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Ricerca, Neuromed: un passo avanti nella cura della nevralgia del trigemino con l’autotrapianto di muscolo
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redazione
Un importante progresso nel trattamento della nevralgia trigeminale classica, una delle forme più gravi e invalidanti di dolore facciale, arriva dai laboratori dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli. Un team di neurochirurghi e ricercatori ha messo a punto una tecnica chirurgica innovativa che utilizza l’autotrapianto di muscolo, offrendo risultati clinici molto promettenti. Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Neurosurgical Review, rappresenta una concreta speranza per i pazienti che non rispondono più alle terapie farmacologiche.
La nevralgia del trigemino è spesso causata da un conflitto neurovascolare, cioè la compressione del nervo trigemino da parte di un vaso sanguigno adiacente. Nei casi più gravi, quando i farmaci non sono efficaci, si ricorre alla microvascolar decompression: un intervento chirurgico che prevede l’inserimento di una barriera tra il nervo e il vaso, tradizionalmente realizzata con materiali sintetici come il teflon.
La novità introdotta dal team del Neuromed consiste nell’utilizzo di frammenti di tessuto muscolare prelevati dallo stesso paziente. Questo approccio “biologico” consente una separazione più naturale tra nervo e vaso e, secondo i dati raccolti, anche più duratura.
Lo studio ha coinvolto 57 pazienti operati tra il 2016 e il 2022, seguiti clinicamente per un periodo medio di 29 mesi. I risultati sono incoraggianti: la totalità dei pazienti ha riportato la scomparsa immediata del dolore subito dopo l’intervento – rispetto all’80-85% tipico delle tecniche tradizionali – e solo il 3,5% ha avuto una recidiva nei mesi successivi, un valore significativamente più basso rispetto al tasso usuale (10-20%).
Anche sul fronte della sicurezza, la procedura ha mostrato ottimi risultati, con una sola complicanza postoperatoria registrata.

Professor Paolini
“L’impianto di muscolo autologo – spiega il professor Sergio Paolini, dell’Università Sapienza di Roma e Responsabile del Reparto Neurochirurgia III del Neuromed, primo autore dello studio – è una tecnica che nel nostro centro è stata promossa sin dai primi anni 2000 dal professor Vincenzo Esposito. La variante adottata nello studio garantisce una protezione stabile e duratura del nervo, riducendo i rischi di recidiva e le complicazioni legate ai materiali sintetici”.
“Si tratta – conclude Paolini – di un importante passo in avanti per i pazienti affetti da una condizione così debilitante. Questo studio conferma la nostra vocazione a sviluppare tecniche sempre meno invasive e sempre più centrate sulla qualità della vita del paziente”.
La ricerca dell’I.R.C.C.S. Neuromed non solo apre nuove prospettive terapeutiche, ma rappresenta anche un esempio di come l’innovazione possa nascere dall’integrazione tra competenza clinica e attenzione alla biocompatibilità delle soluzioni adottate.
Paolini, S., Mancarella, C., Scafa, A. K., Arcidiacono, U., Morace, R., Chiarella, V., … & Esposito, V. (2025). Circumferential nerve wrapping with muscle autograft: a modified strategy of microvascular decompression for trigeminal neuralgia. Neurosurgical Review, 48(1), 1-7.
DOI: https://doi.org/10.1007/s10143-024-03100-w
L’IRCCS Neuromed
L’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) Neuromed di Pozzilli (IS) rappresenta un punto di riferimento a livello italiano ed internazionale per la ricerca e la terapia nel campo delle malattie che colpiscono il sistema nervoso e quello vascolare. Un centro in cui i medici, i ricercatori, il personale e gli stessi pazienti formano un’alleanza rivolta a garantire il miglior livello di assistenza possibile e cure all’avanguardia, guidate dagli sviluppi scientifici più avanzati.
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Economia
Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida
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8 ore fadel
25 Aprile 2025
Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.
Affluenza e composizione del voto
L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.
Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022
La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.
Il nuovo consiglio d’amministrazione
Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.
Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti
A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.
Donnet: «Ha vinto Generali»
«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.
Esteri
Trump affida il dialogo con Mosca al suo uomo di fiducia Witkoff, uno che fa affari con oligarchi russi
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8 ore fadel
25 Aprile 2025
Donald Trump ha estromesso Keith Kellogg dai contatti sulla guerra in Ucraina. Il generale, pur essendo l’inviato ufficiale della Casa Bianca, è stato considerato in conflitto d’interessi per via del lavoro della figlia, che collabora con un’agenzia impegnata a fornire farmaci a Kiev. La notizia, rilanciata dalla stampa russa e dai servizi d’intelligence di Mosca, ha spinto Trump a escluderlo dalle trattative.
