Collegati con noi

Salute

Primo sì alla terapia genica con la Crispr

Pubblicato

del

Il Regno Unito, battendo sul tempo Europa e Stati Uniti, ha dato la prima approvazione ad una terapia genica basata sulla Crispr, la tecnica taglia-e-cuci del Dna che è valsa il Premio Nobel per la Chimica 2020: si tratta di una cura per due malattie genetiche del sangue, l’anemia falciforme e la beta-talassemia, ma apre la strada a molte altre applicazioni per tante malattie genetiche, come quelle della retina e del cuore. La terapia, chiamata Casgevy, è stata sviluppata dall’azienda americana Vertex Pharmaceuticals e da quella svizzera Crispr Therapeutics ed è in fase di valutazione anche da parte della Food and Drug Administration statunitense e dell’Agenzia Europea per i Medicinali. Entro dicembre entrambe le agenzie regolatorie si esprimeranno in merito, poi per l’Italia la palla passerà all’Agenzia Italiana del Farmaco.

Nel nostro Paese sono presenti circa 7.000 pazienti affetti da beta-talassemia, la popolazione più grande d’Europa, e circa 3.000 con anemia falciforme, numeri che sono probabilmente sottostimati a causa della mancanza di un registro completo. In Italia è presente anche uno dei centri che ha arruolato il maggior numero di persone per la sperimentazione con Crispr, l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, dove è stato curato il primo paziente italiano con queste patologie. La nuova terapia suscita però non pochi dubbi per quanto riguarda il suo costo molto elevato, che limiterà considerevolmente il numero di coloro che potranno beneficiarne: il prezzo non è stato ancora stabilito con esattezza, ma si stima che potrebbe essere intorno ai 2 milioni di dollari per paziente. Infatti, anche se Crispr è una tecnica semplice ed economica, l’intera procedura risulta più complessa e costosa.

Questo è anche il motivo per cui il trattamento non sarà probabilmente disponibile in Paesi a basso e medio reddito, per lo meno non a breve termine. L’approvazione dell’Agenzia regolatrice inglese dei farmaci arriva dopo i risultati molto promettenti degli studi clinici effettuati su efficacia e sicurezza del trattamento. Per l’anemia falciforme, caratterizzata da una malformazione dell’emoglobina che produce globuli rossi a forma di falce (cosa che ne ostacola il movimento nei vasi sanguigni), Casgevy ha eliminato del tutto i dolori debilitanti per almeno un anno dopo il trattamento per 28 su 29 partecipanti. Per la beta-talassemia, in cui invece l’emoglobina alterata causa la distruzione dei globuli rossi, 39 dei 42 partecipanti non hanno più avuto bisogno delle trasfusioni mensili e gli altri 3 hanno visto ridursi questa necessità di oltre il 70%.

La terapia consiste nel prelevare cellule staminali dal midollo osseo dei pazienti e utilizzare poi Crispr per modificare un gene chiamato BCL11A, che impedisce la produzione di una forma di emoglobina presente solo nel feto: modificando questo gene, Casgevy riattiva la produzione di emoglobina fetale, che non presenta i difetti di quella adulta. Le cellule staminali così modificate vengono poi reinfuse nel midollo osseo dei pazienti e, nel giro di un mese circa, iniziano a produrre globuli rossi con la forma ‘sana’ di emoglobina. I partecipanti ai trial, che sono ancora in corso, hanno manifestato alcuni effetti collaterali come nausea, affaticamento, febbre e aumento del rischio di infezione, ma non sono stati identificati problemi significativi per la sicurezza.

Advertisement
Continua a leggere

In Evidenza

Tumore al seno, la biopsia liquida vede le recidive anni prima

Pubblicato

del

La biopsia liquida – un’indagine che, attraverso un semplice prelievo di sangue, permette di rilevare e analizzare il Dna tumorale circolante (ctDna) o le cellule tumorali eventualmente circolanti nel sangue – sta diventando un’arma sempre più precisa, ed un’ultima, innovativa evoluzione del test ha dimostrato di poter prevedere la recidiva del cancro al seno, in pazienti ad alto rischio, mesi o addirittura anni prima che si verifichi una ricaduta.

