Nel nostro Paese ad ogni riforma strutturale non segue mai un reale e completo adeguamento gestionale, il che riflette il cattivo costume italiano di lasciare sempre che alla fine ci si rabbatti per coprire, alla meno peggio, le falle di un sistema troppo spesso inefficiente. Purtroppo anche nel caso della Giustizia, non pare ci sia eccezione a siffatta cattiva prassi, laddove la “Riforma Cartabia” sta portando addirittura ad un peggioramento dei tempi con rinvii di udienze sempre ad anni, anche se nelle bellissime intenzioni del legislatore era prospettato, anche stavolta e neanche a dirlo, l’intento opposto.
La prima fase di questo ammodernamento sicuramente necessario ha riguardato il Processo Civile Telematico, ormai attivo da qualche anno e che, pur avendo comportato in modo indiscutibile positive novità, non vede ancora il superamento di problematiche tecniche gravi e di delicatissime questioni di fondo.
Da inizio anno, ed in particolare con il D.M. 27.12.2024 n. 206,appunto intitolato “Regolamento concernente modifiche al decreto 29 dicembre 2023, n. 217 in materia di processo penale telematico“, la telematica è stata imposta come unica possibilità operativa anche nel settore penale, dove però si è abbattuta con effetti ancor peggiori e così evidenziando, in modo fragoroso, tutti i limiti del nuovo sistema e della presupposta riforma, dove si assiste finanche a casi di parziale paralisi delle Cancellerie e dunque dello svolgimento deiprocessi. Una situazione oltremodo gravosa per tutti gli operatori del diritto:Magistrati, Cancellieri ed Avvocati.
Molto semplicemente, proprio nella delicatissima fase di avvio, il sistema non è riuscito a funzionare ed a smaltire i dati ricevuti, soprattutto quelli collegati alle “APP” di accesso e smistamento di istanze e produzione di documenti di parte, così come conferma l’avv. Angela Del Vecchio, presidente dell’Ordine degli Avvocati di S. Maria Capua Vetere, che si sofferma proprio sulla impossibilità di avere un’immediata interfaccia con il fascicolo del dibattimento: “Questo rappresenta il vero deficit della riforma, impedire ad un avvocato di avere immediato riscontro di quanto depositato in sede di istruttoria dal collega di controparte o dal pubblico ministero, non definisce compiutamente la ratio della riforma del professo penale telematico, ed a tal proposito, in questa fase, che dobbiamo necessariamente ritenere embrionale di una modifica epocale del lavoro dei difensori, e’ necessaria una grande collaborazione tra tutte le forze in campo, vale a dire tra avvocati, magistrati e personale di cancelleria, senza tuttavia perdere di vista l’obiettivo cardine del difensore che è la tutela della giustizia alla luce del codice di procedura e non dei regolamenti che disciplinano il deposito in modalità telematica degli atti penali”.
Nel foro di Napoli le cose non sono andatemeglio e ricalcano le problematiche di S. Maria Capua Vetere, come ci conferma l’avv. Giovanni Carini, membro del COA di Napoli con delega ai rapporti con altri Ordini Professionali, che sottolinea la necessità di interventi strutturali ed urgentissimi per far fronte ad un regime di criticità da rivolvere subito, senza se e senza ma. Nel Tribunale partenopeo ad esempio, come in altre realtà, visto il grave rallentamento del sistema, si è dovuto anche optare per un temporaneo ritorno all’analogico – cartaceo, anche se la norma ormai imporrebbe solo il metodo digitale.
Dall’alto, da dx verso sx, gli avvocati Anna Brancaccio, Giovanni Mastroianni (che firma anche articolo), Giovanni Carini e Angela Del Vecchio
Stesso andamento nel territorio giudiziario di Torre Annunziata, come confermato dall’avv. Anna Brancaccio, che come gli altri citati colleghi partecipa attivamente e con grande impegno alla tutela del miglior operato della ClasseForense e del sistema Giustizia. L’avvocato Brancaccio tocca un’altra nota dolente del sistema telematico, ossia la spersonalizzazione e lo svilimento del ruolo del difensore: “Il processo telematico ha avuto un impatto significativo sulla professione forense, generando nuove sfide ma anche tante preoccupazioni per gli avvocati ed ha reso il lavoro dell’avvocato più rapido ed efficiente sotto certi aspetti, ma ha anche svilito la sua principale funzione di difensore dei diritti dei cittadini, ed il rischio che gli avvocati possano ridursi a “scrittori di atti” in solitudine è reale, per mancato contraddittorio in presenza in Giudice e di tutte le parti in causa. L’auspicata velocità porta con sé il rischio di alienare l’avvocato dal cuore pulsante del processo: il confronto diretto, la dialettica e l’interazione umana con il giudice e la controparte. C’è il rischio che il processo diventi sempre più “automatizzato”, dove la logica e le decisioni si basano troppo su atti e documenti, e poco sulle persone. Questo a lungo andare porterà a una disumanizzazione della giustizia, dove la complessità dei casi e le emozioni umane rischiano di essere ignorate o trascurate”.