Witkoff entra in scena senza incarichi ufficiali
Al suo posto, Trump ha affidato i contatti con il Cremlino a Steve Witkoff, immobiliarista newyorkese e suo collaboratore personale. Witkoff non ha alcuna esperienza diplomatica né una posizione formale all’interno delle istituzioni americane. Tuttavia, gode della fiducia diretta dell’ex presidente e sembra avere piena libertà d’azione nei rapporti con la Russia.
L’ombra dell’oligarca Blavatnik nei suoi affari
A rendere controversa la scelta di Witkoff è il suo socio d’affari, Leonard Blavatnik, miliardario nato a Odessa, naturalizzato americano e britannico, considerato uno degli oligarchi più influenti. Blavatnik è finito nella lista delle sanzioni dell’Ucraina per i suoi rapporti con l’economia russa. Con Witkoff ha gestito operazioni immobiliari per oltre un miliardo di dollari.
Gli affari miliardari costruiti nell’era post-sovietica
Blavatnik ha fatto fortuna negli anni delle privatizzazioni in Russia. Con Mikhail Fridman e Viktor Vekselberg ha acquisito la compagnia petrolifera TNK e, nel 2003, ha siglato una partnership con British Petroleum. L’operazione si è conclusa nel 2013 con la vendita a Rosneft per 56 miliardi di dollari, con l’appoggio politico del Cremlino.
Trump ignora i rischi e tira dritto
Nonostante la posizione ambigua di Blavatnik — che ha definito la guerra “inimmaginabile” senza mai accusare Putin — Trump continua a considerare valido il canale con Mosca tramite Witkoff. Le attività comuni tra i due sono proseguite anche dopo l’inizio della guerra in Ucraina, con un recente investimento da 85 milioni di dollari. Per Trump, nessun problema. O forse, proprio per questo, un vantaggio.
Cronache
I principali ‘papabili’ successori di Papa Francesco: Zuppi e Parolin hanno chance importanti
Pubblicato
19 ore fadel
24 Aprile 2025
Di seguito presentiamo una panoramica dei cardinali comunemente ritenuti più papabili per succedere a Papa Francesco in caso di morte del pontefice. Per ciascuno vengono descritti il profilo biografico, le posizioni teologiche, la rilevanza geografica e geopolitica, nonché le esperienze pastorali e in Curia. Segue poi un’analisi complessiva sulla distribuzione geografica dei cardinali elettori e sulle possibili dinamiche di alleanze nel futuro Conclave.
Cardinale Pietro Parolin (Italia) – Segretario di Stato Vaticano
Pietro Parolin, 70 anni, è dal 2013 Segretario di Stato della Santa Sede (il “primo ministro” vaticano) ed è spesso considerato un candidato di compromesso tra le correnti progressiste e conservatrici. Nato in Veneto nel 1955, è stato ordinato sacerdote a 25 anni e ha intrapreso la carriera diplomatica: ha servito come nunzio apostolico in Nigeria e Messico, poi come Sotto-Segretario per i Rapporti con gli Stati. Grande esperto di politica internazionale, ha avuto un ruolo cruciale nelle relazioni con il Medio Oriente e soprattutto nel dialogo con la Cina, culminato nello storico accordo provvisorio del 2018 sulla nomina dei vescovi (rinnovato più volte).
Parolin è considerato un moderato dal punto di vista teologico – né apertamente progressista né ultra-conservatore – e per questo potrebbe fungere da ponte tra le due principali correnti del Collegio. Vicino allo stile pastorale di Francesco (attenzione ai poveri, visione “globalista” della Chiesa), porterebbe avanti molte riforme di Francesco ma con un approccio più discreto e diplomatico. Grazie alla vasta esperienza di governo e alla stima trasversale di cui gode tra i confratelli cardinali, Parolin viene spesso indicato come un “naturale successore” se il Conclave cercasse stabilità e continuità nella linea di Bergoglio.
Cardinale Matteo Maria Zuppi (Italia) – Arcivescovo di Bologna
Matteo Zuppi (foto Imagoeconomica in evidenza), 69 anni, è arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI (Conferenza Episcopale Italiana). Romano di nascita, proviene dalla comunità di Sant’Egidio, con un passato da sacerdote di frontiera nelle periferie romane. Molto amato per lo stile semplice e dialogante, incarna il profilo del “prete di strada” vicino ai poveri nello spirito francescano. Durante gli anni ’90 ha partecipato come mediatore a importanti processi di pace (Mozambico, Burundi, Guatemala) insieme alla Comunità di Sant’Egidio. Nominato vescovo ausiliare di Roma nel 2012, è stato scelto da Francesco come arcivescovo di Bologna nel 2015 e creato cardinale nel 2019. Zuppi è considerato un esponente di punta dell’ala progressista: attento ai temi sociali (migranti, emarginati) e aperto nel dialogo ecumenico e interreligioso, in sostanziale continuità con l’impostazione di Papa Francesco. Dal 2022 guida l’episcopato italiano e nel 2023 è stato inviato da Francesco come mediatore nella guerra in Ucraina, incontrando leader a Kiev, Mosca, Washington e Pechino. La sua nomina a Pontefice rappresenterebbe una chiara scelta di continuità “francescana”, sebbene con un temperamento mite e conciliante. C’è da aspettarsi che i settori più conservatori della Chiesa lo guarderebbero con una certa sospettosità per le sue posizioni aperte, ma molti lo vedono come una figura capace di unire spiritualità e attenzione pastorale sul campo.
Cardinale Luis Antonio G. Tagle (Filippine) – Pro-Prefetto di Evangelizzazione
Luis Antonio “Chito” Tagle, 67 anni, filippino, è spesso citato tra i papabili più accreditati fuori dall’Europa. Arcivescovo di Manila dal 2011 al 2019, è stato chiamato da Papa Francesco a Roma come Prefetto (ora Pro-Prefetto) del Dicastero per l’Evangelizzazione – uno degli incarichi più importanti – dopo aver guidato Caritas Internationalis per diversi anni. Tagle unisce una solida formazione teologica (dottorato negli USA, docente e poi vescovo relativamente giovane) a un carisma comunicativo che gli ha valso il soprannome di “Francesco asiatico”. Come Papa Francesco, infatti, è noto per la vicinanza ai poveri e l’attenzione alla giustizia sociale. Se eletto, sarebbe il primo pontefice dell’Asia in duemila anni di storia, segnalando quella “svolta Global South” a lungo attesa. Teologicamente Tagle è considerato un progressista moderato: ha difeso con fermezza la dottrina pro-life (si è opposto ad aborto ed eutanasia nelle Filippine) ma al contempo ha invocato maggiore misericordia pastorale verso le coppie omosessuali e le situazioni familiari irregolari. Inoltre, ha svolto un ruolo chiave nel dialogo segreto con la Cina riguardo alla nomina dei vescovi, forte anche delle sue origini cinesi da parte di madre. Negli ultimi anni alcune difficoltà gestionali emerse in Caritas (commissariata nel 2022) hanno forse leggermente offuscato la sua immagine, ma resta uno dei candidati di peso con rilevanza geopolitica: darebbe voce alla crescente Chiesa asiatica.
Cardinale Fridolin Ambongo Besungu (Rep. Dem. Congo) – Arcivescovo di Kinshasa
Fridolin Ambongo, 63 anni, è l’arcivescovo di Kinshasa (Capitale della RD Congo) e uno dei leader più in vista della Chiesa africana contemporanea. Cappuccino, con studi in teologia morale a Roma, è stato professore e ha guidato diocesi minori prima di essere promosso alla sede primaziale del Congo nel 2018 da Papa Francesco. Creato cardinale nel 2019, Ambongo è diventato nel 2023 Presidente del SECAM, l’associazione delle Conferenze Episcopali di tutta l’Africa. Nel suo paese è noto per l’impegno sociale e politico: ha denunciato corruzione, sfruttamento neocoloniale delle risorse e ingiustizie, divenendo di fatto anche una voce critica verso il potere politico locale. Su questi temi mostra un volto progressista e attento all’ecologia e ai diritti dei più deboli. Allo stesso tempo, sul piano dottrinale e morale Ambongo mantiene posizioni piuttosto ortodosse: ad esempio, ha guidato la fronda dei vescovi africani contro l’ipotesi di benedizione delle coppie omosessuali emersa in Vaticano nel 2023. Questa apparente contraddizione – progressista sui temi sociali, conservatore su quelli etici – rende incerto il suo effettivo peso in Conclave. Tuttavia, molti osservatori lo indicano da anni come papabile, poiché l’elezione di un papa africano (sarebbe il primo nella storia moderna) invierebbe un segnale forte a una Chiesa sempre più globale. Ambongo potrebbe catalizzare il voto di molti porporati del Sud del mondo desiderosi di rappresentanza, a patto di rassicurare i settori più tradizionalisti sulla continuità dottrinale.