Un team di ricerca dell’Institute of Cancer Research di Londra ha infatti utilizzato una biopsia liquida ultrasensibile per rilevare la presenza di piccole quantità di Dna canceroso rimaste nel corpo dopo il trattamento per il cancro al seno in fase iniziale. I risultati dello studio sono stati presentati al congresso dell’American Society of Clinical Oncology (Asco) in corso a Chicago. Campioni di sangue di 78 pazienti con diversi tipi di cancro al seno in fase iniziale sono stati sottoposti a screening per rilevare il Dna tumorale circolante. I campioni sono stati raccolti dalle donne al momento della diagnosi prima della terapia, dopo il secondo ciclo di chemioterapia, dopo l’intervento chirurgico e ogni tre mesi durante il follow-up per il primo anno.

Poi, i campioni sono stati raccolti ogni sei mesi per i successivi cinque anni. I risultati hanno mostrato che il rilevamento del ctDna era associato a un alto rischio di recidiva futura e ad una sopravvivenza globale più scarsa. La malattia molecolare residua è stata rilevata in tutti gli 11 pazienti che hanno poi avuto recidive. La sopravvivenza mediana per i pazienti con rilevamento del ctDna è stata di 62 mesi. Le cellule del cancro al seno “possono rimanere nel corpo dopo l’intervento chirurgico e altri trattamenti, ma possono essere così poche da non essere rilevabili.

Queste cellule possono causare ricadute nelle pazienti affette da cancro al seno molti anni dopo il trattamento iniziale. Gli esami del sangue ultrasensibili potrebbero offrire un approccio migliore per il monitoraggio a lungo termine dei pazienti il ;;cui cancro è ad alto rischio di recidiva”, sottolinea il primo autore dello studio Isaac Garcia-Murillas.

La biopsia liquida rappresenta una nuova opportunità anche per una particolare categoria di pazienti con tumore al seno, ovvero quelle con un tumore al seno metastatico caratterizzato dalla mutazione genica Esr1 e che non rispondono più alle terapie standard: “Il test è in grado di rilevare e analizzare le cellule tumorali circolanti e, se fosse confermata la mutazione genica Esr1, queste pazienti possono beneficiare di un farmaco mirato, elacestrant, che è in corso di approvazione da parte di Aifa ma cui le pazienti possono già accedere grazie ad un programma di accesso privilegiato promosso dall’azienda produttrice”, afferma il presidente di Fondazione Aiom (Associazione italiana di oncologa medica) Saverio Cinieri.

Ma la biopsia liquida, aggiunge il presidente eletto Aiom, Massimo Di Maio, “può anche portare grandi risparmi al Ssn, dal momento che solo i pazienti risultati positivi vanno poi indirizzati verso ulteriori cure ed esami”. Ad oggi, gli utilizzi della biopsia liquida, validati in pratica clinica, sono ancora limitati. Il primo impiego ha riguardato il tumore del polmone non a piccole cellule avanzato, per la valutazione dello stato mutazionale del gene Egfr, quindi come fattore predittivo di risposta alle terapie mirate. Le applicazioni cliniche emergenti di questa procedura riguardano soprattutto i tumori del colon-retto, della mammella, della prostata e il melanoma nella forma avanzata.

Continua a leggere

Salute

Tumore polmone dei non fumatori, farmaco aumenta la sopravvivenza

Pubblicato

del

Un particolare farmaco inibitore ha fatto registrare il più lungo periodo di sopravvivenza senza progressione di malattia mai segnalato in pazienti con tumore del polmone avanzato non a piccole cellule precedentemente non trattato (Nsclc) con una mutazione del gene Alk (presente nel 3-5% di questi pazienti), insieme ad un miglior controllo e prevenzione delle metastasi cerebrali. Lo evidenzia uno studio presentato al congresso della Società americana di oncologia clinica (Asco). Questa forma di tumore al polmone più rara colpisce pazienti di solito giovani, di età inferiore ai 55 anni, non fumatori, il cui processo tumorale è molto rapido. In Italia sono oltre 2.500 l’anno i casi di Nsclc Alk mutati.