In questo i tre Ordini Forensi, al pari di tutti gli altri, quindi non solo regionali ma anche italiani, sono impegnati in continue attività di sensibilizzazione e richieste al vertice per interventi concreti a tutela dell’intero settore, soprattutto per garantire ai cittadini italiani di ottenere provvedimenti giusti in tempi brevi, perché si sa, l’eccessivo trascorrere tempo, anche in caso di sentenze positive, mortifica proprio chi ha invocato e creduto nella Legge.
Ma per ora da Roma soluzioni definitive non arrivano e quindi … si salvi chi può. La chiameremo poi resilienza o genialità all’italiana, ma la sostanza non cambia e quindi, come spesso accade, in questo contesto toccherà proprio a noi difensori, quindi ai nostri assistiti, di sopportate il peso di un ennesimo schiaffo alla Giustizia, che vede barcamenarci tutti alla buona, navigando a vista nella fitta nebbia, nel tentativo ormai quotidianamente estremo di rendere tutto un po’ più fluido e quindi “normale”.
Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.
E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.
Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.
Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.
Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.
Revocata la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, conferita invece a Giacomo Matteotti, il politico socialista ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924. Alla vigilia del 25 aprile, il Comune di San Clemente, in provincia di Rimini, ha preso queste due decisioni simboliche, approvate all’unanimità dal consiglio comunale nel tardo pomeriggio. Anche Ozzano dell’Emilia, in provincia di Bologna, proprio ieri ha revocato la cittadinanza al duce. E così hanno chiesto di fare i gruppi consiliari di centrosinistra ad Isernia, dove era stata concessa a Mussolini il 20 maggio 1924. “Revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini significa prendersi la responsabilità di giudicare con determinazione e piena maturità un passato costellato da atrocità, economia inesistente, azzeramento, in modo scientifico, quasi chirurgico, del pensiero critico”, ha detto la sindaca di San Clemente, Mirna Cecchini, nel suo discorso.
“In un’epoca in cui il coraggio delle proprie azioni e l’intransigenza verso le bestialità sembrano venir meno, l’esempio di Matteotti è pronto a ricordarci che la democrazia e la libertà non sono beni scontati e facilmente ottenibili. Bensì l’epilogo di faticose conquiste personali e collettive, la spina dorsale dei popoli capaci di rialzare la testa; traguardi che richiedono responsabilità, vigilanza continua e partecipazione convinta”, ha aggiunto, motivando il conferimento della cittadinanza post mortem. A Ozzano la cittadinanza a Mussolini fu concessa il 18 maggio 1924, “in un periodo e contesto storico totalmente diverso da quello attuale, quando tantissimi Comuni furono in un certo senso sollecitati a rendergli omaggio attraverso un atto simbolico e politico – ha spiegato il sindaco, Luca Lelli – A chiederne la revoca è stata l’Anpi locale e come Amministrazione non abbiamo esitato a rispondere all’appello, e a procedere con il ritiro attraverso un atto del Consiglio comunale. La revoca è avvenuta a ridosso del 25 aprile perché abbiamo voluto dare anche un segnale forte, puntando l’attenzione sull’impegno che da sempre abbiamo nel promuovere una società basata sui valori di democrazia e libertà”.
A Isernia il capogruppo del Pd, Stefano Di Lollo, ha spiegato che “la cittadinanza onoraria, attribuita all’epoca come atto di adesione ideologica al regime fascista nascente, è oggi ritenuta incompatibile con i valori della Costituzione repubblicana e con il sentimento democratico che deve appartenere a uno Stato civile. Benito Mussolini è stato il principale responsabile dell’instaurazione della dittatura fascista, delle persecuzioni razziali e politiche, e dell’alleanza con il nazismo, che ha condotto l’Italia in una delle fasi più oscure della sua storia. Restituire alla storia il suo giusto significato è fondamentale per costruire un presente consapevole e un futuro libero”.
Il cardinale Angelo Becciu conferma di ritenere che lo si debba ammettere al Conclave. Il porporato sardo, ex sostituto della Segreteria di Stato ed ex prefetto per le Cause dei santi – che in una drammatica udienza del 24 settembre 2020 papa Francesco privò della carica in Curia e dei diritti del cardinalato -, afferma in una conversazione con la Reuters che il suo ruolo è cambiato da quella sera di oltre quattro anni e mezzo fa, quando il Pontefice lo degradò perché si sentiva tradito nella sua fiducia. Oltre a confermare quanto già dichiarato all’Unione Sarda – che le sue prerogative sono “intatte, che non c’è stata “alcuna esplicita volontà” di escluderlo dal Conclave e che non gli è mai stato chiesto di rinunciare al privilegio per iscritto -, Becciu aggiunge che papa Bergoglio sarebbe stato vicino a prendere una decisione sul suo status.
Dice infatti di aver incontrato il Pontefice a gennaio, prima del ricovero al Gemelli a febbraio, e cita le sue parole: “Penso di aver trovato una soluzione”, gli avrebbe detto Francesco. Becciu dichiara inoltre di non sapere se il Papa gli abbia lasciato istruzioni scritte su questo aspetto. “Saranno i miei confratelli cardinali a decidere”, conclude in attesa della discussione nelle congregazioni pre-Conclave del Sacro Collegio, già iniziate e a cui lui stesso è invitato.
La questione-Becciu, che rischia di condizionare gravemente il prossimo Conclave e anche il dopo, si complica quindi sempre di più. Tra l’altro nel prossimo autunno – prima udienza il 22 settembre – si aprirà il processo d’appello sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e la compravendita del Palazzo di Londra, per le quali Becciu ha sempre proclamato la sua innocenza ma è stato in primo grado condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di peculato e truffa aggravata ai danni della Santa Sede. Intanto, spuntano due lettere scritte dal Papa che sancirebbero l’esclusione di Becciu dal voto per il nuovo Pontefice. Ne scrive il quotidiano Domani riportando che il cardinale Pietro Parolin, già segretario di Stato, avrebbe mostrato ieri sera a Becciu due lettere dattiloscritte e siglate dal Pontefice con la F che lo escluderebbero dall’ingresso in Sistina: una del 2023 e l’altra dello scorso mese di marzo, quando Francesco affrontava l’ultima, gravissima malattia.
Il porporato sardo avrebbe preso atto, ma al momento non risulta abbia rinunciato al suo proposito. Sempre secondo ricostruzioni su Domani dell’ex direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian, il cardinale decano Giovanni Battista Re, che domani celebrerà i funerali di Francesco, avrebbe detto a Becciu di essere favorevole al suo ingresso in Conclave, non avendo disposizioni contrarie scritte dal Pontefice scomparso. Nel riferire ciò al cardinale camerlengo Kevin Joseph Farrell, però, quest’ultimo avrebbe comunicato a Re la volontà di papa Bergoglio, espressagli tempo fa soltanto a voce, che Becciu fosse tenuto fuori. Da indiscrezioni che trapelano dalle prime congregazioni generali, poi, per sbrogliare il caso-Becciu che sta diventando un vero e proprio ‘giallo’, potrebbe essere costituita una commissione, composta da cinque cardinali tra cui lo stesso porporato sardo.
Questa, secondo il Fatto Quotidiano, la proposta avanzata dal cardinale Claudio Gugerotti, già prefetto per le Cause orientali e considerato molto vicino al card. Parolin. Gugerotti, dal canto suo, avrebbe espresso un parere contrario all’ingresso di Becciu in Sistina. Lo stesso avrebbe fatto un altro fedelissimo di Bergoglio, il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski. Su tutta la questione non ci sono commenti da fonte ufficiale. Alle domande dei giornalisti il portavoce vaticano Matteo Bruni continua a ripetere che “per ora parliamo dei funerali del Papa. Del Conclave si parlerà poi”.