Cardinale Péter Erdő (Ungheria) – Arcivescovo di Esztergom-Budapest
Péter Erdő, 72 anni, arcivescovo di Budapest, è da tempo considerato il candidato di punta dei conservatori. Teologo e canonista di fama (autore di centinaia di saggi accademici), ha una lunga esperienza ecclesiale: vescovo dal 1999, cardinale dal 2003 (fu uno dei più giovani porporati nominati da Giovanni Paolo II). Ha guidato per un decennio le Conferenze Episcopali Europee, costruendo contatti in tutto il continente e in Africa. Erdő è un uomo di profonda cultura e di marcata sensibilità tradizionale: difende con forza le radici cristiane dell’Europa, è fermamente pro-vita, contrario al celibato opzionale dei preti e all’apertura verso le unioni omosessuali. Pur essendo nel campo conservatore, ha mantenuto un atteggiamento pragmatico e non si è mai scontrato frontalmente con Papa Francesco. Anzi, per molti rappresenta una figura di possibile compromesso, un conservatore dialogante che potrebbe essere accettabile anche ai moderati. La stampa cattolica internazionale lo cita spesso tra i papabili: Catholic Herald ha scritto che un conclave orientato a destra potrebbe sceglierlo per dare un messaggio chiaro sulla direzione dottrinale della Chiesa. La sua padronanza delle lingue (parla italiano, tedesco, francese, spagnolo, russo) potrebbe persino agevolare rapporti ecumenici delicati, ad esempio con il mondo ortodosso russo. Se eletto, Erdő sarebbe il primo papa originario dell’Europa orientale dai tempi di Giovanni Paolo II e porterebbe l’esperienza di una Chiesa, quella ungherese, vissuta a lungo ai margini sotto i regimi comunisti.
Cardinale Jean-Marc Aveline (Francia) – Arcivescovo di Marsiglia
Jean-Marc Aveline, 66 anni, è arcivescovo di Marsiglia e uno dei teologi più apprezzati tra i nuovi cardinali creati da Francesco. Nato in Algeria da famiglia francese pied-noir, incarna nel suo vissuto personale il dialogo tra culture e religioni del Mediterraneo. La sua formazione comprende un dottorato in teologia e una laurea in filosofia; ha servito a lungo nella pastorale e nell’insegnamento in Francia, diventando vescovo ausiliare nel 2013 e poi arcivescovo nel 2019. Francesco lo ha creato cardinale nel 2022, facendone uno dei volti della Chiesa europea attenta alle periferie: Aveline infatti è molto impegnato sul tema dei migranti e nel dialogo con l’Islam, data la particolare realtà multireligiosa di Marsiglia. Ideologicamente è vicino alla linea di Papa Francesco, tanto che in Francia qualcuno lo chiama con affetto “John XXIV” per la somiglianza col papa riformatore Giovanni XXIII. Aveline unisce uno stile pastorale popolare e gioviale a un solido spessore intellettuale. La sua ascesa è stata rapida sotto il pontificato attuale e il successo dell’Incontro ecclesiale del Mediterraneo da lui organizzato nel 2023 (con la presenza di Francesco) ne ha accresciuto la statura internazionale. Come papa sarebbe il primo francese dal XIV secolo. Un possibile handicap è la scarsa dimestichezza con l’italiano, lingua che tuttavia comprende: elemento non secondario dovendo governare la diocesi di Roma. Ciononostante, il suo nome figura tra i papabili soprattutto per chi auspica un pontefice europeo pastoralmente progressista ma radicato nella tradizione teologica.
Cardinale Pierbattista Pizzaballa (Italia) – Patriarca di Gerusalemme
Pierbattista Pizzaballa, 60 anni, è Patriarca Latino di Gerusalemme dal 2020 e uno dei più recenti cardinali italiani (creato da Francesco nel concistoro del 30 settembre 2023). Francescano, originario della provincia di Bergamo, ha vissuto gran parte della sua vita in Terra Santa, dove è stato a lungo Custode di Terra Santa (superiore dei francescani nei Luoghi Santi) dal 2004 al 2016. La sua profonda esperienza in Medio Oriente lo ha visto spesso operare come mediatore tra comunità in conflitto: parla correntemente l’ebraico (è stato il primo cristiano a studiare la Bibbia all’Università Ebraica di Gerusalemme) e l’arabo, ed è una voce ascoltata sia da israeliani che palestinesi. Pizzaballa condivide con Papa Francesco l’attenzione ai migranti, il rifiuto del clericalismo e l’apertura al dialogo interreligioso. Allo stesso tempo tiene a sottolineare la fedeltà alla tradizione: pur aperto alla modernità, ritiene che una Chiesa “aperta a tutti” non significhi una Chiesa “di tutti” senza regole. Questa duplice natura – pastore accogliente ma saldo nelle radici – lo rende un possibile profilo di sintesi. Viene talvolta indicato come figura di collegamento tra progressisti e conservatori: un italiano fuori dagli schemi curiali, giovane rispetto alla media (sarebbe uno dei papi più giovani degli ultimi decenni), con visione globale. La sua elezione porterebbe per la prima volta un Patriarca di Gerusalemme sul soglio di Pietro, sottolineando l’attenzione al Medio Oriente e alle sfide del dialogo con l’ebraismo e l’Islam.
Cardinale Juan José Omella (Spagna) – Arcivescovo di Barcellona
Juan José Omella, 79 anni, è l’arcivescovo di Barcellona e una figura vicina allo stile pastorale di Papa Francesco. Ha una lunga esperienza missionaria e di carità: da giovane sacerdote ha trascorso un periodo come missionario in Zaire(odierna RD Congo) e per anni è stato responsabile di Manos Unidas, l’organizzazione cattolica spagnola per la lotta alla fame. Vescovo dal 1996, ha guidato diverse diocesi minori prima di essere nominato alla importante sede di Barcellona nel 2015 da Francesco, che lo ha creato cardinale nel 2017. Dal 2020 è presidente della Conferenza Episcopale Spagnola. Omella è descritto come un pastore umile e bonario, di vita semplice, dedito al servizio degli ultimi – caratteristiche che ricordano da vicino lo stile “della porta accanto” di Bergoglio. In termini teologici è annoverato tra i moderati-progressisti: attento al sociale, ma senza strappi clamorosi alla tradizione. Proprio questa sua vicinanza al “cuore” del pontificato attuale e l’età avanzata lo rendono talvolta paragonato a un possibile papa di transizione, qualora i cardinali cercassero un pontificato breve in continuità con Francesco. Va detto che 79 anni sono un’età molto elevata per un candidato (sarebbe uno dei papi eletti più anziani), e ciò potrebbe ridurre le sue chances. Tuttavia, Papa Francesco ha scherzato una volta dicendo che il suo successore potrebbe chiamarsi Giovanni XXIV, e alcuni in Spagna hanno affibbiato ad Omella proprio l’appellativo di “Juan XXIV” per la sua somiglianza spirituale col papa buono. Seppure meno citato di altri, il suo nome resta sullo sfondo come papabile di consenso per il fronte bergogliano.
Cardinale Blase J. Cupich (Stati Uniti) – Arcivescovo di Chicago
Blase Cupich, 76 anni, arcivescovo di Chicago, è uno dei principali esponenti dell’ala progressista della Chiesa statunitense. Papa Francesco lo ha voluto a Chicago nel 2014 e creato cardinale nel 2016, rompendo con tradizioni di nomine più conservatrici in quella sede. Cupich si è distinto per posizioni coraggiose in difesa dei migranti e delle minoranze: celebre il suo intervento alla vigilia dell’insediamento di Donald Trump, quando dichiarò che la Chiesa si sarebbe opposta ad ogni piano di deportazione di immigrati e a eventuali incursioni delle autorità nei luoghi di culto. Sul fronte degli abusi ha avviato una difficile opera di risanamento quando era vescovo a Spokane. Teologicamente, Cupich è allineato con l’agenda di Papa Francesco su temi come ambiente, giustizia sociale e un approccio pastorale inclusivo. La sua elezione sarebbe epocale in quanto significherebbe il primo papa nordamericano, anche se tradizionalmente i cardinali sono riluttanti a scegliere un pontefice dagli Stati Uniti. Geopoliticamente, infatti, un papa americano potrebbe essere visto come troppo legato alla superpotenza mondiale. Ciò rende Cupich un papabile di minoranza, ma il suo nome potrebbe emergere come riferimento per un gruppo di porporati riformisti. Nel caso remoto di un papa statunitense, la sua figura (insieme a quella del connazionale Tobin) appare la più quotata per incarnare la continuità con Francesco in terra americana.
Cardinale Joseph W. Tobin (Stati Uniti) – Arcivescovo di Newark
Joseph Tobin, 72 anni, arcivescovo di Newark (New Jersey), è un altro cardinale USA in sintonia con la linea di Papa Francesco. Redentorista, già superiore generale del suo ordine, ha lavorato alcuni anni a Roma come segretario del dicastero per la Vita Consacrata, prima di tornare negli Stati Uniti come arcivescovo (prima a Indianapolis, poi a Newark). Francesco lo ha creato cardinale nel 2016, preferendolo ad altre sedi più tradizionali (come quella di Philadelphia) e segnalando così il suo apprezzamento. Tobin è noto per il suo impegno a favore dei migranti e per la vicinanza pastorale: ha denunciato con forza le politiche di separazione delle famiglie migranti e proposto iniziative concrete per accompagnare e difendere gli immigrati vulnerabili. Caratterialmente cordiale e alla mano, rappresenta bene l’episcopato “di periferia” valorizzato da Francesco. Anche per Tobin valgono le considerazioni geopolitiche fatte per Cupich: un papa statunitense sarebbe una novità storica e non è tra gli scenari più probabili. Tuttavia, se mai i cardinali volessero rompere questo tabù, Tobin – insieme a Cupich – “sarebbe il candidato più probabile”. La sua elezione porterebbe sulla Cattedra di Pietro una sensibilità pastorale nordamericana attenta ai problemi sociali, ma potrebbe incontrare resistenze presso alcuni settori più tradizionalisti della Chiesa USA.
Distribuzione geografica dei cardinali elettori
I cardinali che eleggeranno il prossimo papa provengono da tutti i continenti, riflettendo la natura universale della Chiesa Cattolica. Su un totale attuale di 135 cardinali elettori (cioè sotto gli 80 anni), la ripartizione per provenienza geografica è la seguente:
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Europa: 53 elettori, pari a circa il 39% del totale. L’Europa, pur rappresentando ormai una minoranza dei cattolici mondiali, continua ad avere il gruppo più numeroso di cardinali con diritto di voto.
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Asia: 23 elettori (17,4%). Notevole è la crescita della componente asiatica, incrementata significativamente da Papa Francesco con porpore a Paesi come India, Filippine, Thailandia, Mongolia e altri.
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Africa: 18 elettori (13%). Anche l’Africa ha visto aumentare il proprio peso nel Collegio; molti di questi cardinali provengono da nazioni dell’Africa subsahariana in forte crescita demografica.
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Americhe: 38 elettori in totale, di cui 20 dall’America del Nord (14,5%) e 18 dall’America del Sud (13%). Se considerati congiuntamente, i porporati delle Americhe costituiscono circa il 28% degli elettori, con una presenza significativa sia dagli Stati Uniti e Canada sia da America Latina e Caraibi.
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Oceania: 4 elettori (circa 3%), provenienti essenzialmente da Australia, Nuova Zelanda e isole del Pacifico.
Questa distribuzione riflette lo spostamento del baricentro cattolico verso il Sud globale: circa il 62% degli elettori viene ormai da fuori dell’Europa (in particolare da Americhe, Africa, Asia e Oceania) Va anche notato che quasi l’80% dei cardinali elettori sono stati creati da Papa Francesco stesso. Di conseguenza, il prossimo Conclave rispecchierà una Chiesa dal volto sempre più planetario, con 71 Paesi rappresentati complessivamente dai porporati votanti.
Il peso dei continenti e le possibili influenze sull’elezione
L’equilibrio geopolitico sopra delineato giocherà un ruolo importante nelle dinamiche del Conclave. In linea generale, i cardinali europei – pur essendo numericamente il gruppo maggiore – sono assai eterogenei per sensibilità teologiche e nazionalità, e difficilmente voteranno in blocco. La loro preminenza (39%) garantisce comunque un’influenza notevole: ad esempio, molti papabili di spicco (Parolin, Zuppi, Erdő, Aveline, Pizzaballa, Omella) provengono dall’Europa e potrebbero inizialmente raccogliere consensi nelle rispettive aree linguistiche o culturali. Tuttavia, l’epoca in cui i conclavi erano dominati dai “blocchi” italiani ed europei è finita – come dimostra l’elezione di due papi non europei di seguito (uno sudamericano, Francesco, e prima di lui un nordamericano, Benedetto XVI di origine tedesca, benché europeo).
I cardinali delle Americhe rappresentano insieme più di un quarto dei votanti. L’America Latina, forte di 18 elettori, vorrà certamente far sentire la propria voce: benché abbia già dato un papa recentemente, potrebbe spingere per un successore che mantenga alta l’attenzione alle periferie e alla giustizia sociale che ha caratterizzato il pontificato di Francesco (molti latinoamericani appoggiano candidati progressisti come Tagle, Zuppi o altri di simile sensibilità). I nordamericani (20 elettori, di cui 11 dagli USA) storicamente non riescono a convergere su uno di loro – e spesso preferiscono appoggiare candidati di altre regioni vicini alle loro vedute. Nel Conclave 2025, i porporati statunitensi più conservatori potrebbero sostenere figure come Erdő o altri di linea tradizionale, mentre quelli progressisti (come Cupich e Tobin) sarebbero orientati verso un successore in continuità con Francesco. In ogni caso, l’ipotesi di un Papa proveniente dagli Stati Uniti rimane remota, quindi il peso nordamericano verrà probabilmente speso per influenzare l’elezione di un candidato di un’altra area.
L’Africa con 18 voti (13%) è per dimensioni paragonabile all’America Latina. Gli africani, pur provenendo da varie nazioni, tendono ad avere preoccupazioni pastorali simili – soprattutto sul fronte di famiglia e morale sessuale dove sono generalmente più conservatori. È plausibile che i cardinali africani cerchino di sostenere un candidato che garantisca continuità dottrinale sui valori tradizionali (ad esempio potrebbero guardare con favore a un Erdő, o a un moderato come Parolin, piuttosto che a candidati percepiti come troppo liberali sulle questioni etiche). D’altro canto, l’orgoglio di vedere finalmente un Papa africano potrebbe portarli a convergere inizialmente su uno dei loro, come Ambongo o eventualmente un Turkson (Ghana, 76 anni) – candidature simboliche che però potrebbero servire da ago della bilancia nelle trattative: ad esempio, spingendo altri papabili a impegnarsi ad ascoltare di più le istanze del continente in cambio di appoggio. In Africa inoltre gode ancora di prestigio il cardinale guineano Robert Sarah (79 anni), figura conservatrice di spicco; sebbene le sue chance di essere eletto siano minime per via dell’età e delle posizioni rigide, la sola presenza di personalità come Sarah nel Conclave può influenzare parte dell’elettorato verso opzioni più tradizionali.
L’Asia con 23 voti (17%) avrà un ruolo determinante come kingmaker. I cardinali asiatici formano un gruppo diversificato (dalle Filippine all’India, dalla Corea al Medio Oriente); molti di essi sono stati nominati da Francesco e ne condividono la visione pastorale. È diffusa la speranza che l’Asia possa esprimere il prossimo papa – speranza incarnata soprattutto da figure come Tagle. In Conclave, i voti asiatici potrebbero inizialmente convergere proprio sul cardinale filippino. Se però Tagle non ottenesse un consenso sufficiente nei primi scrutini, è probabile che gli asiatici dirottino i loro voti su candidati affini per sensibilità (ad esempio un Zuppi o Parolin, o eventualmente un altro non europeo). Anche il cardinale maltese Mario Grech, sebbene europeo, è benvoluto da molti asiatici per il suo ruolo nel Sinodo e le idee riformatrici; ma il suo profilo resta secondario rispetto ai nomi già citati.
Infine, l’Oceania con soli 4 voti ha un peso marginale, ma simbolicamente importante. I due elettori australiani, in particolare, potrebbero appoggiare un candidato più conservatore dato che la Chiesa in Australia è stata scossa da sinodi e dibattiti interni (l’arcivescovo di Sydney è su posizioni tradizionali). Tuttavia, questi pochi voti difficilmente saranno decisivi se non in uno scenario di spaccatura estrema.
In sintesi, nessun continente da solo può “decidere” il Papa, ma ciascuno potrà influenzare orientando consensi verso candidati graditi. L’ampia rappresentanza di Africa, Asia e America Latina – frutto del pontificato di Francesco – rende il Conclave assai più imprevedibile e aperto a possibili sorprese rispetto al passato. Come notava un analista, questo assetto pluralistico rende più difficile individuare un favorito di cartello prima del voto, aumentando la necessità di dialogo e alleanze trasversali fra i cardinali.
Dinamiche teologiche e alleanze informali nel Conclave
Oltre ai fattori geografici, un ruolo cruciale sarà giocato dalle correnti teologiche e dai gruppi di interesse che attraversano il Collegio cardinalizio. Già da tempo si parla di un fronte progressista (o riformatore) e di un fronte conservatore (o tradizionalista) che cercheranno entrambi di orientare la scelta del successore di Francesco.
Va detto che circa l’80% dei elettori è stato nominato dal Papa uscente e molti di essi ne condividono l’impostazione pastorale: per questo motivo i progressisti appaiono in vantaggio numerico. Figure come Zuppi, Tagle, Aveline, Grech, Hollerich (cardinale lussemburghese, 66 anni, gesuita e relatore generale del Sinodo sulla sinodalità) sono esponenti di questa corrente che vorrebbe proseguire – o persino approfondire – le riforme avviate da Bergoglio (sinodalità, attenzione inclusiva a divorziati risposati e persone LGBT, maggiore ruolo ai laici e alle donne, dialogo ecumenico). Tuttavia, i progressisti non sono monolitici: potrebbero dividersi inizialmente fra più candidati di loro gradimento. Uno scenario possibile è una prima convergenza dei riformatori su qualcuno come Zuppi o Tagle; se nessuno dei due riuscisse a raggiungere rapidamente la soglia dei due terzi, parte di questi voti potrebbero spostarsi su un terzo nome di compromesso (ad esempio Parolin, considerato accettabile anche dai moderati). In questa fase iniziale sarà importante l’azione di kingmaker di alcuni cardinali influenti del gruppo progressista – ad esempio il cardinale brasiliano Cláudio Hummes (francescano, molto vicino a Francesco) avrebbe potuto esserlo, ma è scomparso nel 2022; altri come il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga (Honduras) hanno superato gli 80 anni e non votano. Quindi la leadership del fronte riformatore spetterà probabilmente a una rete di porporati più giovani e dinamici, coesi nel sostenere la linea di Francesco.
