“De Luca salviniano? Ma è Salvini a essere deluchiano!”. Il commento, divertito, è di uno dei consiglieri regionali più vicini al presidente della Campania, Vincenzo De Luca, determinatissimo a ricandidarsi alla guida della Regione nel 2020, nonostante il non brillantissimo risultato di questi primi tre anni e mezzo di governo. De Luca si è messo in testa un’idea meravigliosa: diventare il paladino campano dell’ordine e della sicurezza. In parole povere, De Luca spera (sogna?) di conquistare il consenso di quella parte di popolazione che si riconosce, a livello nazionale, nelle politiche anti immigrazione di Matteo Salvini. Già da settimane De Luca partecipa a ogni genere di iniziativa pubblica, e delizia le platee con discorsi all’insegna del “rimandiamoli a casa loro”.
Alla festa dell’Unità di Scafati, lo scorso 13 settembre, è arrivato a chiedere l’intervento militare dell’Onu in quei paesi africani che si dovessero rifiutare di allestire centri dove raccogliere i disperati in partenza verso l’Europa. Roba che se lo avesse detto Salvini, il Pd sarebbe insorto.
Poiché lo ha detto De Luca, nessuno si è indignato, e in molti hanno pensato che Maurizio Crozza avrà molto materiale interessante per le sue imitazioni cult dello “sceriffo”.
Il Presidente della giunta regionale della Campania. Ancora sberleffi di De Luca agli esponenti del suo partito
Purtroppo, però, c’è poco da ridere: De Luca vuole conquistare il cuore degli elettori di Salvini, ma così facendo rinuncia completamente al ruolo che invece gli spetterebbe, quello di baluardo delle ragioni del Sud, in un momento in cui, con la Lega che detta legge al governo, la prospettiva di un’autonomia “spinta” alle regioni del Nord è concretissima, come traspare dalle interviste (poche) del ministro degli affari regionali, Erika Stefani, che sta lavorando giorno e notte per soddisfare i desideri di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna. Basta pochissimo per rendersi conto della strategia deluchiana: nei suoi interventi critica il M5s (ascoltate l’inizio di questa intervista) ma non riserva neanche una battutina, un motto di spirito, uno dei suoi proverbiali sorrisetti beffardi alla Lega. Un amore ricambiato: sui social, gli elettori e i dirigenti locali del Carroccio ne apprezzano toni e concetti (è stato anche invitato alla Pontida del Sud, la festa leghista di Campagna, in provincia, guarda caso, di Salerno).
I leghisti campani sono ben disposti verso De Luca perché il governatore non può essere accusato di cavalcare solo ora l’onda del pugno duro sull’immigrazione e sulla sicurezza: già da sindaco di Salerno si è reso più volte alfiere del “pugno di ferro”.
Matteo Salvini. Il vicepremier e ministro dell’Interno sarà a Napoli a inizio ottobre
Per fare breccia nel cuore dell’elettorato salviniano, De Luca adopera un’altra arma di sicura efficacia: gli attacchi al Pd, che “non si occupa di sicurezza” relativamente al problema dell’immigrazione. Ovunque va, De Luca recita lo stesso copione. Oggi, a Nocera Inferiore, è andato molto oltre il seminato:
“Il secondo mandato viene dopo – ha detto De Luca ad una folla plaudente- non vi date preoccupazioni. Non fate come qualche imbecille del Pd che per fare un po’ di ammuina interna fa perdere solo tempo. Chi è? Ve lo dico a casa riservatamente”.
De Luca, dunque, insulta quello che dovrebbe essere il suo stesso partito e che, per inciso, è anche il partito nelle cui liste è stato eletto alla Camera dei deputati suo figlio Piero, il quale, da buon dirigente di partito, dovrebbe replicare con un duro comunicato alle parole di babbo Vincenzo, cosa che ovviamente non farà.
Quello che De Luca non ha probabilmente messo in conto è che andando avanti così non solo non verrà votato dal Pd, ma neanche dagli elettori della Lega, poiché il centrodestra, come da accordo siglato in settimana da Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, si presenterà unito alle prossime elezioni regionali. Intanto, a quanto risulta a juorno.it, De Luca sta preparando un clamoroso blitz al Vasto, quartiere napoletano dove l’emergenza-immigrazione ha già ampiamente oltrepassato i livelli di guardia. C’è da scommettere che sarà uno show. Salvini è atteso a Napoli a inizio ottobre. Andrà nel quartiere Vasto, zona che sta mettendo quotidianamente a durissima prova la coesistenza forzata tra napoletani e centinaia di migranti, molti dei quali senza permesso di soggiorno. Crozza è avvisato. È probabile che li vedremo già assieme al Vasto De Luca e Salvini?
Luciano Spalletti: «Con De Laurentiis troppe battaglie. Se ci fosse stato più rispetto, sarei rimasto a Napoli»
Nel libro “Il Paradiso esiste… ma quanta fatica”, Spalletti racconta il rapporto con De Laurentiis: «Troppe frizioni, ma lo ringrazierò sempre». Anticipazione esclusiva al Corriere della Sera.
Nel giorno dell’uscita del suo libro autobiografico Il Paradiso esiste… ma quanta fatica (Rizzoli), Luciano Spalletti regala al Corriere della Sera un’anticipazione destinata a far discutere. Al centro, uno dei passaggi più delicati e appassionati della sua carriera: il rapporto con Aurelio De Laurentiis e l’anno dello scudetto vinto con il Napoli.
«Due partite: una in campo, una con il presidente»
Spalletti racconta senza filtri i continui attriti avuti con De Laurentiis: «Sono andato via perché non avevo più voglia di sostenere questo continuo conflitto caratteriale con un imprenditore capace, ma con un ego molto, forse troppo grande». Il tecnico toscano descrive una convivenza fatta di battaglie quotidiane, «dare una maglia a un figlio, cambiare albergo senza un motivo chiaro», che lo hanno logorato.
Il “Sultano” e il silenzio dello scudetto
L’autore definisce De Laurentiis «estroso» e «imprevedibile», ma riconosce anche un momento di grande intelligenza da parte del presidente: «Quando ha smesso di parlare pubblicamente durante la stagione dello scudetto ha dato un segnale importante». Un sacrificio notevole per «un uomo di spettacolo che ama la scena».
Ma al momento della vittoria, il gelo. Spalletti svela: «Non telefonò a nessuno, né a me, né ai calciatori, né al team manager. Arrivò una telefonata solo il giorno dopo, per organizzare l’atterraggio a Grazzanise».
Una lettera e l’addio
La rottura definitiva avvenne con una lettera scritta a mano da De Laurentiis che, pur ringraziandolo per il trionfo, imponeva il prolungamento automatico del contratto. Spalletti rispose con un’altra lettera, altrettanto formale: «Sarebbe stato utile parlarsi, per il bene del Napoli. Farlo, forse, avrebbe cambiato il corso delle cose».
«Se ci fosse stato più rispetto, sarei rimasto»
Alla domanda che in tanti gli pongono — se sarebbe rimasto a Napoli con un altro tipo di rapporto — Spalletti oggi risponde: «Sì. Se ci fosse stato più rispetto umano, più dialogo e più apertura su cosa servisse per rivincere, alla fine sarei rimasto».
Eppure, chiude con una nota di gratitudine: «Lo ringrazierò sempre per avermi permesso di allenare il Napoli».
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A distanza di anni dal suo addio alla scena pubblica, Sandro Bondi (foto Imagoeconomica in evidenza) torna a parlare. Lo fa con tono sommesso, riflessivo, in un’intervista al Corriere della Sera in cui ripercorre alcuni snodi della sua carriera politica, il rapporto con Silvio Berlusconi, l’attuale scenario politico e il senso della sua nuova vita a Novi Ligure, dove oggi ricopre — gratuitamente — il ruolo di direttore artistico del teatro Marenco.
«A Novi Ligure per amore e per restituire qualcosa»
«Ho accettato questo incarico per dare un contributo alla comunità in cui vivo. È un teatro bellissimo, restaurato anche grazie al Ministero dei Beni culturali», dice Bondi, senza mai ricordare che proprio lui fu, in passato, ministro della Cultura. Vive da quindici anni con Manuela Repetti, ex parlamentare come lui: «Ci siamo reinventati la vita. Di lei amo la sensibilità e la compassione per ogni essere vivente».
Lontano dalla politica, ma con uno sguardo vigile
«La politica non mi appartiene più», afferma con decisione. Nel 2018 si è ritirato a vita privata, convinto di aver partecipato a un progetto politico — Forza Italia — «di cui non è rimasto quasi nulla». Il giudizio su Matteo Renzi, con cui simpatizzò dopo l’addio al partito azzurro, è netto: «Una delusione politica e umana». E se di Elly Schlein apprezza l’onestà, ne critica l’indeterminatezza politica.
