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Cronache

Udienza per Cospito tra 3 mesi. Il medico, ‘sarà morto’

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 Arriverà tra tre mesi, il 20 aprile, la decisione della Cassazione sul ricorso avanzato dal difensore di Alfredo Cospito, l’anarchico in sciopero della fame da tre mesi contro il regime del 41 bis disposto nei suoi confronti per quattro anni, dopo il “no” arrivato dal Tribunale di Sorveglianza a cui l’avvocato aveva presentato un reclamo sul regime del carcere duro. Una data che rischia però di essere inutile: “il 20 aprile Alfredo sarà morto, un’attesa così lunga non è compatibile con le sue condizioni” dice senza mezzi termini Angelica Milia, la dottoressa di fiducia che monitora le sue condizioni di salute nel carcere di Sassari dove Cospito è detenuto. Per questo il difensore ha immediatamente presentato una istanza agli ‘ermellini’ per chiedere una anticipazione dell’udienza, in modo da “ottenere la trattazione del ricorso in tempi compatibili con le condizioni di salute” dell’uomo. Che, secondo la dottoressa, sono critiche. “La situazione è al limite, non mangia da 100 giorni e ha perso più di 40 chili – spiega Milia – La letteratura medica dice che quando si perde la metà del proprio peso si verificano danni irreversibili. Non può aspettare tanto, potrebbe avere un crollo da un momento all’altro e a quel punto dovrà essere ricoverato e alimentato forzatamente. Solo che lui ha già scritto che rifiuta l’alimentazione forzata. E allora cosa succederà?”

I giudici della Suprema corte nella camera di consiglio di aprile dovranno esprimersi sull’atto depositato il 27 dicembre dal difensore Flavio Rossi Albertini in cui si afferma che “corrisponde a violazione di legge il fatto che il Tribunale di Sorveglianza” abbia “equiparato l’attività comunicativa di Cospito (che viene dallo stesso inviata quale contributo personale alle assemblee o ai giornali anarchici, e che viene poi a sua volta altrettanto pubblicamente divulgata da questi ultimi attraverso il web, nei notori siti d’area ovvero di controinformazione) ai cosiddetti ‘pizzini’, ovvero ai messaggi criptici che vengono veicolati dal detenuto all’esterno, spesso attraverso i parenti, sfruttando a tal fine le occasioni di contatto infra-murario ed esterno tipicamente connesse ad un ordinario regime di detenzione”. Nei giorni scorsi il difensore ha presentato una istanza al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per chiedere la revoca del carcere duro fondata sulle motivazioni di una sentenza depositata successivamente alla decisione del tribunale di Sorveglianza. Sulla vicenda l’Alleanza Verdi e Sinistra è tornata a chiedere al Guardasigilli una informativa urgente in aula e di chiarire lo scontro tra il carcere di Sassari e Radio Onda d’Urto. La direzione dell’istituto penitenziario ha infatti diffidato proprio la dottoressa Milia a non parlare più con la radio, che si definisce “storicamente legata ai movimenti sociali”, “al fine di non vanificare le finalità del regime di cui all’ex art. 41 bis”. Non solo: “Ulteriori dichiarazioni rese in tal senso – si legge nella lettera – potranno indurre a valutare la revoca dell’autorizzazione all’accesso in istituto”. Radio Onda d’Urto ha subito replicato parlando di “un provvedimento gravissimo, un attacco che non riguarda solo la nostra emittente ma più in generale la libertà di informazione e che denota un accanimento repressivo-carcerario contro il detenuto”. E la situazione di Cospito è arrivata anche nell’aula del tribunale di Torino in cui è in corso il maxiprocesso sulle attività del centro sociale Askatasuna, storica realtà antagonista torinese. Gli imputati hanno infatti letto una dichiarazione congiunta di “solidarietà” all’anarchico e di sostegno “alle battaglie di civiltà contro l’ergastolo ostativo e il 41 bis”.

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Costretta a nozze combinate, il Pm: trattata da principessa

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Ha chiesto aiuto per evitare un matrimonio imposto, con un uomo scelto dai suoi genitori, ma quando il suo caso è arrivato sul tavolo del magistrato, questi ha ritenuto che “il fattore culturale” e l’idea di darle una vita da “principessa” avessero spinto l’agire dei familiari e che non vi fosse alcuna costrizione alle nozze. Il gip di Monza ha però ordinato l’imputazione coatta e oggi il padre e la madre di Zain (nome di fantasia), diciottenne pakistana cresciuta a Seregno (Monza), insieme al fratello maggiore dovranno rispondere di tentata induzione a contrarre matrimonio. Zain aveva 13 anni quando sentì parlare per la prima volta delle sue future nozze con un cugino scelto dalla famiglia. Lei voleva studiare, scegliere la sua professione, e soprattutto vivere un amore vero, libero.

“Potrai fare ciò che vorrai, continuare gli studi, ma solo se sposerai lui”, le hanno detto i genitori. Con il passare degli anni la giovanissima ha vissuto con la paura nell’anima, sentendosi braccata e finendo per farsi del maie da sola. I segni del suo malessere, visibili sul suo corpo, sono stati notati dagli insegnanti della scuola superiore che frequentava che hanno allertato i servizi sociali. Nonostante ciò, il piano della sua famiglia, supportata anche da un’intera comunità nella quale Zain non aveva alcun punto di riferimento che la spalleggiasse, è proseguito fino a poco prima che diventasse maggiorenne. Quando a casa sua è arrivato il suo abito da sposa, la giovane ha compreso di non avere scampo.

“Io non sarei riuscita a sottrarmi, avevo tutti contro”, ha raccontato agli assistenti sociali e al suo avvocato, per chiedere di essere trasferita in una comunità protetta e dando il via all’inchiesta sui suoi familiari. All’esito delle indagini, il pm di Monza Alessio Rinaldi ha però deciso di archiviare il caso, spiegando che “la scelta della famiglia di organizzare il suo matrimonio” non fosse “mai stata caratterizzata da metodi costrittivi o minatori”, nonostante la ragazza abbia “sempre sentito le scelte familiari frutto della loro appartenenza culturale come lesive della sua libertà”, perché dai suoi racconti sarebbe invece emerso che i suoi genitori volessero “trattarla come una ‘principessa’ e darle un futuro migliore”.

Il gip di Monza ha invece respinto la richiesta di archiviazione e disposto per i familiari della ragazza l’imputazione coatta. “Sono contenta che il giudice abbia manifestato sensibilità per questi temi – ha detto il suo avvocato Lucilla Tassi – lei ora è in una località protetta, dopo aver ricevuto ampio sostegno dai servizi sociali, ora si merita il futuro che desidera”. Ora Zain continua a studiare, lontana da una famiglia che non desidera più rivedere, libera.

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Rischio Fentanyl in Italia, ai poliziotti l’antidoto

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E’ stato trovato in una dose di eroina a Perugia. In una farmacia abusiva a Gioia Tauro. Nella disponibilità di un trafficante arrestato a Piacenza. Nel 2023 in quattro corpi sottoposti ad autopsia: solo in uno come causa principale del decesso. Tracce limitate per ora. Di rilevanza apparentemente modesta se si confronta la situazione dell’Italia con quella degli Stati Uniti, dove il Fentanyl è una vera e propria piaga sociale che lo scorso anno ha fatto più di 100mila morti. Ma il governo intende prestare la massima attenzione ai rischi di diffusione dell’oppiaceo sintetico 80 volte più potente della morfina. Con un impegno sinergico di intelligence, forze di polizia, magistratura e diversi ministeri, come ha spiegato oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, in una conferenza stampa a Palazzo Chigi insieme al vicepremier Antonio Tajani. Ed ai poliziotti che intervengono su questo fronte si stanno assegnando spray al Naloxone, farmaco che blocca gli effetti del Fentanyl.

La presidenza italiana del G7 ha promosso una dichiarazione congiunta sul contrasto al potente analgesico. Un focus è stato dedicato nella riunione del 7 ministri degli Esteri ed in quella della Giustizia. “Abbiamo stabilito – ha informato Tajani – una collaborazione operativa contro la produzione e la diffusione. Stiamo lavorando anche con gli Usa ci sono state più di una riunione con Blinken che ringrazia l’Italia per il suo impegno. E il tema sarà al centro dei miei incontri con i Paesi asiatici”. Sul fronte interno è attivo un Piano nazionale di prevenzione che coinvolge tutte le amministrazioni interessate. E’ il dark web, in particolare, la porta d’ingresso del Fentanyl in Italia. Il traffico, ha spiegato Mantovano, passa “su siti cinesi soprattutto, con pagamenti in criptovalute che significa non tracciabilità e ciò rende le indagini difficili e complesse”.

La Procura nazionale antimafia, ha proseguito il sottosegretario, “ha costituito un gruppo di lavoro composto da alcuni procuratori distrettuali per elaborare protocolli d’intervento. Sono state sensibilizzate tutte le procure, anche quelle ordinarie”. E visto che la sostanza comincia a circolare, ha fatto sapere, “il ministero dell’Interno e della Salute stanno lavorando per dotare il personale delle forze di polizia che opera in questo ambito di flaconi di Naloxone, uno spray nasale che fa da antidoto, per far sì che quando un agente effettua un intervento che fa emergere il Fentanyl non siano colpiti”. Ma l’attenzione del governo non è dedicata solo al Fentanyl.

A giugno, ha informato Mantovano, il Dipartimento per le politiche antidroga “produrrà spot che descriveranno gli effetti reali di cannabis, eroina, cocaina. Nel 2025, poi, “organizzeremo la Conferenza nazionale sulle dipendenze. La precedente è stata nel 2021, ma in modalità Covid. Sarà l’occasione di un aggiornamento dello stato delle dipendenze in Italia, non soltanto da stupefacenti, ma anche da alcol, fumo, gioco d’azzardo, prodotti web. Vogliamo un confronto libero che permetta di conseguire i risultati che ci siamo posti in termini di prevenzione e recupero”.

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L’ex consigliere regionale del M5s Giovanni Favia assolto dall’accusa di violenza sessuale

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E’ stato assolto dall’accusa di violenza sessuale Giovanni Favia, ex esponente del Movimento 5 stelle e ora gestore di alcuni locali a Bologna. Lo ha deciso il Gup del Tribunale di Bologna Roberta Malavasi, al termine del processo col rito abbreviato ordinario (o ‘secco’) – quindi solo sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, senza possibilità di ulteriori acquisizioni probatorie – che si è svolto questa mattina. All’origine del processo, la denuncia di una ragazza, assistita dall’avvocato Barbara Iannuccelli, con cui Favia aveva avuto una relazione. Il fatto contestato risaliva alla notte tra il 5 e il 6 novembre 2021. A chiedere il rinvio a giudizio dell’ex esponente M5s era stato, a gennaio, il pm Tommaso Pierini, dopo che a giugno il gip Domenico Truppa aveva ordinato l’imputazione coatta. Inizialmente il pm aveva chiesto l’archiviazione, ma la legale della donna si era opposta, così Truppa aveva ordinato l’imputazione coatta per il reato di violenza sessuale, disponendo invece l’archiviazione per le contestazioni di stalking e lesioni. Favia, assistito dall’avvocato Francesco Antonio Maisano, si è sempre difeso sostenendo di essere stato denunciato pretestuosamente dalla donna a seguito della fine della loro relazione. Oggi è arrivata l’assoluzione. Le motivazioni saranno disponibili entro 90 giorni.

“Finalmente – dice il suo legale Francesco Antonio Maisano – l’innocenza di Giovanni Favia, accusato ingiustamente di un crimine odioso, è stata scritta a lettere indelebili e con la più ampia delle formule assolutorie. Dopo anni di calvario giudiziario, accompagnato da una vera e propria ‘macelleria mediatica’ oggi è stata finalmente scritta la parola fine. In un tempo in cui troppo spesso di parla di ‘presunzione di innocenza’ senza però praticarla in concreto, mi auguro che almeno questo caso rimanga emblematico di quanto possa accadere anche ad un innocente. Al mio assistito auguro solo di riprendersi per tutto quanto ha dovuto perdere, ingiustamente, in questi anni, dalla salute alla considerazione sociale. Sarà difficile ma glielo auguro di tutto cuore”. Per l’avvocata Barbara Iannuccelli, che assiste la donna che denunciò Favia, “in questo complesso e tortuoso iter giudiziario abbiamo una Procura che chiede l’archiviazione, un giudice che all’esito della nostra opposizione impone la formulazione della imputazione per violenza sessuale, ritenendo sussistenti gli elementi probatori, e un giudice che poi assolve. Siamo destabilizzati. Attendiamo le motivazioni tra 90 giorni”.

 

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