Dal lato opposto, il fronte conservatore è minoritario ma ben determinato a far sentire la propria voce. Negli ultimi anni i tradizionalisti si sono sentiti emarginati dalle politiche di Francesco, e vedono nel Conclave l’occasione per una sorta di “rivincita”. I nomi di riferimento di quest’ala includono il cardinale americano Raymond Leo Burke (75 anni) e il guineano Robert Sarah (79 anni) – entrambi noti critici del pontificato di Francesco. Questi due, presenti in Conclave come elettori, difficilmente potranno ambire essi stessi al papato (Burke ha relazioni tese con molti confratelli e Sarah è molto anziano e di orientamento considerato divisivo). Ma potrebbero fungere da portavoce di un gruppo di cardinali (forse 15-20) desiderosi di un netto cambiamento di rotta. Tale gruppo cercherà inizialmente di coagulare voti su un candidato conservatore “papabile”. Il più accreditato, come visto, è l’ungherese Péter Erdő, che unisce profilo dottrinale sicuro e capacità di governo. Altri nomi in quest’area potrebbero essere il cardinale tedesco Gerhard Ludwig Müller (76 anni, già Prefetto della Dottrina della Fede con Benedetto XVI, anche lui critico di alcune innovazioni di Francesco), oppure – in misura minore – figure come l’americano Timothy Dolan (arcivescovo di New York, 75 anni, noto per posizioni tradizionali su etica e liturgia). I conservatori sanno di non avere i numeri per imporre un loro candidato da soli, ma puntano a essere ago della bilancia: potrebbero sostenere compatti Erdő o un altro nome affine e, se costateranno l’impossibilità di vincere, spostare i voti su un candidato di compromesso meno sgradito (ad esempio Parolin o Pizzaballa) per evitare l’elezione di un progressista puro. È significativo che persino il cardinale Pizzaballa venga citato dal fronte tradizionalista come figura di collegamento tra progressisti e conservatori, con “buone possibilità” di essere eletto: ciò indica che i conservatori potrebbero accontentarsi di un moderato pur di bloccare un riformatore radicale.
Un altro raggruppamento trasversale nel Conclave potrebbe essere quello dei cosiddetti moderati/centristi o “continuisti pragmatici”. Questo non è un blocco formalmente organizzato, ma include quei cardinali che, pur nominati da Francesco, appartengono all’ala moderata della Chiesa e desiderano una continuità temperata, senza polarizzare. In questo gruppo rientrano molti europei e nordamericani che apprezzano sia le riforme di Francesco sia la solidità dottrinale: per loro candidati ideali sarebbero Parolin o anche il cardinale Jean-Claude Hollerich (sebbene più progressista su alcuni temi). Gli accordi informali tra centristi e progressisti saranno decisivi per raggiungere la quota di 2/3. È plausibile che dopo qualche scrutinio esplorativo, si formi un’alleanza tra la maggioranza dei votanti – provenienti dal mondo in via di sviluppo e dall’Europa riformatrice – attorno a un nome condiviso, per evitare stalli prolungati.
In conclusione, il Conclave che si profila appare assai più complesso e sfaccettato rispetto al passato. La combinazione di una composizione geografica diversificata e di una pluralità di correnti teologiche renderà necessarie trattative intensenelle congregazioni generali e nei colloqui riservati tra cardinali. Le “alleanze informali” potranno formarsi sulla base di affinità regionali e di visione ecclesiale: ad esempio, i cardinali dell’America Latina e dell’Africa potrebbero convergere se individuano un candidato che garantisca sia la continuità pastorale sia la tenuta sulla dottrina; oppure, progressisti europei e asiatici potrebbero unirsi per sostenere un papabile globalista e inclusivo. Come ricorda un vecchio adagio vaticano, «chi entra papa in Conclave, ne esce cardinale»: nessun esito è scontato. I “favoriti” della vigilia dovranno trovare conferme nello scrutinio segreto, e non si esclude l’emergere di una sorpresa, frutto di un equilibrio nuovo tra i blocchi. Ciò che è certo è che il prossimo papa sarà scelto in un ambiente ecclesiale profondamente segnato da Francesco, ma al tempo stesso attraversato dal desiderio di imprimere una direzione chiara per il futuro su questioni chiave come il ruolo della donna, la sessualità, la sinodalità e la tradizione. Il risultato finale dipenderà dall’abilità dei cardinali di costruire ponti tra di loro almeno quanto da quella di scegliere l’uomo giusto da mettere sul trono di Pietro.

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