Il ricordo di Berlusconi e l’ammirazione per Meloni
Del suo lungo sodalizio con Silvio Berlusconi — iniziato grazie allo scultore Pietro Cascella — conserva «ricordi belli e meno belli». «Era un uomo complesso, indecifrabile. Avevamo un rapporto profondo». Lo affiancava ogni giorno ad Arcore, ma senza mai viaggiare con lui: «Avevo il terrore dell’aereo». Poi, con l’aiuto di Manuela, ha superato anche quella paura.
Di Giorgia Meloni dice: «Sta lavorando molto bene. L’Italia con lei è in buone mani». Apprezza anche Antonio Tajani e Raffaele Fitto: «Entrambi portano con sé un bagaglio europeo che li rende credibili. E Gianni Letta è una figura che continuo ad ammirare».
Il disincanto per il ministero e l’arte della rinascita
Della sua esperienza ministeriale non conserva nostalgia: «Non è un ricordo piacevole. Ogni cosa veniva strumentalizzata. Come il linciaggio per il crollo di un piccolo muro a Pompei». A Sgarbi, con cui condivise l’ambiente culturale, ha inviato un messaggio attraverso la sorella: «Spero possa rinascere».
«La mia fede è fragile. Come la memoria della Chiesa»
Bondi si descrive come un uomo semplice, tormentato dal pensiero della morte e dalla paura di non rivedere più chi ama. «La mia fede non è profonda. Anzi, ogni giorno che passa è sempre più fragile», confessa. E sul suo futuro dice con umiltà: «Mi piacerebbe essere ricordato come un uomo normale, con le sue paure, bisognoso di dare e ricevere amore».
È tornato finalmente libero Oreste Alfredo Schiavo, imprenditore italo-venezuelano di 67 anni, condannato in Venezuela a 30 anni di carcere con l’accusa di tradimento, finanziamento del terrorismo e associazione a delinquere. Una vicenda che si trascinava dal giugno 2020 e che ha trovato un esito positivo nelle scorse ore, grazie alla mediazione riservata della Comunità di Sant’Egidio, con il supporto della Farnesina e dei rappresentanti diplomatici italiani in loco.
Arrestato per l’operazione “Gedeone”
Schiavo era stato arrestato dagli agenti del Sebin, il servizio di intelligence venezuelano, l’8 giugno 2020. Il suo nome era stato collegato all’operazione “Gedeone”, un presunto tentativo di colpo di Stato ai danni del presidente Nicolás Maduro, che avrebbe previsto lo sbarco di mercenari sulle coste del Paese per prendere in ostaggio funzionari del governo. Insieme a Schiavo furono fermate circa 90 persone. In primo grado, nel maggio 2024, Schiavo era stato condannato a 30 anni di carcere, nonostante le sue gravi condizioni di salute.
L’intervento di Sant’Egidio e il viaggio verso Roma
La svolta è arrivata nella giornata di ieri, grazie a un’operazione diplomatica silenziosa, portata avanti dal docente e dirigente di Sant’Egidio Gianni La Bella, dai funzionari dell’ambasciata e del consolato d’Italia, e con il determinante contributo di Rafael La Cava, ex ambasciatore venezuelano a Roma e attuale governatore dello Stato di Carabobo. Schiavo è stato scarcerato dal penitenziario di El Helicoide, noto per la presenza di prigionieri politici e denunciato da organizzazioni per i diritti umani per le sue condizioni carcerarie, e successivamente condotto in una clinica per accertamenti sanitari.
“Liberato per motivi umanitari”
In serata, il rilascio si è trasformato in un rimpatrio in Italia, con un volo di linea diretto a Fiumicino partito alle 17 (ora locale). Sant’Egidio ha voluto ringraziare pubblicamente il presidente Maduro, specificando che il rilascio è stato concesso “per ragioni umanitarie, con un atto di liberalità personale”.
Un gesto che apre nuove possibilità
La liberazione di Schiavo potrebbe rappresentare il primo spiraglio per sbloccare anche altre detenzioni italiane in Venezuela, come quella del cooperante Alberto Trentini, arrestato nel 2024, e di due italo-venezuelani: Juan Carlos Marrufo Capozzi, ex militare arrestato nel 2019, e Hugo Marino, investigatore aeronautico che aveva indagato su due misteriosi incidenti aerei accaduti attorno all’arcipelago di Los Roques, nei quali morirono, tra gli altri, Vittorio Missonie sua moglie.
Il carcere e le denunce di tortura
Nel carcere di El Helicoide, dove era rinchiuso Schiavo, numerosi attivisti per i diritti umani hanno documentato casi di maltrattamenti e detenzioni arbitrarie. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani si era occupato del suo caso, definito emblematico per le gravi violazioni del diritto alla difesa e per l’assenza di prove concrete nel processo.