calcio totale, Neeskens, e chi ha amato quella rivoluzione degli olandesi, e il loro football dei sogni, si sente un po’ più solo. Ma il tempo porta via tutto, quindi anche quello che oggi la federcalcio olandese definisce “una leggenda”, il più fedele luogotenente di Cruijff. Fecero la storia del calcio insieme, nell’Ajax, nel Barcellona e in maglia arancione.

L’uno, il Papero d’oro, inventando giocate che erano arte pura, l’altro interpretando al meglio i precetti dell’universalità dei ruoli insegnati dai ‘santoni’ Rinus Michels e Stefan Kovacs, strateghi di quella teoria poi messa in pratica da quei ragazzi con i capelli lunghi che vincevano, e davano spettacolo, pur non sapendo cosa fossero i ritiri. In Spagna, ai tempi del Barcellona (con cui vinse una Coppa del Re e una Coppa delle Coppe), Neeskens era “Johan Segundo”, nell’Olanda invece era il rigorista designato, e infatti è stato lui il primo calciatore a segnare dal dischetto in una finale mondiale, quella del 1974 persa contro la Germania Ovest. Una sconfitta che ad Amsterdam e dintorni ancora brucia, ma nell’immaginario popolare è rimasto il ricordo indelebile degli Orange, nonostante la nazionale tedesca fosse anch’essa piena di campioni.

Ma ad essere paragonati a Lennon-McCartney per quanto fecero nel calcio, cambiandolo, e gli altri due nella musica, furono Cruijff e Neeskens e non Beckenbauer e Muller. Polmoni d’acciaio, maestro del tackle, tecnica, colpo di testa e doti da leader, questo era ‘Johan Segundo’, simbolo di polivalenza calcistica, capace di reinventarsi trequartista dopo l’addio di Cruijff all’Ajax, prima di raggiungerlo al Barça e diventare un idolo del Camp Nou. Ma anche di fare il difensore prendendo il posto di Hulshoff, un altro che se n’è andato troppo presto. Neeskens è stato Del Piero e Chiellini allo stesso tempo, e in una stessa partita, ma preferiva definirsi “un mediano difensivo capace di segnare”.

Non mollava mai, “cercavo sempre di giocare anche con stile”, e a lui si sono ispirati in tanti. Ora lo ricorda, commosso, il ct dell’Olanda di oggi, ‘Rambo’ Koeman: “quando da bambini giocavamo per strada – racconta – tutti volevano essere Cruijff o Van Hanegem, io invece volevo sempre impersonare Neeskens. E’ stato il mio idolo, mi piaceva il suo modo di giocare, e soprattutto di lottare, era il mio modello”. Essendo stato un fenomeno di quei tempi, anche Neeskens non poteva, prima di smettere, che finire ai New York Cosmos, per fare passerella assieme a tanti altri campioni.

Quella volta, però, con lui non c’era Cruijff, che da buon anticonformista scelse di percorrere altre strade giocando per i Los Angeles Aztecs e i Washington Diplomats e non nel team della Grande Mela. Ora Neeskeens mancherà a tanti, anche a coloro a cui, dopo il ritiro, ha insegnato calcio, dall’Australia, alla Turchia e al Sudafrica, ha lasciato solo bei ricordi. Per tutti rimarrà quel capellone che non smetteva mai di correre, vinceva ogni tackle e su rigore segnava sempre.

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Cas, Pogba non voleva doparsi ma non è stato esente da colpe

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E’ stata pubblicata oggi sul sito del Tas (Tribunale arbitrale dello sport) la decisione del Cas (Corte di Arbitrato per lo Sport) che ha parzialmente accolto il ricorso del centrocampista della Juventus Paul Pogba, riducendo la squalifica a 18 mesi rispetto ai 4 anni comminati dal Tribunale nazionale antidoping. E’ stata anche annullata la multa di 5mila euro.

Il Collegio del Cas ha ritenuto che l’assunzione dell’integratore “non fosse intenzionale” ed era “il risultato di un errore” rispetto “alla prescrizione di un medico in Florida, dopo che Pogba aveva ricevuto garanzie che il medico, che affermava di curare diversi atleti di alto livello statunitensi e internazionali, era competente e avrebbe tenuto conto degli obblighi antidoping di Pogba ai sensi del Codice Mondiale Antidoping” Pogba aveva chiesto una sanzione di soli 12 mesi “in riconoscimento della presenza di alcune colpe da parte sua (non ha chiesto una valutazione di non colpa o negligenza da parte del Collegio del Cas)”.

“Molte delle prove fornite da Pogba non sono state contestate. – scrive il Cas – Tuttavia, il Collegio del Cas ha stabilito che Pogba non era privo di colpa e che, in quanto calciatore professionista, avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione”. La decisione del Collegio del Cas “è definitiva e vincolante, fatta eccezione per il diritto delle parti di presentare appello al Tribunale Federale Svizzero entro 30 giorni per motivi limitati”.

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Tennis, ricompare Camila Giorgi: mai sparita, da anni volevo smettere

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“Io sparita all’improvviso? È la versione che hanno raccontato. Non sono sparita, dovevo fare un annuncio a Parigi sul mio ritiro, poi è uscito sul sito dell’antidoping che mi ero ritirata e la cosa è diventata pubblica”. Nella trasmissione ‘Verissimo’, in onda su Canale 5, ricompare Camila Giorgi, ormai ex tennista che in Italia si è trovata coinvolta in vicende che nulla avevano a che fare con lo sport. Ma lei per prima cosa parla della sua decisione maturata per la fatica di una vita in giro per il mondo: “Da anni volevo smettere, è una vita pesante quella della tennista – dice -. Ho rimandato a lungo poi, a maggio, una mattina ho deciso, l’ho detto a mio padre. Lui è stato felice, è sempre stato dalla mia parte. Non è vero che sia un padre padrone, è molto comprensivo e siamo sempre andati molto d’accordo”.

Il trasferimento negli Stati Uniti non è stato quindi una fuga ma qualcosa stabilito da tempo: “Io vivevo un po’ in Italia e un po’ in America. Siamo stati tre anni a Miami – le parole di Camila -. Vorrei stare lì per sempre ma torno spesso qui in Italia, solo che non mi piace parlare di quello che faccio e allora sembra che mi nasconda”. La ex top 20 del ranking Wta sottolinea poi che “ora sono felice, sono dove vorrei essere. Il tennis mi piace, gioco ancora per divertimento, ma non ne potevo più di fare le valigie ogni settimana, vedere sempre le stesse persone. Ogni volta che avevo un problema fisico mi curavo ma stavo molto bene a casa con la famiglia e le amiche, e ripartire era sempre più difficile. Questa porta è chiusa per me”. Inevitabile parlare anche dei problemi con il fisco italiano.

“La mia famiglia non era consapevole della situazione del fisco, i problemi sono nati a causa delle persone che mi gestivano – spiega -. Quando ho firmato per il ritiro si è scatenato il caos. Non ci siamo mai spaventati, abbiamo cambiato le persone che si occupavano di me e ora siamo in ordine. E mi dispiace che le colpe siano state addossate a mio padre. Non mi piace la parola vittima, ma questvolta è così”.

La Giorgi parla anche delle accuse di falso ideologico nell’inchiesta di Vicenza sui falsi vaccini: “Sono rimasta molto sorpresa dalla dottoressa perché pensavo avessimo un rapporto umano, invece appena è stata in difficoltà ha fatto il mio nome, mi è dispiaciuto. Si è voluta coprire per i suoi ‘cavoli’. Io non sapevo che non mi avesse fatto il vaccino. L’ho scoperto solo in un secondo tempo che non era vero. Ora c’è l’udienza a novembre, ma sono sicura che tutto si sistemerà con il tempo”.

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