Nello studio clinico di fase 3 Crown, 296 pazienti con Nsclc avanzato sono stati assegnati in modo casuale a ricevere il nuovo farmaco (lorlatinib) o la terapia standard (crizotinib). La sopravvivenza libera da progressione di malattia a 5 anni è stata del 60% nel gruppo lorlatinib e dell’8% nel gruppo crizotinib. “Nonostante i progressi significativi con i farmaci inibitori di Alk di nuova generazione, la maggior parte dei pazienti trattati avrà una progressione della malattia entro tre anni. Lorlatinib è l’unica molecola di questa categoria che ha riportato una sopravvivenza libera da progressione a cinque anni, e anche dopo questo periodo la maggior parte dei pazienti continua a tenere sotto controllo la malattia, compreso il controllo delle metastasi al cervello. A nostra conoscenza, questi risultati non hanno precedenti per questa categoria di pazienti”, ha affermato l’autore principale dello studio Benjamin Solomon, del MacCallum Cancer Center di Melbourne.

Continua a leggere

Salute

Melanoma, lo studio del professor Ascierto: con la super-immunoterapia sopravvivenza al 72%

Pubblicato

del

La ‘super-immunoterapia’ rappresenta una nuova frontiera contro il melanoma: con un tris di farmaci immunoterapici, la sopravvivenza arriva infatti al 72% nei casi gravi ad un follow up di oltre 4 anni. Il melanoma è un tumore maligno della pelle: in Italia è il terzo più frequente al di sotto dei 50 anni in entrambi i sessi. Nel 2023 sono state stimate circa 12.700 nuove diagnosi ed i casi sono in aumento. Ad aprire questa nuova strada legata alla ‘super immunoterapia’ è lo studio Relativity-048 guidato da Paolo Ascierto, presidente Fondazione Melanoma e direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Pascale di Napoli, condotto in collaborazione con le università di Zurigo, di Aix-Marseille, di Losanna, di Oxford e del Sidney Kimmel Comprehensive Cancer Center della Johns Hopkins Medicine.

I risultati preliminari sono presentati al congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology (Asco) in corso a Chicago. Alla ormai consolidata somministrazione di uno o due immunoterapici insieme, che ha già cambiato la storia della malattia, si aggiunge dunque una nuovissima combinazione che prevede l’utilizzo di tre i farmaci contemporaneamente. Il tris delle molecole nivolumab, relatlimab e ipilimumab, tutti inibitori del checkpoint immunitario, in grado cioè di togliere i ‘freni’ al sistema immunitario contro il melanoma, porta la percentuale di sopravvivenza dei pazienti con melanoma avanzato, seguiti per più di 4 anni, al 72%. Più del 20% di quanto farebbero i farmaci somministrati da soli o in coppia. Sono “dati preliminari – precisa Ascierto – ma molto incoraggianti che riguardano pazienti con forme di melanoma avanzato inoperabile, con presenza anche di metastasi epatiche e cerebrali, quindi con una prognosi piuttosto sfavorevole. Nel nostro studio la tripletta di immunoterapici si è dimostrata promettente e merita certamente di essere indagata in studi clinici più ampi”.

Lo studio ha coinvolto 46 pazienti con melanoma avanzato e di età media pari a 61 anni. I pazienti hanno ricevuto la tripla combinazione per una durata di 5 mesi e sono stati poi seguiti in media per 49,4 mesi. “Abbiamo registrato un tasso di sopravvivenza alla malattia del 72% a 4 anni, superiore a quello osservato con altri regimi terapeutici che prevedono la somministrazione di due immunoterapici – sottolinea Ascierto -. Nel 20% dei pazienti abbiamo registrato una remissione completa”. Anche i dati sulla sicurezza del trattamento sono molto incoraggianti. Ascierto invita comunque alla prudenza: “Il nostro è uno studio preliminare che ha coinvolto un numero limitato di pazienti. Per questo i risultati vanno interpretati con cautela e andrebbero confermati in studi più ampi, che potrebbero anche consentirci una maggiore precisione sulla selezione dei pazienti che trarrebbero il maggior beneficio da questa tripla terapia”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto