Un sequestro lungo, fatto di molti silenzi che in certi momenti avevano fatto temere il peggio. Fino alla tanto attesa svolta: l’intelligence italiana ha liberato in Somalia Silvia Romano, cooperante milanese rapita in Kenya 18 mesi fa e subito venduta a un gruppo jihadista legato agli al Shabaab. “Sono stata forte, ho resistito”, le sue prime parole dopo la fine dell’incubo, protetta in un compound a Mogadiscio e pronta all’immediato rientro in Italia. Il premier Giuseppe Conte ha dato l’annuncio: un tweet arrivato nel pomeriggio, che almeno per un attimo ha spezzato l’angoscia quotidiana dell’epidemia di coronavirus. “Silvia Romano e’ stata liberata! Ringrazio le donne e gli uomini dei nostri servizi d’intelligence. Ti aspettiamo in Italia!”, ha scritto il premier. “Un motivo di grande gioia per tutti gli italiani”, ha sottolineato il presidente Sergio Mattarella. Lo “Stato non abbandona nessuno”, ha ricordato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che domani attendera’ Silvia a Ciampino. E che l’ha gia’ sentita al telefono, cosi’ come ha fatto anche Conte. “Siamo tutti felici, la Farnesina e’ sempre stata in contatto con la tua famiglia”, ha detto il ministro alla ragazza ringraziando tutti coloro che hanno lavorato al suo rilascio.
L’operazione dell’Aise, i servizi di sicurezza esterna, è scattata nella notte in collaborazione con i colleghi somali e turchi. Silvia è stata liberata a 30 chilometri da Mogadiscio, in una zona in condizioni estreme perchè colpita negli ultimi giorni dalle alluvioni. A blitz compiuto, la cooperante è stata condotta in un compound delle forze internazionali nella capitale somala e poi all’ambasciata italiana. Da lì un aereo dell’Aise la condurrà in Italia, con un atterraggio a Ciampino previsto alle 14.
Ph. da FB pagina Silvia Romano Libera
“E’ in forma, provata ovviamente dallo stato di prigionia ma sta bene”, ha reso noto il presidente del Copasir Raffaele Volpi, ringraziando “l’incessante lavoro” e “mai alla luce della ribalta” dell’Aise e del suo capo, il generale Luciano Carta, che chiude in bellezza il suo incarico, cosi’ come aveva cominciato. Assunto l’incarico qualche giorno prima della cattura di Cesare Battisti, Carta e’ stato indicato dal governo alla presidenza di Leonardo. Un lavoro sottotraccia e complicato, quello dell’intelligence, visto l’ambiente in cui ha dovuto operare: una Somalia dove negli ultimi anni gli Shabaab hanno seminato morte e terrore e mettendo in scacco le fragili istituzioni. Proprio dalla Somalia e’ arrivato l’input a rapire Silvia Romano, secondo quanto ha ricostruito la procura di Roma, che ha coordinato le indagini in collaborazione con gli inquirenti kenyani. La 25enne cooperante di Milano lavorava per la onlus marchigiana Africa Milele che opera nella contea di Kilifi, dove seguiva un progetto di sostegno all’infanzia con i bambini di un orfanotrofio. Il 20 novembre del 2018 la sua normalita’ era stata stravolta in un villaggio poverissimo di Chacama, a circa ottanta chilometri dalla capitale Nairobi, dove un commando di otto uomini armati di fucili e machete l’aveva prelevata con la forza fuggendo in moto.
Un agguato in piena regola, alla ricerca della “donna bianca”. La polizia locale aveva ipotizzato un rapimento ad opera di criminali comuni a scopo di estorsione, magari anche con la possibilita’ che la ragazza venisse venduta in Somalia. Tre dei responsabili del blitz erano stati arrestati e dalle indagini era in effetti emerso che la ragazza era stata trasferita oltreconfine subito dopo il sequestro: un’operazione organizzata da un gruppo islamista legato al Al-Shabaab che aveva fornito alla banda di criminali comuni kenyoti denaro e mezzi. Queste informazioni erano trapelate un anno dopo il sequestro, nel novembre scorso, e da quel momento sono stati mesi di silenzio. Ma all’ombra dei riflettori e’ iniziata la trattativa che ha permesso di chiudere con successo l’operazione. E adesso che la vicenda si e’ conclusa positivamente, Silvia potra’ fornire ulteriori pezzi del puzzle agli inquirenti. Appena rientrata in Italia, sara’ ascoltata dai pm romani, che avevano aperto un’inchiesta per rapimento a scopo di terrorismo.
“Sono stata forte e ho resistito. Sto bene e non vedo l’ora di ritornare in Italia”. Queste le prime parole di Silvia Romano appena liberata.
Il rilascio di Silvia Romano e’ stato accolto con sollievo dalle istituzioni, dalla presidente del Senato Elisabetta Casellati al presidente della Camera Roberto Fico, al ministro della Difesa Lorenzo Guerini, passando per l’opposizione: il leader leghista Matteo Salvini, all’epoca del rapimento ministro dell’Interno, ha ringraziato i servizi. Entusiasmo alle stelle dai balconi dei vicini di casa di Silvia a Milano, dove abita la madre. Per il papa’ Enzo “la felicita’ e’ talmente grande che scoppia”.
Dalle prime ore di questa mattina, a Napoli, la Polizia di Stato e la Polizia Penitenziaria, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, stanno eseguendo 2 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di complessivi 30 destinatari, a vario titolo gravemente indiziati di associazione di tipo mafioso, estorsioni, traffico di stupefacenti, detenzione di armi da fuoco ed accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti.
Un giorno di sospensione delle lezioni per permettere agli alunni musulmani di festeggiare il Ramadan ha diviso la popolazione di Pioltello, un comune connotato da una forte presenza islamica alle porte di Milano, dopo la decisione del consiglio scolastico dell’Istituto comprensivo Iqbal Masih di chiudere la scuola il prossimo 10 aprile, giorno in cui si festeggia la conclusione della ricorrenza islamica. Nel mirino è finito il dirigente scolastico Alessandro Fantoni, a cui sono arrivate minacce e insulti, e che oggi “ha paura”. A sollevare il polverone è stata l’eurodeputata Silvia Sardone (Lega), che ha definito la decisione “preoccupante”, mentre per la sindaca di Pioltello Ivonne Cosciotti (Pd) si tratta di “un atto di civiltà”.
A porre fine alla polemica sarà una verifica decisa dal ministro all’Istruzione Giuseppe Valditara, il quale oggi ha invitato tutti a “una maggiore serenità”, definendo “scomposte le dichiarazioni di alcuni esponenti del Pd” e spiegando che “l’ufficio scolastico regionale valuterà se le decisioni prese dall’istituto siano coerenti o meno con la legge”. Non è tardata la risposta della senatrice dem Simona Malpezzi: “da tre giorni la destra sta minando la serenità di una scuola, Valditara trova il tempo di fare il bullo con l’opposizione?”. A Pioltello la vicenda dell’istituto Iqbal Masiq, un complesso con tre sedi distaccate da 1300 studenti a maggioranza islamica, intitolato al dodicenne pakistano ucciso nel 1995 per il suo impegno contro lo sfruttamento del lavoro minorile, è al centro della discussione, con opinioni nettamente contrapposte a prescindere dal credo religioso.
“Sono contenta della decisione – afferma una nonna, italiana e cattolica – i musulmani rispettano i nostri 15 giorni di festa a Natale, non vedo perché noi non possiamo rispettare la loro per un giorno”. “È una bravissima persona, siamo contenti della decisione”, hanno commentato alcune mamme musulmane, a sostegno del dirigente scolastico. Di diverso avviso è un’altra mamma, anche lei musulmana: “Non sono assolutamente d’accordo, i figli devono andare a scuola. Se vuoi che tuo figlio faccia il Ramadan, lo lasci a casa e stai a casa tu. Chiudere la scuola per gli altri bambini non è giusto”.
Piuttosto arrabbiato anche un nonno: “io non ce l’ho con i musulmani ma con gli italiani e cattolici che si sono permessi di prendere questa decisione, perché penalizzare gli altri bambini?”. Lontano dal complesso scolastico, nelle vie del centro dove negozi etnici e macellerie islamiche proiettano nel cuore del sentire musulmano, sono invece pochi a voler parlare. Tra questi Nasser, originario del Bangladesh, contento della decisione della scuola. “Noi qui siamo il 50% della popolazione – ha spiegato – ho cresciuto i miei figli nel rispetto di tutte le religioni, siamo in Italia e dobbiamo rispettare regole e tradizioni, ma cosa può causare un giorno di chiusura per la nostra festa?” Sono diversi studenti della scuola secondaria di primo grado, senza alcuna distinzione, giovanissimi italiani e stranieri, islamici e non, ad avere invece le idee molto chiare: “è solo un giorno, non capiamo che problema ci sia, solo perché lo dice Salvini?”.
Otto anni di reclusione. Li ha chiesti la Procura di Roma nei confronti dell’ex presidente della Camera Gianfranco Fini, imputato assieme alla compagna Elisabetta Tulliani, per l’opaca operazione di compravendita, che risale al 2008, di un appartamento a Montecarlo, lasciato in eredità dalla contessa Annamaria Colleoni ad Alleanza Nazionale. I pm Barbara Sargenti e Maria Teresa Gerace hanno sollecitato una pena a 9 anni per la compagna dell’ex segretario di An, e a 10 anni per il fratello Giancarlo Tulliani. Chiesti 5 anni per il padre Sergio.
Nel processo si contesta il solo reato di riciclaggio dopo che nell’udienza del 29 febbraio scorso i giudici della quarta sezione collegiale avevano dichiarata prescritta l’accusa di associazione a delinquere, fattispecie contestata ad altri imputati ma non a Fini. La decisione dei giudici è legata alla esclusione dell’aggravante della transnazionalità. In aula, durante la requisitoria, era presente l’ex presidente della Camera. “Era scontato che la pubblica accusa chiedesse la condanna – ha commentato – continuo ad avere fiducia nella giustizia e ciò in ragione della mia completa estraneità rispetto a quanto addebitatomi”.
Poco prima dell’intervento della Procura ha chiesto di rilasciare una breve dichiarazione Elisabetta Tulliani. Parole con le quali ha sostanzialmente ‘scaricato’ il fratello. “Ho nascosto a Gianfranco Fini la volontà di mio fratello di comprare la casa di Montecarlo. Non ho mai detto a Fini la provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello – ha affermato visibilmente commossa la donna -. Il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita. Spero di avere dato con questa dichiarazione un elemento per arrivare alla verità”.
L’Avvocatura dello Stato ha chiesto, dal canto suo, l’assoluzione per Fini. Inizialmente il procedimento vedeva coinvolte anche altre persone, tra cui il ‘re delle Slot’ Francesco Corallo e il parlamentare Amedeo Laboccetta. Per loro la decisione dei giudici del 29 febbraio ha fatto scattare la prescrizione delle accuse. Secondo l’iniziale impianto accusatorio dei pm della Dda capitolina gli appartenenti all’associazione a delinquere mettevano in atto, evadendo le tasse, il riciclaggio di centinaia di milioni di euro. Quel fiume di denaro, una volta ripulito, è stato utilizzato da Corallo per attività economiche e finanziarie ma anche, è la convinzione degli inquirenti, in operazioni immobiliari che hanno coinvolto i membri della famiglia Tulliani.
Gli accertamenti della Procura hanno riguardato, quindi, anche l’appartamento di Boulevard Principesse Charlotte, finito poi nella disponibilità Giancarlo Tulliani che attualmente vive a Dubai. L’appartamento monegasco, secondo quanto accertato, sarebbe stato acquistato da Tulliani junior grazie ai soldi di Corallo attraverso due societa’ (Printemps e Timara) costituite ad hoc. Il coinvolgimento di Fini nell’inchiesta è legato proprio al suo rapporto con Corallo. Un rapporto, per la procura, che sarebbe alla base del patrimonio dei Tulliani.
Quest’ultimi, in base a quanto accertato dagli inquirenti, avrebbero ricevuto su propri conti correnti ingenti somme di danaro riconducibili a Corallo e destinati alle operazioni economico-finanziarie dell’imprenditore in Italia, Olanda, Antille Olandesi e Principato di Monaco. ”Questa vicenda – affermò Fini nell’udienza del marzo del 2023 – è stata la più dolorosa per me: sono stato ingannato da Giancarlo Tulliani e dalla sorella Elisabetta. Solo anni dopo ho scoperto che il proprietario della casa era Tulliani e ho interrotto i rapporti con lui. Anche il comportamento di Elisabetta mi ha ferito: ho scoperto solo dagli atti del processo che lei era comproprietaria dell’appartamento e poi appresi anche che il fratello le bonificò una parte di quanto ricavato dalla vendita. Tutti fatti che prima non conoscevo”. La sentenza è attesa per il prossimo 18 aprile.